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Pompei, il valico, la mimetica: il 2015 si chiude nel blablabla di Matteo Renzi

Ha ripetuto le stesse cose così tante volte da far sembrare “Una poltrona per due” una incredibile novità della programmazione tv a Natale.
A cura di Michele Azzu
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Probabilmente anche Babbo Natale, se potesse, chiederebbe a Matteo Renzi in questi giorni: “Non pensi di stare esagerando?”, azzarderebbe il vecchietto con la barba bianca e il vestito rosso Coca Cola. Perché anche lui che riempie i sacchi di regali per due miliardi di bambini, lui che gira su una slitta volante, anche lui sarebbe un po’ stufo della continua iperbole, del senso del patetico, di tutte le “palle” che il presidente del consiglio vuole rifilarci al posto di quelle che vorremmo appendere all’albero di Natale.

Matteo Renzi è incontenibile, in questi giorni di fine anno. Si finiscono i lavori in un’autostrada che andavano avanti da undici anni? Renzi è sul palco: “Oggi è arrivato il giorno che sembrava non dovesse arrivare mai”. Si finiscono i primi restauri, finalmente, delle domus di Pompei? “Bisogna combattere perché il bello possa vincere”. Va in visita dalle forze armate dell’Unifil stanziate in Libano? Giacca mimetica, e via: “Viva l'Italia, viva la stabilità, viva la capacità di stare nell'Onu a testa alta”.

Neanche un Giuseppe Mazzini fatto di eccitanti in dosi per cavalli, sarebbe così entusiasta di ogni piccola opera di normale amministrazione pubblica. “Se questo paese si tira su le la maniche è in grado di fare opere che segnano la storia della ingegneria del mondo”, non è un po’ esagerato per presentare un traforo che ha richiesto undici anni di lavori e il doppio del budget iniziale? C’era pure la coda in austostrada per la cerimonia del premier, poveri gli automobilisti che ci si sono ritrovati.

Un po’ è provocazione. Probabilmente Babbo Natale non avrebbe nulla da dire, anche perché non esiste (scusate bambini). E no, non esistono prove del fatto che Giuseppe Mazzini abbia mai fatto uso di anfetamine (mi scusino i mazziniani). Ma è solo con l’assurdo che possiamo spiegare la piega che, dalla Leopolda in poi, ha preso la comunicazione di governo, e l’attività incessante di autopromozione di Matteo Renzi.

Il premier deve comunicarci a tutti i costi che lui ha fatto bene, che il suo governo sta facendo bene, che le cose sono cambiate, che se prima parlavano di cambiamento e rottamazione ora il cambiamento è in atto e molto è stato rottamato. Questo è il messaggio che deve passare. Non importa se dobbiamo ripeterlo dieci, cento, mille volte, a costo di far sembrare al confronto “Una poltrona per due” una incredibile novità della programmazione televisiva natalizia.

È iniziato, questo trend, all’ultima Leopolda. In quell’occasione il premier e i suoi fedeli, giunti alla sesta edizione della tre giorni renziana iniziata a Firenze nel 2010, hanno voluto creare una nuova storia. Basta con le proposte, le richieste di cambiamento, le istanze di rottamazione. Il messaggio è: “ce l’abbiamo fatta”. Abbiamo vinto. Abbiamo fatto la riforma elettorale, la riforma della RAI, il Jobs Act e cancellato l’Imu, quindi il paese ora sta meglio e chi dice il contrario è un disfattista (gufo).

È la lettura di un futuro distopico dell’Italia dove la povertà è stata sconfitta (non uso ‘utopico' volutamente), i giovani trovano lavoro e il paese è uscito dalla crisi grazie a Matteo Renzi. In cui il nuovo Pd dei giovani rottamatori renziani – la “generazione Leopolda”, come l’ha definita il premier – ha scardinato il vecchio sistema di potere e ha cambiato il paese. “Nei fatti la Leopolda ha rivoluzionato il sistema politico”, dice il premier al Corriere.

Peccato che tutto questo non sia vero. Peccato che i giovani della Leopolda non siano mica tanto giovani (a parte Boschi, certo, che ogni due per tre non manca di ricordarci la sua età). Peccato che lì in mezzo ci siano anche diverse vecchie cariatidi, pardon, eccellenti. Peccato che si sia rottamato quello che faceva comodo rottamare, mentre buona parte dei vecchi “poteri forti” siano sempre lì, al fianco del governo.

Peccato che la povertà, la discriminazione, le disuguaglianze sociali in questa narrazione non esistano. Di per sé, infatti, nel raccontare quanto bene si è fatto in un anno e mezzo di governo non ci sarebbe nulla di male. È il loro lavoro. Anche ingigantire un po’ il tutto, i numeri, gli episodi, infarcire tutto coi “Viva l’Italia” che manco i Savoia a Vittorio Veneto, tutto questo non è un problema. Il problema è il carattere tendente all’autoritario che declina questa storia.

Autoritario, sì. Perché il governo di dirci la realtà sui dati della disoccupazione, sulla ripresa, e sulle disuguaglianze sociali, non va proprio. Quei dati ce li leggono nella maniera che fa più comodo, se e quando fa comodo. Nel mondo reale, invece, l’FMI sostiene che: “La ripresa dell'Italia rimane fragile e la disoccupazione anche a livelli inaccettabili”. Nell’ultimo bollettino, la BCE, certifica l’inizio della ripresa in Italia con costanti “rischi al ribasso”.

Sempre la BCE, pochi giorni fa rimarcava il fatto che in Italia il lavoro non cresce. Va meglio di noi praticamente a tutti: Grecia, Portogallo e Irlanda assieme sono responsabili del 15% della crescita di lavoro nell’area Euro. “Il contributo è comparabile a quello complessivamente fornito nello stesso periodo da Francia e Italia, due economie di dimensioni ben più significative”. Anche alla Francia va meglio che a noi, con 190mila posti di lavoro contro i nostri 127mila negli ultimi 2 anni.

Gli ultimi dati Istat, invece, riportano un calo della disoccupazione, che si accompagna però a un calo anche nel numero degli occupati, mentre aumentano gli inattivi (coloro che pur non avendo lavoro non lo cercano), e cresce in maniera preoccupante la disoccupazione giovanile. Aumenta l’incidenza dei part-time, e due terzi degli avviamenti sono contratti a tempo, mentre crescono i voucher: del 75% nel primo semestre 2015. Sono il nuovo strumento precario per pagare il lavoro occasionale (peggio di una partita Iva).

Non so se davvero Matteo Renzi pensa che ai giovani italiani per ritrovare un motivo per non emigrare possa bastare l’apertura di un valico o una visita alle domus di Pompei. Perché secondo l’Istat i nuovi posti di lavoro sono andati soprattutto agli over 50, mentre la disoccupazione giovanile è al 40%, senza contare tutti gli inattivi e i Neet, o le simulazione dell’Inps che dicono a una intera generazione che in futuro la loro pensione non esisterà.

La domanda sorge spontanea, come diceva qualcuno: perché? Non si potrebbero dire le cose come stanno, utilizzando tuti i dati per dare un quadro completo della ripresa e dell’occupazione, anziché insistere su un’immagine non reale del paese? Non si potrebbe accettare il confronto? Non si potrebbe – o dovrebbe dato che questo sarebbe un governo di centro sinistra – andare incontro a chi viene escluso dai timidi di segnali di ripresa, come i giovani tagliati fuori dal mercato del lavoro?

Sembra quasi che Matteo Renzi abbia paura. Che dopo solo un anno e mezzo di governo sia tanto nervoso sul proprio operato da dover ridipingere la realtà sfruttando ogni palco ed ogni taglio di nastro possibile. Sembra quasi che il premier voglia a tutti costi mettere tranquilli tutti, a suon di bonus di 80 euro e mance di 500 in sconti per i musei. È forse la sua più grande debolezza: voler dire a tutti che ha messo loro qualcosa in tasca, fosse un Imu o un buono per il cinema.

E però alla decima, alla centesima, alla millesima volta del solito blablabla, cascano le braccia. Ha stufato questa continua narrazione, che ora ambisce a lavaggio del cervello. Si dicano le cose come stanno, il mondo non crollerà, sicuramente non cadrà neanche il (suo) governo. Creda a me, presidente, ci provi una volta almeno allo specchio: “I giovani sono senza lavoro. La ripresa è incerta”. Lo troverà liberatorio. Magari le servirà anche a portare avanti quel cambiamento di cui parla tanto nel suo blablabla di ogni minuto-ora-giornata di ciò che resta del 2015.

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Michele Azzu è un giornalista freelance che si occupa principalmente di lavoro, società e cultura. Scrive per L'Espresso e Fanpage.it. Ha collaborato per il Guardian. Nel 2010 ha fondato, assieme a Marco Nurra, il sito L'isola dei cassintegrati di cui è direttore. Nel 2011 ha vinto il premio di Google "Eretici Digitali" al Festival Internazionale del Giornalismo, nel 2012 il "Premio dello Zuccherificio" per il giornalismo d'inchiesta. Ha pubblicato Asinara Revolution (Bompiani, 2011), scritto insieme a Marco Nurra.
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