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Opinioni

Caro giovane, ci fottiamo la tua pensione ma ti diamo il bonus

I giovani avranno pensioni bassissime e solo a 70 anni, certifica l’Inps. Serve una mobilitazione ora. Perché giocano con il nostro futuro. E i soldi delle pensioni, poi, dove sono finiti?
A cura di Michele Azzu
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Se compi 18 anni nel 2016 riceverai un buono sconto di 500 euro per le attività culturali in musei, teatri e cinema. Se sei un giovane tra i 20 e i 35 anni fra i tantissimi che lavorano con un contratto a tempo determinato – o fra i pochi eletti a possedere un contratto indeterminato – hai probabilmente ricevuto il bonus di 80 euro un anno fa.

Se sei giovane ma anche insegnante, con la riforma della scuola hai diritto a 500 euro per le spese di formazione, mentre sei sei giovane e lavori nelle forze dell’ordine, ora, anche tu riceverai il bonus di 80 euro in busta paga. Ti senti meglio con quei pochi soldi in più in tasca in un’epoca in cui di soldi, per i giovani, ne girano davvero pochi.

Poi, Tito Boeri, presidente dell’Inps, ti spiega che si sono fottuti la tua pensione. E allora cominci a capire che forse quei bonus che hai ricevuto erano solo una presa per i fondelli. Se poi ti ritrovi fra quei giovani che i 500 o gli 80 euro non li hanno neanche visti da lontano – come le partite Iva o i collaboratori, i disoccupati, gli inattivi, gli stagisti e i Neet – allora cominci davvero a non poterne più.

“Chi oggi ha 35 anni”, riporta una simulazione dell’Inps, “Prenderà nell'intera vita pensionistica in media un importo complessivo di circa il 25% inferiore a quella della generazione precedente pur lavorando fino a circa 70 anni”. La simulazione dell'Inps è stata condotta su un campione di circa 5.000 lavoratori nati nel 1980. Inoltre, i giovani di oggi, riporta l’Inps, avranno la pensione per meno anni rispetto ai genitori.

Si è scoperchiato il pentolone della “pensione ai giovani”, quello che da anni tutti discutono ma di cui i numeri veri ancora mancavano. E ci si è messa anche l’OCSE a riprendere l’Italia, col suo rapporto “Pensions at a Glance 2015” che stabilisce un semplice fatto: il sistema pensionistico italiano non è sostenibile. Colpisce i giovani. Discrimina le donne: trascorsi 5 anni fuori dal lavoro per occuparsi dei bambini una donna subirà un grave peggioramento del trattamento pensionistico, cosa che non accade – dice l’OCSE – negli altri paesi europei. Dove, inoltre, anche i padri hanno un congedo parentale, che in Italia non esiste.

Come siamo potuti arrivare a questo punto? In Italia la spesa pubblica va principalmente in pensioni e sanità. Nel 2013 in pensioni è andato il 15.7% del PIL, una cifra doppia rispetto alla media OCSE. La più alta d’Europa. E dove i contributi previdenziali sono fra i più alti in assoluto. Tito Boeri denuncia da anni le iniquità del sistema pensionistico, come fece ad esempio nel 2013, da professore, con la sua proposta “Non per cassa ma per equità”, tornata all’attenzione in questi giorni. “Fra le pensioni dei dipendenti attuali”, dice Boeri in occasione della conferenza del rapporto OCSE, “Tre quarti sono state percepite prima dei 60 anni. Secondo le proiezioni Inps per i lavoratori classe 1980 solo il 38,67% la prenderà prima dell'età di vecchiaia”.

Il ministro del lavoro Giuliano Poletti conferma, o meglio, non smentisce. Come sempre accade il ministro non delude nella sua inadeguatezza a comprendere, e saper rispondere, su tematiche di rischio sociale: “I giovani devono versare i contributi se vogliono una copertura previdenziale”, dice il ministro. “Non mi risulta siano stati immaginati strumenti alternativi che garantiscano soluzioni migliori".

Eh no, caro ministro, non risulta. Ma il punto è un altro. Il punto che il sistema pensionistico è iniquo e porterà inevitabilmente nel giro di pochi anni a problematiche sociali di portata devastante. E comincia tutto ora con le attese buste arancioni dell’Inps, quelle con la stima della pensione futura. Anche queste, ovviamente, condotte all’italiana: sui 3 milioni preventivati finora ne sono state spedite solo 150mila perché manca l’autorizzazione a superare il “vincolo di spesa” dell’Inps. E cioè, il costo dei francobolli per l’invio.

Potremmo anche ridere del fatto che L’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale stia inviando alle persone dei documenti che, viene specificato, sono: “senza alcun valore certificativo”. Potremmo riderne, non fosse che ci sarebbe da piangere. Perché questo, lo sappiamo, non è un paese per giovani. Perché non solo manca il lavoro. Ogni cosa è impossibile da farsi per i giovani oggi. Sei giovani su 10 vivono a casa dei genitori fino ai 35 anni. Calano le nascite, i giovani si sposano meno e sempre più tardi. E ora vedono quei pochi posti di lavoro che potrebbero trovare, venire presi dagli over 50.

Le domande sono tante. Ad esempio: ma a che è servita la riforma delle pensioni? Il dramma degli esodati che ancora non è finito? E poi, ancora, tutte quelle pensioni sotto i 1.000 euro certificate dall’ultimo Bilancio Sociale dell’Inps, che riporta: “Il 42.5% dei pensionati riceve una pensione inferiore ai 1.000 euro”. Sei milioni e mezzo di persone che faticano a fare la spesa. Ma i soldi delle pensioni dove diavolo sono finiti? Se siamo i primi in europa per spesa pensionistica, se abbiamo il prelievo previdenziale più alto d’Europa, se hanno riformato le pensioni e creato gli esodati e se 6 milioni e mezzo di anziani sono affamati a meno di 1000 euro al mese, allora, qualcuno può spiegarci dove diavolo sono finiti tutti questi soldi?

La questione giovani e pensioni in Italia ha tutta la portata distruttiva delle implicazioni del riscaldamento globale, per cui in questi giorni si cerca l’accordo a Parigi. Perché oggi possiamo ancora ignorare i primi effetti ma le conseguenze arriveranno presto e saranno pesantissime. Potranno portare a vite distrutte, conflitti sociali, spese per lo Stato ancora maggiori, sempre se questo paese potrà permetterselo. Perché i giovani che oggi non comprano casa, non lavorano, non mettono da parte, pagano contributi per la pensione degli altri, non fanno figli e non si sposano, tutti quelli che emigrano, tutto questo avrà un prezzo.

Quando queste persone realizzeranno di essere anziane e di non avere in mano che un pugno di mosche… saranno cavoli amari. E a chi oggi chiede spiegazioni non si può rispondere come un senatore Razzi qualunque: “Fatti i cazzi tuoi”. Serve cambiare ora: tagliando le pensioni più alte, alzando i contributi a chi ha stipendi e rendite da favola. Si introducano ora degli strumenti di sostegno al reddito universali per i giovani: perché arrivare con un lavoro continuativo fino ai 70 anni non è possibile. Serve iniziare ora una mobilitazione, smettere tutti assieme di pagare l’Inps, pretendere i nostri diritti. Servono partiti e movimenti a sostenere e guidare questa battaglia.

E il nostro primo ministro Matteo Renzi, che tante parole (in passato) ha speso per i giovani, che dà bonus ai 18enni e 80 euro a destra e a manca, vuole aiutare davvero i giovani? Allora intervenga ora. Sulle pensioni, sui nostri diritti. Per evitare una catastrofe. E la smetta di elargire queste mance elettorali che sanno tanto di presa per i fondelli, a cui non crede più nessuno.

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Michele Azzu è un giornalista freelance che si occupa principalmente di lavoro, società e cultura. Scrive per L'Espresso e Fanpage.it. Ha collaborato per il Guardian. Nel 2010 ha fondato, assieme a Marco Nurra, il sito L'isola dei cassintegrati di cui è direttore. Nel 2011 ha vinto il premio di Google "Eretici Digitali" al Festival Internazionale del Giornalismo, nel 2012 il "Premio dello Zuccherificio" per il giornalismo d'inchiesta. Ha pubblicato Asinara Revolution (Bompiani, 2011), scritto insieme a Marco Nurra.
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