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Opinioni

Conferenza sul clima: a Parigi si decide sul riscaldamento globale del pianeta

È il momento giusto per intervenire sul riscaldamento globale: c’è la volontà, c’è la consapevolezza, ci sono le tecnologie. Ma qualunque accordo si raggiungerà per ridurre le emissioni alla conferenza di Parigi non basterà.
A cura di Michele Azzu
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Non c’è mai stato come ora un momento più favorevole per cambiare passo sul riscaldamento globale – e quindi sulla riduzione nelle emissioni di gas nocivi per l’ambiente. Lo dice la campagna #EarthToParis, che raccoglie nomi e volti famosi in una ideale lettera del pianeta Terra a Parigi – epicentro del terrore, oggi, ma anche sede della Conferenza per il Clima che coinvolgerà 40mila persone fra scienziati, attivisti, businessman, e premier di tutto il mondo.

Perché è il momento giusto per intervenire contro il riscaldamento globale? Perché si è creata negli ultimi anni una intersezione inedita tra consapevolezza, volontà e tecnologie disponibili a voltare pagina sui combustibili fossili: questo racconta la campagna dei movimenti per l’ambiente. È forse il 2015 l’anno giusto per porre la parola fine a quella che il quotidiano britannico The Guardian ha definito: “La più importante storia del mondo”?

Alla Conferenza per il Clima (la sigla è COP21) 80 premier da tutto il mondo parteciperanno assieme a ministri, tecnici, scienziati, ma soprattutto businessman dei più importanti colossi industriali del mondo (di recente diversi businessman si sono schierati a favore, come l’indiano Ratan Tata e Paul Polman di Unilever). Con l’obiettivo di definire un accordo sulla riduzione delle emissioni, e trovare quindi un limite all’aumento della temperatura nel pianeta.

La speranza, insomma, è riparare a quanto non è stato fatto a Copenhagen nel 2009: in quell’occasione l’accordo si era rivelato un disastro clamoroso. Ma se nel 2009 si poteva ancora dubitare di un effettivo riscaldamento del pianeta, o per lo meno dell’esistenza di un rischio vicino nel tempo, ora le evidenze non lasciano più scampo. I ghiacciai della Groenlandia si stanno sciogliendo. Il 2015 è stato record di temperature, un mese dopo l'altro. "I paesi dovranno tagliare a zero le emissioni di CO2 nell'atmosfera entro il 2070 se si vuole evitare una catastrofe globale", è l'ultimo allarme dell'ONU.

IL DRAMMA DEI RIFUGIATI DEL CLIMA. Gli effetti si vedono anche sullo scacchiere della geopolitica internazionale, e sono sotto i nostri occhi nell’attualità di questi giorni. Il riscaldamento globale ha giocato un ruolo decisivo nell’emergenza rifugiati nel Mediterraneo e nel conflitto in Siria: lo hanno affermato di recente sia il Segretario di Stato americano John Kerry, che un ambientalista d’eccezione: il Principe Carlo d’Inghilterra.

“Migliaia di persone sono state uccise o hanno dovuto migrare negli ultimi anni a causa di tifoni e altri eventi direttamente riconducibili al riscaldamento globale”, spiega al Financial Times l’attivista e grande conoscitrice del tema Meena Raman, membro della non-profit malese “Third World Network”, che sarà al summit di Parigi. E i paesi più colpiti sono quasi tutti quelli del continente africano, più India, Bangladesh, Siria e Iraq, Cambogia, Yemen, Pakistan, assieme alle isola caraibiche e i paesi del Centro America.

Ma qual è il racconto della “più importante storia del mondo”? Abbiamo oggi globalmente: “Le temperature più alte che il mondo abbia mai visto negli ultimi 3 milioni di anni”, spiega l’ex leader del partito Labour inglese Ed Miliband su The Guardian. Non può che esserci una soluzione a questa storia se si vuole evitare il finale drammatico: prima o poi nel corso di questo secolo i paesi (quelli colpiti e quelli esenti da conseguenze immediate) dovranno raggiungere il traguardo delle “emissioni zero”. Anche perché, più prima che poi, le risorse disponibili di combustibili fossili finiranno, come i leader mondiali sanno bene.

LA POLITICA DEVE EVITARE LO SCANDALO DI COPENHAGEN. E lo sa bene Barack Obama, che ha fatto dell’accordo sul clima un impegno della sua fine di mandato presidenziale. Trovando anche la disponibilità – è la prima volta – della Cina, il secondo più grande produttore di gas assieme agli USA. L’obiettivo è raggiungere a Parigi il seguente accordo: limitare a 2 gradi centigradi l’aumento di temperature mondiale da qui alla fine del secolo (stando alle stime). Più probabilmente si andrà verso un aumento di circa 3 gradi. In entrambi i casi, però, l’amara verità è che nessuna delle due soluzioni basterà a limitare gli effetti del riscaldamento globale.

Come dire: l’accordo di Parigi 2015 è importante ma non sarà mai abbastanza. L’importante è che non accada qualcosa di simile a Copenhagen 2009. In occasione della conferenza venne fuori un testo segreto – la “Bozza Danese” – che stabiliva limiti diversi tra i paesi ricchi e quelli più poveri in merito alle emissioni (permettendo ai primi di emettere il doppio dei gas nocivi) e accantonava il ruolo delle Nazioni Unite nelle negoziazioni future sul clima. Un testo che vedeva fra i suoi autori Regno Unito, USA e Danimarca.

MANIFESTAZIONI CANCELLATE: UN BRUTTO COLPO AL MOVIMENTO. Lo scandalo della “Bozza Danese” ci riporta al conflitto in seno alle Nazioni Unite: la poca democraticità e trasparenza, il peso irrilevante delle nazioni povere, piccole, poco influenti o in via di sviluppo. Ma proprio qui sta il problema del riscaldamento globale: sono i paesi più deboli a soffrirne le conseguenze per primi, e questo implica che qualcuno debba far sentire la loro voce nelle trattative internazionali.

Questo problema è emerso con forza in questi giorni, dopo la decisione del governo francese di annullare ogni manifestazione pubblica connessa al summit del clima, in primo luogo la marcia del 29 novembre che avrebbe dovuto richiamare nelle stime degli organizzatori – Avaaz, 350.org e la rete di associazioni Coalition Climate 21 – circa 200mila persone. Rimangono solo gli eventi al chiuso, come i concerti di Patti Smith, Thom Yorke dei Radiohead e Flea, bassista dei Red Hot Chili Peppers.

E rimangono le manifestazioni parallele in tutto il mondo – dalla Tanzania al Kazakistan, Berlino, Madrid – che dovrebbero raccogliere la partecipazione di circa 700mila persone totali se si replicheranno i numeri delle manifestazioni dell’anno passato. La marcia più grande a Londra, dove saranno presenti le star Vivienne Westwood, Vanessa Redgrave, Peter Gabriel e Kate Tempest. Ma in tutto il mondo si terranno altre 2.000 manifestazioni, e ben 50 marce nelle capitali – a Roma l’appuntamento è il 29 in Piazza Farnese: un corteo partirà alle ore 14.00 verso i Fori Imperiali dove si terrà un concerto.

Ma l’annullamento della marcia di Parigi, che il governo francese ha deciso per via delle misure antiterroristiche seguite agli attentati del 19 novembre, è un duro colpo al movimento globale per l’ambiente. “Le persone che affrontano l’impatto peggiore dei cambiamenti climatici non hanno alcuna voce virtuale nel dibattito occidentale sul riscaldamento globale”, ha denunciato la nota scrittrice ed attivista canadese Naomi Klein (autore di un noto libro sul clima), all’indomani della decisione dell’Eliseo.

Perché se è vero che il momento è cruciale, è anche vero che qualsiasi cosa si firmerà alla Conferenza del Clima non basterà. Mentre questo sarebbe il momento migliore per dare una svolta: c’è la volontà dei leader più influenti, c’è la consapevolezza dell’opinione pubblica. Ci sono anche le tecnologie. Già, perché il costo dell’energia solare è sceso tantissimo negli ultimi anni, mentre nel 2015 quello dell’eolico ha raggiunto il gas naturale. Il Climate Change Commitee del governo britannico ha affermato che eolico e solare assieme potranno pareggiare i costi con l’energia prodotta per mezzo di gas già nel 2020. Insomma, sembra essere il momento buono per iniziare a fermare il riscaldamento globale. E con esso, il dramma dei rifugiati del clima.

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Michele Azzu è un giornalista freelance che si occupa principalmente di lavoro, società e cultura. Scrive per L'Espresso e Fanpage.it. Ha collaborato per il Guardian. Nel 2010 ha fondato, assieme a Marco Nurra, il sito L'isola dei cassintegrati di cui è direttore. Nel 2011 ha vinto il premio di Google "Eretici Digitali" al Festival Internazionale del Giornalismo, nel 2012 il "Premio dello Zuccherificio" per il giornalismo d'inchiesta. Ha pubblicato Asinara Revolution (Bompiani, 2011), scritto insieme a Marco Nurra.
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