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Marco Travaglio condannato per aver diffamato tre giudici: dovrà risarcire 150mila euro

Il direttore del Fatto Quotidiano Marco Travaglio è stato condannato dal tribunale di Roma per aver diffamato tre giudici. Previsto anche un risarcimento da 150mila euro, una “cifra mai vista” secondo l’avvocato di Mario Fontana, Wilma Mazzara e Annalisa Tesoriere.
A cura di Stefano Rizzuti
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Il direttore del Fatto Quotidiano Marco Travaglio è stato condannato per diffamazione dal tribunale di Roma. Travaglio avrebbe diffamato tre magistrati siciliani: Mario Fontana, Wilma Mazzara e Annalisa Tesoriere in un articolo sull’assoluzione degli imputati del processo sulla latitanza e sulla mancata cattura di Provenzano. A rendere nota la notizia è stato il legale dei magistrati che ha inoltre sottolineato come il tribunale abbia disposto anche una provvisionale di 150mila euro, una “cifra mai vista”, secondo l’avvocato. Il 19 maggio del 2016 era stata emessa la sentenza che confermava l’assoluzione di Mori e Obinu. Nel giugno del 2017, invece, la Cassazione ha assolto in via definitiva i due.

I tre magistrati formavano il collegio della IV sezione Penale che giudicò gli ex ufficiali dei carabinieri Mori e Obinu, accusati di favoreggiamento al boss ma che vennero assolti. Nell’articolo oggetto della decisione, datato 16 ottobre 2013, Travaglio scrisse: “Ora abbiamo la cluster sentenza che non si limita a incenerire le accuse del processo in cui è stata emessa ma, già che c’è, si porta avanti e fulmina anche altri processi, possibilmente scomodi per il potere”. Il riferimento del direttore del Fatto Quotidiano è al processo sulla presunta trattativa Stato-mafia, tutt’ora in corso a Palermo.

A quel punto Travaglio attaccò i tre magistrati:

La grande innovazione si deve ai tre giudici della IV sezione del Tribunale di Palermo che l’altroieri hanno depositato le motivazioni dell’assoluzione del generale Mario Mori e del colonnello Mauro Obinu, imputati di favoreggiamento mafioso per non aver catturato nel 1995 Bernardo Provenzano pur avendolo sotto il naso in una masseria di Mezzojuso, secondo le dettagliate indicazioni del boss confidente Luigi Ilardo, poi naturalmente ucciso. L’innovazione è foriera di effetti benefici per lo snellimento dei processi: con la pratica formula Dash “prendi tre e paghi uno”, i giudici di un processo ne celebrano pure altri due, risparmiando la fatica ai loro colleghi impegnati in quelli. Nel nostro caso, i valenti magistrati che hanno assolto Mori e Obinu hanno deciso che è ormai inutile celebrare il Borsellino-quater a Caltanissetta sulla morte del giudice e della sua scorta in via D’Amelio, e anche il processo sulla trattativa Stato-mafia, appena iniziato dinanzi alla Corte d’Assise di Palermo. Dunque è oltremodo superfluo ascoltarvi Napolitano (citato in entrambi) e gli altri testimoni eccellenti indicati dalle rispettive Procure.

Travaglio in quell’articolo parlò ancora della sentenza: “Poi finalmente, a pagina 846, i cluster giudici si ricordano dei loro imputati, cioè Mori e Obinu. E scrivono che sì, in effetti, evitare di catturare Provenzano due anni dopo aver evitato di perquisire il covo di Riina non fu una bella cosa. Anzi, fu una ‘scelta operativa discutibile’, in cui ‘non mancano aspetti opachi’. Una ‘condotta attendista’ che sarebbe ‘sufficiente a configurare in termini oggettivi il reato di favoreggiamento’. Ma – e qui casca l’asino – non in termini soggettivi, perché ‘non è adeguatamente provato’ che Mori l’abbia fatto ‘per salvaguardarne la latitanza’.

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