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L’Afghanistan sull’orlo del tracollo economico e della catastrofe umanitaria al centro del G20

Nel G20 di questo fine settimana a Roma i leader mondiali torneranno a parlare di Afghanistan. Per capire meglio cosa sta accadendo in questo momento nel Paese in vista del vertice ci siamo rivolti a Riccardo Alcaro, coordinatore delle ricerche e responsabile del programma “Attori globali” allo IAI, l’Istituto Affari Internazionali. Ecco il quadro che ci ha disegnato.
A cura di Annalisa Girardi
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La situazione in Afghanistan sarà uno dei temi centrali del G20 che si terrà questo fine settimana a Roma. Per capire meglio cosa sta accadendo in questo momento nel Paese e di cosa dovranno effettivamente discutere i leader mondiali durante il vertice ci siamo rivolti a Riccardo Alcaro, coordinatore delle ricerche e responsabile del programma "Attori globali" allo IAI, l'Istituto Affari Internazionali. "I Talebani hanno ottenuto una vittoria completa, in questo momento non esistono zone dell'Afghanistan in cui sono attivi gruppi armati che fanno resistenza attiva al nuovo emirato. Però questo non vuol dire che il Paese sia stabile dal punto di vista della sicurezza", ci ha spiegato, sottolineando che sono appena passati pochi mesi dalla ripresa del potere dei Talebani e che i gruppi che si opponevano ai Talebani durante il loro primo governo, a metà degli anni Novanta, si potrebbero ancora riorganizzare. "C'è un altro fronte di sicurezza, già aperto, che riguarda movimenti jihadisti più radicali ancora dei Talebani. Come ad esempio l'Isis-K", ha aggiunto. Si tratta di un gruppo che negli ultimi tempi ha condotto una serie di attacchi, il più funesto quello all'aeroporto di Kabul negli ultimi giorni prima della deadline per l'evacuazione dei cittadini dal Paese.

E ancora: "Sul fronte socio-economico l'Afghanistan è di fatto in una situazione di catastrofe umanitaria imminente. Il governo internazionalmente riconosciuto che è collassato ad agosto riceveva dagli aiuti esteri, in particolar modo americani, finanziamenti che coprivano il 75% della spesa. Per tre quarti il governo internazionalmente riconosciuto di Kabul era finanziato da aiuti esteri. Questi sono venuti del tutto meno. In più, negli ultimi vent'anni la presenza degli Stati Uniti e internazionale aveva integrato l'Afghanistan nell'economia globale: questo vuol dire che la banca centrale afghana detiene titoli in dollari all'estero, che sono stati congelati da Washington nella prospettiva di creare una leva di influenza sul nuovo governo di Kabul". Un fattore che però lascia poco margine all'esecutivo per pagare gli stipendi pubblici o per finanziare le opere pubbliche.

Americani ed europei, secondo Alcaro, in sede di G20 pensano ancora di poter dettare le regole in seno alla comunità internazionale e in questo senso dare un indirizzo all'evolversi della vicenda. "Questo si è visto anche nel vertice straordinario convocato da Draghi a inizio mese il cui scopo era proprio quello di creare dei canali attraverso i quali finanziamenti internazionali possano passare nel Paese senza passare per le mani del governo talebano", ha spiegato il ricercatore. Se gli aiuti economici arrivassero direttamente nelle tasche del governo, continua poi, sarebbe come conferirgli una legittimazione a livello globale: "Gli aiuti dovrebbero così passare invece per organizzazioni umanitarie presenti sul campo".

Non c'è solo una dimensione globale, ma anche una regionale. I Paesi limitrofi o quantomeno vicini, ha precisato Alcaro, cercano in questo senso di costruire un rapporto quantomeno dialogante con il regime dei Talebani per evitare il collasso del governo e un vuoto di sicurezza. Situazione che porterebbe nuovamente a delineare entro i confini dell'Afghanistan un rifugio per organizzazioni terroristiche e che causerebbe una catastrofe umanitaria che aumenterebbe la pressione migratoria in primis nei confronti dei Paesi confinanti. "Questa dimensione regionale viene vissuta in maniera competitiva rispetto a quella del G20, a quella occidentale", ha aggiunto il ricercatore, ricordando come al G20 straordinario di metà ottobre fossero assenti i capi di Stato o di governo di Russia e Cina, che hanno invece mandato i loro ministri degli Esteri.

Questi Paesi sembrerebbero allora preferire il dialogo nella dimensione regionale, che si allarga anche a Iran e Pakistan. Il 27 ottobre c'è stato un vertice proprio a Teheran che, oltre ai Paesi confinanti o comunque vicini, ha visto la partecipazione anche di Mosca e Pechino. La possibilità, ha precisato Alcaro, che i dialoghi sulla crisi afghana avvengano senza considerare la partecipazione euro-americana sancirebbe una netta perdita di rilevanza e influenza globale per Bruxelles e per Washington. Una questione di prestigio, soprattutto per gli Stati Uniti e il loro ruolo di attore imprescindibile negli affari globali.

Al di là dei diversi interessi e dei differente approcci di queste due dimensioni, un timore che condividono sia l'Europa che i Paesi limitrofi è che l'instabilità afghana possa innescare altre ondate migratorie. In particolare per i governi europei c'è la preoccupazione che i profughi vengano strumentalizzati dai Paesi di transito in favore delle loro rivendicazioni su Bruxelles. "La Bielorussia già lo sta facendo. Per la Turchia il discorso è un po' più complicato, ma Ankara ha già detto che non vuole ripetere la situazione del 2015", ha sottolineato il ricercatore.

Infine, una questione di cui dovrà discutere il G20 è quella delle sanzioni. Da un lato, infatti, i Paesi occidentali pensano alle sanzioni come strumento per controllare il comportamento del governo dei Talebani; dall'altro queste rischierebbero di rappresentare il colpo di grazie ad un'economia già di per sé sull'orlo del tracollo, con conseguenze pesantissime per la popolazione. "È una questione difficilissima. Gli americani sono intenzionati a usare il congelamento dei titoli della banca centrale afghana negli Stati Uniti come leva e non penso che saranno estremamente flessibili su questo punto. Sono fondi ingenti di proprietà del precedente governo afghano. I Talebani credono di avere una legittima pretesa, ma in realtà dipende dagli USA. Se si tornasse alle pratiche degli anni Novanta non vedo grandi chances che i fondi siano scongelati. Certamente è un dilemma", ha concluso Alcaro.

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