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Opinioni
Crisi di Governo 2022

Conte si sente ancora il leader della coalizione, ma ha bisogno che il M5s dica sì a Draghi

Con il conferimento dell’incarico di governo a Mario Draghi e la fine della maggioranza giallorossa, crescono i dubbi sul futuro politico di Giuseppe Conte. Proviamo a capire come si muoverà l’ex Presidente del Consiglio e perché dalle sue mosse dipende in qualche modo anche il futuro del nuovo centrosinistra (e non solo).
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fonte: Getty Images
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L’incarico a Mario Draghi implica la fine della seconda esperienza di Giuseppe Conte a Palazzo Chigi, dopo due anni e mezzo da Presidente del Consiglio, sorretto da due maggioranze diverse. Non è necessariamente la fine della carriera politica del professore pugliese, che resta fra i leader politici più apprezzati dagli italiani e ha nuovamente incassato la fiducia dei vertici del Movimento 5 Stelle. Anzi, capire come si muoverà Conte dopo il sempre più probabile avvicendamento con Draghi è essenziale per immaginare quale potrebbe essere la configurazione del quadro politico italiano e anche che tipo di supporto (tempo e programmi) darà la “vecchia maggioranza” all’iniziativa del governo istituzionale/tecnico/politico presa dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella.

Conte è stato il garante del patto di governo fra Partito Democratico, Movimento 5 Stelle e Liberi e Uguali, il “punto di caduta” di un’alleanza nata esclusivamente per impedire un ritorno al voto che avrebbe regalato la vittoria alla destra di Matteo Salvini, ma con il passare del tempo trasformatasi in qualcosa di molto vicino a una reale alternativa di governo. Un processo lento che paradossalmente ha beneficiato della debolezza del Movimento 5 Stelle, alle prese con un complicato processo di (ri)costruzione identitaria, nonché della marginalità della forza “di sinistra” della maggioranza, che tra scissioni e incertezze non riesce da tempo a esprimere una chiara idea di mondo né a rappresentare efficacemente alcuna istanza o gruppo sociale. Un insieme di elementi che, combinati con la strategia del passo indietro di Nicola Zingaretti (consapevole che il suo partito non esiste se non come forza di governo), sembravano poter disegnare un nuovo e atipico bipolarismo, basato più che su categorie consolidate (europeismo/sovranismo, statalismo/liberismo), sulla forte riconoscibilità dei due leader e su pochi temi qualificanti. Proprio il consolidamento di un elettorato "contiano", anche prima che la pandemia facesse da catalizzatore, era uno degli elementi più interessanti sulla scena politica: un consenso personale che cementava un'alleanza debole e mai pienamente strutturata, grazie alla creazione di un calderone "governista" che teneva dentro istanze, culture e identità politiche molto diverse. Non ci dilungheremo sui limiti del progetto, ciò che ci interessa è sottolineare come a farlo crollare siano state proprio le due forze politiche che sarebbero state marginalizzate da questa polarizzazione: Forza Italia e, ovviamente, Italia Viva di Matteo Renzi (che evidentemente ha fatto saltare il tavolo anche per questa ragione).

La fine dell'esperienza di governo è una cesura netta, che potrebbe anche archiviare definitivamente la stagione della convergenza PD-M5s-LeU. Come detto, oltre che dall'orientamento di PD e M5s nei confronti di Draghi, molto dipenderà da cosa sceglierà di fare l'ex Presidente del Consiglio. Secondo alcuni analisti, l'uscita di scena di Conte e l'appoggio dei democratici a un governo Draghi, determineranno automaticamente lo sparigliamento del campo del centrosinistra, con il M5s di nuovo su posizioni "massimaliste/populiste" (che sarebbero determinate anche da un cambio di leadership) e con la rottura dell'equilibrio fra le correnti all'interno del PD. Non a caso, il primo pensiero di Zingaretti in queste ore è stato quello di convincere M5s e LeU a sedersi intorno a un tavolo per "rafforzare l'alleanza" e non disperdere il lavoro fatto in queste ore (certo, l'idea che i grillini votino la fiducia a Draghi è ardita, ma di capriole a 5 Stelle ne abbiamo viste e ne vedremo ancora). Franceschini si è spinto oltre, fino a chiedere apertamente ai grillini di votare Conte. Per ora, però, l'incontro tra le delegazioni ha prodotto soltanto l'ossimoro della "prospettiva unitaria ma posizioni diverse". Il punto fondamentale è che i 5 Stelle devono decidere cosa vogliono fare con Draghi e devono farlo senza titubanze o incertezze, perché il rischio è quello di regalare a Salvini il potere di decidere quando e come nascerà, vivrà e cadrà l'esecutivo voluto da Mattarella. Conte, che ha ancora un credito enorme, non può tirarsi fuori dalla partita.

Le parole pronunciate poche ore fa vanno nella direzione di continuare a essere il leader della coalizione: "Lavorerò per il bene del Paese e perché si possa formare un nuovo governo per risolvere le emergenze. Auspico un governo politico che sia solido e abbia la coesione necessaria per operare scelte eminentemente politiche, perché le urgenze del Paese non possono essere affidate a squadre di tecnici. Al Movimento dico “io ci sono e ci sarò”, ma è essenziale che il lavoro con PD e LeU continui, nel solco di questa ‘alleanza per lo sviluppo sostenibile'". Tradotto: sono il leader della coalizione, ma serve un appoggio compatto a Draghi, per dargli una parvenza di esecutivo politico e non tecnico.

L'uovo di Colombo sarebbe un incarico all'interno dell'esecutivo di Draghi, ma per Conte sarebbe l'ennesimo riposizionamento e i suoi fedelissimi fanno sapere che c'è  un limite anche al concetto di "uomo per tutte le stagioni". Invece, una delle ipotesi sul tavolo prevede che si decida finalmente a prendere le redini del Movimento 5 Stelle. In questo modo, resterebbe garante della collocazione politica dei grillini e del canale di comunicazione con i democratici, rendendo molto complessa la scalata dell'area "massimalista" dei 5 Stelle, anche in virtù del credito che gode tra i militanti. Smettere i panni del garante per diventare uomo di parte, però, significherebbe anche ridimensionare le proprie ambizioni di guidare l'intero campo del centrosinistra e rischiare di essere logorato dal compito di dover avallare quei compromessi e quelle decisioni parlamentari che il M5s dovrà far ingoiare ai propri elettori nel caso decidesse di supportare il governo Draghi.

La durata e la stabilità dell'esecutivo dell'ex Presidente della BCE sono vere e proprie incognite in questo ragionamento. Nel caso (remoto) in cui si trattasse di un'esperienza breve, per portare il Paese alle urne in estate, Conte potrebbe tranquillamente stare a guardare, in modo da presentarsi nuovamente come il riunificatore dell'alleanza PD – M5s – LeU, magari con una propria lista in grado di raccogliere l'elettorato personale. Difficile però che Draghi sia così debole da non governare per un intervallo di tempo più ampio, che potrebbe arrivare fino al completamento della legislatura. E il tempo è il primo nemico di Conte e primo alleato dei suoi nemici. Se il Presidente del Consiglio incaricato riuscisse a mettere in piedi un esecutivo efficiente e in grado di traghettare con successo l'Italia oltre la pandemia, è evidente come sarebbe un attore politico spendibile anche in futuro, con cui il PD sarebbe naturalmente portato a dialogare. Se Draghi fallisse e il suo governo si trovasse a essere uno stanco accrocchio di tecnici malvisti dai cittadini e politici trasformisti, sarebbe inevitabile una crescita dell'opposizione populista e sovranista, che banchetterebbe sui costanti rovesci parlamentari. In entrambi i casi, assisteremmo a un rimescolamento del quadro, in modi nei quali fatichiamo a vedere spazi di agibilità politica per Conte.

Insomma, il due volte Presidente del Consiglio è in una situazione complessa, non può muoversi senza determinare cambiamenti del quadro politico ma allo stesso tempo deve tenere conto di un quadro che è già mutato. E anche l'ipotesi di restare "a disposizione", un civil servant o una riserva della Repubblica, a ben vedere è solo una formula vuota, buona al massimo per qualche intervista o diretta Facebook.

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A Fanpage.it fin dagli inizi, sono condirettore e caporedattore dell'area politica. Attualmente nella redazione napoletana del giornale. Racconto storie, discuto di cose noiose e scrivo di politica e comunicazione. Senza pregiudizi.
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