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Cosa dice la direttiva sul salario minimo approvata dal Consiglio Ue e in che modo riguarda l’Italia

Il testo si rivolge ai Paesi che hanno un salario minimo nazionale, e anche a chi applica i contratti collettivi, come l’Italia. Non obbliga a introdurre un salario minimo per tutti, ma cerca di rendere più efficienti le norme che esistono già.
A cura di Luca Pons
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Il Consiglio dell'Unione europea ha approvato definitivamente la direttiva per promuovere l'adeguatezza dei salari minimi. La direttiva si rivolge non solo ai Paesi dell'Unione che hanno un salario minimo nazionale – 21 su 27 Stati membri – ma anche a chi utilizza i contratti collettivi. In sostanza, non si tratta di una direttiva che obbliga l'Italia ad adottare un salario minimo generale, ma determina come renderlo più efficace dove già esiste, oltre a cercare di rendere più inclusivi i contratti collettivi.

La direttiva chiede agli Stati membri in cui i salari minimi legali sono previsti di creare un quadro procedurale per fissarli con chiarezza e aggiornarli ogni due anni, o al massimo ogni quattro anni, per i Paesi che usano sistemi di indicizzazione automatica. Non si prevede esplicitamente un livello minimo di salario da stabilire, anche se i Paesi "potranno determinare un paniere di beni e servizi a prezzi reali, o fissarlo al 60% del salario mediano lordo e al 50% del salario medio lordo".

L'Italia è uno dei 6 Paesi dell'Ue che non prevedono un salario minimo generale: come Austria, Cipro, Danimarca, Finlandia e Svezia, si affida ai contratti collettivi tra dipendenti e lavoratori. Anche di questo si occupa la direttiva: si promuove la contrattazione collettiva a livello settoriale, infatti "gli Stati membri in cui meno dell’80% dei lavoratori è interessato dalla contrattazione collettiva, dovranno – congiuntamente alle parti sociali – stabilire un piano d’azione per aumentare tale percentuale".

Oggi la copertura dei contratti collettivi in Italia è di circa il 90%, anche perché esistono 992 contratti collettivi nazionali diversi. Sono molto aumentati negli ultimi anni: nel 2012 erano 551. Molti dei nuovi contratti, però, riguardano un numero ristretto di lavoratori. Nel settore privato, 272 contratti collettivi – che sono stati sottoscritti da organizzazioni sindacali più piccole di Cgil-Cisl-Uil – coinvolgono 387 mila lavoratori, meno di 1500 persone ciascuno.

La direttiva vuole anche facilitare l'accesso al salario minimo legale: si prevede di aumentare i controlli da parte degli ispettorati del lavoro, di diffondere informazioni facilmente accessibili sulla tutela garantita dal salario minimo e di dare la possibilità, alle autorità responsabili di ciascun Paese, di prendere provvedimenti verso i datori di lavoro che non rispettano le regole.

La direttiva era partita il 28 ottobre 2020, con una proposta della Commissione europea al Consiglio dell'Unione europea – che riunisce i ministri dei 27 Paesi dell'Ue – e al Parlamento europeo. I lavori sono proseguiti fino al 7 giugno di quest'anno, quando Parlamento e Consiglio hanno raggiunto una posizione comune, e sono terminati con il via libera definitivo arrivato in questi giorni. La direttiva entrerà in vigore venti giorni dopo la sua pubblicazione nella Gazzetta ufficiale, e gli Stati membri avranno due anni per recepirla nelle leggi nazionali.

"Questa legislazione è un messaggio di speranza per chi è costretto a contare i centesimi a causa della crisi energetica" ha detto Marian Jurečka, ministro del Lavoro e degli affari sociali della Repubblica Ceca e membro del Consiglio. "I salari minimi e la contrattazione collettiva sulla determinazione dei salari sono strumenti poderosi che possono essere utilizzati per garantire a tutti i lavoratori salari che consentano un tenore di vita dignitoso".

Per i sindacati Cgil, Cisl e Uil si tratta di "un passo in avanti fondamentale, frutto di un lungo percorso durato oltre due anni". Lo affermano le segretarie confederali Cgil e Uil, Francesca Re David e Tiziana Bocchi, e il segretario confederale della Cisl, Giulio Romani. "Siamo tuttavia consapevoli che sia ora necessario mettere in campo il massimo impegno per migliorare l’efficacia della contrattazione, nazionale e di secondo livello, e per aumentare salari e retribuzioni complessive". Per questo, i sindacati chiedono "un coinvolgimento attivo delle parti sociali, da parte del futuro governo, nella definizione di iniziative che puntino a rendere la contrattazione sempre più diffusa, efficace e di qualità".

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