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La sinistra non parla più a giovani, poveri e lavoratori (che si rivolgono alle destre)

Per chi vive situazioni di sfruttamento sul lavoro e disoccupazione, oggi, c’è un vuoto di rappresentanza politica enorme. Le uniche risposte arrivano dalla destra, mentre servirebbero politiche di sinistra per difendere la giustizia sociale.
A cura di Michele Azzu
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Un giovane con la laurea in tasca che lavora a tempo pieno e porta a casa – quella dei genitori dove continuerà a vivere fino alla soglia dei 40 anni – mille euro al mese, magari pure lordi, oggi non sa a chi rivolgersi per cercare di cambiare la propria situazione. Una donna che al sud non riesce a trovare lavoro e decide di occuparsi della famiglia, non sa cosa fare per avere le opportunità che le spetterebbero in un paese civile. Un quarantenne che ha perso il lavoro, oggi, non sa come fare perché è privo della cultura sindacale che una volta era presente nella vita di un lavoratore.

C’è un vuoto di rappresentanza enorme per coloro che vivono oggi condizioni di sfruttamento, disoccupazione e precariato. E sono ogni anno di più: giovani con la laurea in tasca ma zero opportunità, donne che nel sud del paese per metà rimangono fuori dal mercato del lavoro. Tutti quelli che sono entrati col piede sbagliato in un’occupazione, con un contratto precario o la partita Iva, e ora si rendono conto che non potranno mai accendere un mutuo. Sono nonni e genitori che hanno speso i propri risparmi per aiutare figli e nipoti ad aprire un’attività o comprare casa.

Secondo l’ultimo rapporto Istat in Italia 17 milioni di persone sono a rischio povertà ed esclusione sociale, il 48% delle famiglie con tre o più figli (quasi il 10% in più rispetto a un anno fa). È in questi numeri che bisogna guardare per capire il rifiuto della politica degli italiani, per capire ciò che è appena successo col referendum dove il 60% del paese ha detto No al governo di Matteo Renzi, alla riforma costituzionale, allo status quo. È a queste persone, che nella politica non hanno più un riferimento o una speranza, che la sinistra dovrebbe rivolgersi.

È un problema che riguarda soprattutto la categoria dei giovani, per cui i salari sono decisamente più bassi di una volta. E con i voucher acquistati in tabaccheria, coi contratti a tempo che durano fino a tre anni, con le partite Iva e tutte le altre forme di lavoro è raro che un giovane oggi lavori con le stesse tutele di una persona più anziana. Si parla di lavoratori poveri, dunque. Ma c’è anche un enorme problema disoccupazione fra i giovani, col tasso che rimane oscillante attorno al 40% ormai da anni, con picchi da Grecia nelle regioni del sud.

Oggi più che mai servirebbe una politica che ai contratti precari contrapponga le tutele, che all’impoverimento dei giovani proponga ammortizzatori sociali e welfare, che alla chiusura delle fabbriche cerchi di porre rimedio fermando le delocalizzazioni e facendo pagare alle aziende i danni. Insomma, serve una sinistra. Che non deve essere per forza il PD o un partito radicale, ma un progetto politico che si occupi di lavoratori, di poveri, di giustizia sociale. Il referendum costituzionale, le recenti elezioni amministrative, il voto in Europa e negli USA parlano chiaro.

Ricordate pochi anni fa, quando ci dicevano che la sinistra per andare al governo doveva essere moderata, liberale, doveva pensare non solo al lavoro ma anche alle imprese, per poter fare le riforme? Ricordate quando il PD inseguiva Casini? E poi, solo tre anni fa, ricordate quando Renzi diceva che era necessario introdurre la flessibilità sul posto di lavoro – e cancellare l’articolo 18 come è stato fatto – per creare più occupazione? Erano balle, oggi smentite perfino dalle stesse persone che queste cose le hanno divulgate per anni.

Ma nel frattempo, inseguendo il mantra del “centrismo” la sinistra ha perso sé stessa e la sua ragion d’essere: il lavoro. Non so chi potrà portare avanti queste istanze nei prossimi anni, non so quanto sia possibile che torni in campo qualche soggetto della sinistra radicale, ormai scomparsa. E non so se sia possibile che il PD possa essere diverso dall’attuale partito dell'establishment, né so se alcune di queste rivendicazioni di sinistra potranno essere adottate dal M5S (più avanti ragiono su questo).

Ma il rischio è che in assenza di una sinistra, poveri, giovani e lavoratori si rivolgano alle destre. Ai nazionalisti, agli xenofobi, agli anti immigrati. È successo in America, dove i disoccupati e i poveri hanno preferito credere alle menzogne di Donald Trump. “Puniremo gli industriali che decideranno di portare le fabbriche all’estero”, ha promesso Trump in campagna elettorale, e poco importa che si tratti di una bufala. Anche nel Regno Unito, il nuovo primo ministro, la xenofoba Theresa May, ha rivolto i suoi discorsi a poveri e lavoratori del paese: “Per un Regno Unito che funzioni per tutti”.

Ora, provate a immaginare una cosa simile in Italia. Quale politico, quale partito o movimento, ha avuto il coraggio di promettere, ad esempio, che se Fiat porterà gli stabilimenti all’estero punirà Sergio Marchionne? Quale partito ha in mente di impedire alle pubbliche amministrazioni e alle imprese di fare lavorare i giovani coi voucher, o di prendere fondi pubblici per pagare tirocini di sei mesi, come è accaduto negli ultimi due anni con la Garanzia Giovani? Insomma, chi, fra i leader politici e gli schieramenti in gioco oggi, ha preso in mano la difesa dei lavoratori poveri in Italia?

Eppure c’è un bisogno disperato di politica che parli e si occupi di queste cose. E su questo si giocheranno le prossime campagne elettorali. Il voto contro Renzi è arrivato soprattutto dai giovani poveri, dal sud Italia. Da chi chiede diritti, da chi ha fame di cambiamento. E questo vale oggi in misura maggiore per i giovani, che nonostante il livello d’istruzione più alto dei proprio genitori, scontano condizioni di lavoro e di vita peggiori delle generazioni precedenti.

Ad occuparsi di parte di queste istanze, negli ultimi anni, c’è stato soprattutto il Movimento 5 Stelle. I grillini sono forse l’unico movimento che negli ultimi anni ha proposto interventi importanti, radicali, per i giovani e i poveri del paese. Su tutti, la proposta del reddito di cittadinanza, che fino a un anno fa era considerato ancora un’eresia, e che ora invece è per tanti analisti e politici nel mondo una proposta di legge decisiva per il futuro della democrazia, dato che è ormai chiaro che con la crescita dell’automazione (dei robot) ci sarà sempre meno lavoro tradizionale.

D’altra parte, però, anche il programma del M5S sul lavoro e sulla povertà rimane debole. A guardare le proposte sull’economia del movimento si parla di fine della corruzione, di limiti alle imprese e ai consigli d'amministrazione, di fondi alla piccola e media impresa, di turismo e green economy. Tutti interventi sacrosanti, ma che non basteranno mai a risolvere il problema del precariato, della disoccupazione giovanile, dello sfruttamento sistemico dei lavoratori in questo paese. Il M5S potrebbe decisamente fare di più sulle proposte in questo campo.

Perché quello che servirebbe oggi in Italia è più politica di sinistra che parli ai problemi reali dei poveri, dei giovani, dei precari, delle donne. Questo oggi manca nel nostro paese, e l’unica risposta alla povertà e alla disperazione al momento è quella della destra, contro gli immigrati, per fomentare la paura. Una risposta che oltre a creare odio, oltre a creare una guerra fra poveri, alla fine non risolve nulla. Non lasciamo che i giovani, i poveri, i lavoratori vadano alle destre.

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Michele Azzu è un giornalista freelance che si occupa principalmente di lavoro, società e cultura. Scrive per L'Espresso e Fanpage.it. Ha collaborato per il Guardian. Nel 2010 ha fondato, assieme a Marco Nurra, il sito L'isola dei cassintegrati di cui è direttore. Nel 2011 ha vinto il premio di Google "Eretici Digitali" al Festival Internazionale del Giornalismo, nel 2012 il "Premio dello Zuccherificio" per il giornalismo d'inchiesta. Ha pubblicato Asinara Revolution (Bompiani, 2011), scritto insieme a Marco Nurra.
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