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L’appello della sentenza di separazione o di divorzio

La Cassazione del 20.7.2015 n. 15173 ha stabilito che nei giudizi di separazione dei coniugi (art. 23 legge n. 74 del 1987) la proposizione dell’appello, che avviene secondo il rito camerale, si perfeziona, ex. art. 8 legge n. 74 del 1987, con il deposito (nei termini ex art. 325 e 327 cpc), del ricorso nella cancelleria del giudice ad quem, questo deposito nei termini impedisce ogni decadenza dell’impugnazione, ed eventuale vizio o inesistenza della notificazione del ricorso non si comunica all’impugnazione ormai perfezionatasi, ma impone al giudice che rilevi il vizio di indicarlo all’appellante perché provveda a rinotificare nel termine all’uopo assegnatogli.
A cura di Paolo Giuliano
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Al termine di un procedimento di separazione o di divorzio, uno dei coniugi (o entrambi) potrebbero avere l'interesse a presentare appello contro la sentenza.

In questa ipotesi sorge il problema relativo alla forma dell'appello, cioè se l'appello con una sentenza di separazione o di divorzio si effettua nei modi ordinari (citazione, notificata alla controparte e poi l'iscrizione a ruolo) oppure se l'appello si effettua depositando il ricorso a cui segue, dopo il decreto che fissa l'udienza di comparizione delle parti, la notifica del ricorso e del decreto.

Le due ipotesi si distinguono, non solo per la diversa procedura (prima notifica alla controparte, poi iscrizione a ruolo, in un caso, oppure prima deposito del ricorso e poi notifica alla contro parte, nell'altro), ma anche nella valutazione della tempestività dell'appello e degli eventuali vizi della notifica alla controparte.

Infatti, per quanto riguarda la tempestività dell'appello, con l'atto di citazione l'appello deve essere notificato alla controparte nei termini previsti per l'appello, mentre, in presenza di un ricorso è sufficiente depositare il ricorso entro i termini per l'appello ed è irrilevante se il decreto di fissazione dell'udienza di comparizione delle parti e la notifica alla controparte del ricorso e del decreto sono effettuati dopo la scadenza dei termini.

Diversa è anche l'influenza che potrebbero avere i vizi della notifica (dellaa citazione o del ricorso) alla controparte sull'intera procedura, infatti, in presenza di una procedura aperta con un ricorso i vizi della notifica del ricorso e del decreto non influenzano mai la fase precedente alla notifica, (es. deposito ricorso) ma solo quella successiva.

Chiarite le differenze tra le due procedure resta da stabilire quale forma deve assumere l'appello di una sentenza di separazione o di divorzio.

Nelle controversie in materia di divorzio e di separazione personale dei coniugi (culle disposizioni processuali in materia di divorzio sono applicabili, ai sensi dell'art. 23 della I. n. 74 del 1987), la proposizione dell'appello, che avviene secondo il rito camerale. L'appello  si perfeziona, ex. art. 8 della stessa legge, con il deposito, nei termini di cui agli artt. 325 e 327 c.p.c., del ricorso nella cancelleria del giudice "ad quem", questo deposito (se effettuato nei termini per l'appello)  impedisce ogni decadenza dell'impugnazione.

Tale indirizzo ha trovato un'ulteriore conferma dall'introdotto (per effetto dell'art. 2 della I. n. 80 del 2005, come modificato dall'art. 1 della I. n. 263 del 2005) art. 709 bis c.p.c., laddove prevede che le sentenze non definitive di separazione vanno impugnate con il rito camerale, essendo del tutto incongruo ed illogico – sul piano sistematico – limitare le modalità procedimentali (rito camerale) previste da detta norma alle sole pronunce non definitive.

Resta da chiedersi se sussiste un termine perentorio entro cui notificare il ricorso e il decreto di fissazione dell'udienza alla controparte, sul punto si è formata l'opinione che  il termine per la notifica del ricorso e del decreto di fissazione dell'udienza alla controparte non è perentorio, non essendo espressamente previsto come tale dalla legge. Con la conseguenza che il giudice, nell'ipotesi di omessa o inesistente notifica del ricorso e del decreto di fissazione dell'udienza, può, in difetto di spontanea costituzione del resistente, concedere al ricorrente un nuovo termine, avente carattere perentorio, entro il quale rinnovare la notifica. Ebbene, tale principio tiene conto del fatto che l'art. 4 della I. 898 del 1970, come novellato dall'art. 8 I. n. 74 del 1987, non prevede espressamente un termine per la notifica del ricorso e del decreto presidenziale di fissazione dell'udienza, è stato recepito dalla più recente giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass. 15144/2014).

Quanto, invece, alla diversa questione se un vizio della notifica del ricorso o del decreto possono incidere sull'impugnazione (proposta con ricorso) si è stabilito che ogni eventuale vizio (o inesistenza, giuridica o di fatto) della notificazione del ricorso e dei decreto di fissazione dell'udienza di discussione non si comunica all'impugnazione (ormai perfezionatasi), ma impone al giudice che rilevi il vizio di indicarlo all'appellante perché provveda a rimuoverlo nel termine all'uopo assegnatogli.

Pertanto, che – nel caso di rituale deposito del ricorso in appello nei termini di cui agli artt. 325 e 327 c.p.c. – la nullità o inesistenza della notifica dell'atto e del pedissequo decreto di fissazione dell'udienza di trattazione del giudizio non può dare luogo ad inammissibilità del gravame, dovendo, per contro, assegnarsi all'appellante un termine per la rinnovazione della notifica omessa, o per l'esecuzione della di quella invalida.

Cassazione civ. sez. I, del 20 luglio 2015 n. 15173 in pdf

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Avvocato, Foro di Napoli, specializzazione Sspl conseguita presso l'Università “Federico II”; Mediatore professionista; Autore di numerose pubblicazioni in materia di diritti reali, obbligazioni, contratti, successioni. E' possibile contattarlo scrivendo a diritto@fanpage.it.
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