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Imposta di registro e obbligo di motivazione dell’agenzia delle entrate

La Cassazione del 20.11.2014 n. 24793 ha stabilito che all’adeguatezza della motivazione del provvedimento impositivo non può essere desunta “a posteriori” in base al comportamento successivo dei destinatari dell’atto, ma deve essere valutata in base alla corrispondenza della motivazione con i canoni fissati dalle norme, che impongono per l’imposta di registro – che si enunci il “petitum” della pretesa impositiva e perciò che si precisino gli elementi che determinano la mancata accettazione delle indicazioni del contribuente e le ragioni specifiche per le quali l’atto tassato non avrebbe potuto godere delle agevolazioni di legge.
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A cura di Paolo Giuliano
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Capita, ed anche molto spesso, che il contribuente riceva cartelle esattoriali o altri provvedimenti dell'amministrazione finanziaria che risultano essere quanto meno oscuri o addirittura immotivati (nel caso specifico al contribuente era stata contestata l'applicazione  alla compravendita dell'agevolazione "prima casa", contestazione motivata solo con la generica affermazione "essendo in presenza di immobile di "lusso" non è applicabile l'agevolazione fiscale, senza che fossero indicate le motivazioni o gli atti dai quali si poteva dedurre che l'immobile in questione era "immobile di lusso").

Che il diritto tributario (e, in particolare le agevolazioni per l'acquisto della casa) sia un terreno "scivoloso" è dimostrato anche dalla copiosa attività di specificazione e chiarificazione svolta dall'Agenzia delle Entrate. (problematiche che possono derivare sia dalla complessità della normativa sia da comportamenti del contribuente).

La norma alla base della motivazione degli atti dell'amministrazione finanziaria è art.7 della legge n.212/2000 il quale prevede che   "Gli atti dell'amministrazione finanziaria sono motivati secondo quanto prescritto dall'articolo 3 della legge 7 agosto 1990, n. 241, concernente la motivazione dei provvedimenti amministrativi, indicando i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell'amministrazione. Se nella motivazione si fa riferimento ad un altro atto, questo deve essere allegato all'atto che lo richiama".

I motivi che hanno spinto il legislatore a imporre l'obbligo di motivazione possono essere facilmente individuati in tre elementi: a) evitare abusi da parte della p.a.; b) permettere al cittadino di verificare immediatamente il corretto operato della p.a. (valutando se è opportuno – o meno- ricorrere alla tutela giudiziaria); c) permettere al giudice di verificare, in caso di contestazione (eventualmente pretestuosa), l'operato della p.a.

In teoria ed in astratto l'obbligo di motivazione è chiaro, il problema, sorge in concreto, quando occorre definire i confini della motivazione del provvedimento (se ad esempio la motivazione deve essere estesa o anche solo succinta o può essere fatta rinviando ad altri atti o provvedimenti), cioè il problema sorge nel momento in cui si tratta di valutare se la motivazione è (o meno) presente ed è (o meno) sufficiente.

Infatti, è necessario che siano indicate nel provvedimento le ragioni sufficienti a definire la materia del contendere e sufficienti e ad assicurare la conoscenza della pretesa fiscale e l'esercizio del diritto di difesa, con l'uso della normale diligenza, ed impongono —con specifico riferimento alla imposta di registro – che si enunci il "petitum" della pretesa impositiva e perciò che si precisino "gli elementi che determinano la mancata accettazione delle indicazioni del contribuente" e perciò, con riferimento alla specie di causa, le ragioni specifiche per le quali l'atto tassato non avrebbe potuto godere delle agevolazioni di legge.

Tutto questo deve sussistere ab origine nel provvedimento, perché detti elementi conoscitivi debbano essere forniti all'interessato, non solo tempestivamente (e cioè inserendoli "ab origine" nel provvedimento impositivo), ma anche con quel grado di determinatezza ed intelligibilità che permetta al medesimo un esercizio non difficoltoso del diritto di difesa

Sicuramente, l'adempimento dell'obbligo di motivazione non può essere dedotto basandosi sul comportamento del contribuente che ha svolto potuto contestare l'operato della p.a., (difendendosi i sede di autotutela ed in sede di contenzioso giudiziario), sia perché se è ignota la motivazione di un provvedimento difficilmente è possibile valutare  l'adeguatezza delle difese dispiegate dal contribuente, sia perché l'adeguatezza della motivazione del provvedimento impositivo non può essere desunta "a posteriori" (sulla base della condotta successiva dei destinatari dell'atto), ma deve essere desunta dallo stesso atto.

Cass., civ. sez. VI, del 20 novembre 2014 n. 24793 in pdf

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Avvocato, Foro di Napoli, specializzazione Sspl conseguita presso l'Università “Federico II”; Mediatore professionista; Autore di numerose pubblicazioni in materia di diritti reali, obbligazioni, contratti, successioni. E' possibile contattarlo scrivendo a diritto@fanpage.it.
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