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Opinioni

Gli aiuti dei familiari all’ex coniuge e l’assegno di mantenimento: Cassazione 31.10.2012 n. 18708

Gli aiuti che i familiari forniscono ad uno dei coniugi durante o dopo la separazione e il divorzio non sono considerati per determinare l’assegno di mantenimento, poichè colui che li riceve non ha un diritto a pretendere tali aiuti.
A cura di Paolo Giuliano
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Maschere veneziane

La separazione o il divorzio sono sempre eventi traumatici, traumi che tendono a diventare più pesanti la separazione degli sposi non è consensuale o se la loro situazione economica è precaria.

Quando inizia la fase della separazione esistono una serie di ostacoli da superare, infatti, oltre al problema della separazione materiale, si pongono delle questioni pratiche molto rilevanti, una di queste riguarda i figli e comprende sia la loro gestione (dopo la separazione o il divorzio)  sia il loro mantenimento. La criticità relativa alla gestione dei figli è stata, in parte, neutralizzata con la previsione dell'affidamento condiviso, ma quest'ultimo istituto giuridico non ha superato tutte le questioni, perchè anche se in modo formale l'affidamento dei figli è condiviso, di fatto, restano sempre aperte tutte le questioni relative al collocamento effettivo dei minori e del diritto  di visita dell'altro coniuge (presso il quale i figli non sono "collocati"). Sorvolando sulla quantificazione economica del mantenimento dei figli.

Altro aspetto molto controverso è il mantenimento del coniuge "debole" al momento della separazione o del divorzio. In alcun casi il legislatore ha previsto che al coniuge debole possa essere riconosciuto un mantenimento in proporzione al reddito dell'obbligato, cioè al coniuge economicamente più forte. Il mantenimento del coniuge è regolato per la separazione dell'art. 156 c.c. il quale dispone che  " Il giudice, pronunziando la separazione, stabilisce a vantaggio del coniuge cui non sia addebitabile la separazione il diritto di ricevere dall'altro coniuge quanto è necessario al suo mantenimento, qualora egli non abbia adeguati redditi propri. L'entità di tale somministrazione è determinata in relazione alle circostanze e ai redditi dell'obbligato". Mentre, in caso di divorzio il mantenimento del coniuge è regolato dall'art. 5 comma 6 legge n. 898 del 1970 regola l'assegno di mantenimento all'altro coniuge il quale così dispone "il tribunale, tenuto conto delle condizioni dei coniugi, delle ragioni della decisione, del contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, del reddito di entrambi, e valutati tutti i suddetti elementi anche in rapporto alla durata del matrimonio, dispone l'obbligo per un coniuge di somministrare periodicamente a favore dell'altro un assegno quando quest'ultimo non ha mezzi adeguati o comunque non può procurarseli per ragioni oggettive".

Anche se si è in presenza di due norme diverse, le problematiche che possono sorgere per il mantenimento del coniuge "debole" sono identiche e possono essere trattare congiuntamente.  Anche la quantificazione del mantenimento del coniuge economicamente più debole è un macigno sulla strada che porta alla separazione e al divorzio, i motivi alla base di tutto questo non molteplici, alcuni sono psicologici,  basta pensare che il mantenimento è spesso usato per come un'arma per colpire il coniuge che viene accusato di aver fatto finire la relazione (sorvolando sui casi limiti di coniugi che volontariamente ed accuratamente evitano di trovare una qualsiasi entrata economica, al solo fine di farsi mantenere dall'altro coniuge, anche solo per "vendicarsi" della fine del matrimonio), altri sono di natura tecnica e riguardano la quantificazione del mantenimento, infatti, questo va parametrato al reddito dei due coniugi (ed ad altre circostanze) e, ovviamente, il reddito può variare nel corso del tempo, (in meglio o in peggio) sorvolando sul fatto, che comunque la quantificazione è una scelta soggettiva.

Per comprendere meglio quanto detto è opportuno analizzare alcuni casi pratici che possono influenzare la quantificazione del mantenimento del coniuge debole.

Un elemento,  ad esempio, è quello relativo alla valutazione se una nuova convivenza incide sull'assegno di mantenimento (in un precedente articolo  – che può essere letto qui  – avevamo indicato che il coniuge ha diritto di richiedere le documentazione dei redditi del convivente al fine di determinare l'assegno di mantenimento) in queste situazioni sovente accade che il convivente abita la casa familiare (di proprietà dell'altro coniuge separato) ora, ci si chiede, il convivente deve beneficiare di questo vantaggio in termini di mancato pagamento del canone di locazione, oppure, detto, in altri termini, se il coniuge separato che ha "dato" la casa all'altro coniuge deve perdere la possibilità di avere un introito economico, da quella che, di fatto, è una locazione.

Anche le eredità ricevute nelle more della separazione possono incidere sulla quantificazione dell'assegno di mantenimento, si pensi ad una casa ricevuta in eredità dai genitori e locata per trarne reddito. Identico discorso può anche essere fatto per le donazioni ricevute dai genitori.

Però, il campo delle donazioni o liberalità è molto ampio e comprende tutta una serie di ipotesi come ad esempio gli aiuti economici in denaro ricevuti dai parenti dei coniugi separati) potrebbero incidere sulla quantificazione dell'assegno di mantenimento. Sul punto è opportuno fare chiarezza su due aspetti: a)  cosa si intende per aiuti economici e b) chi fornisce tali aiuti economici.

Per aiuti economici si intende il versamento di piccole somme di denaro al fine di far fronte ai bisogni più impellenti, questi aiuti economici economici possono essere versati da enti pubblici e/o da privati cittadini (si pensi ai parenti più stretti), mentre in casi di enti pubblici si tratta, molto spesso, di prestazioni assistenziali (che possono essere calcolate al fine della quantificazione dell'assegno) trattandosi, molto spesso, di somme versate con continuità e costantemente, alle quali il coniuge più debole ha un vero e diritto a ricevere ad richiedere tale prestazione. Al contrario, quando tali somme sono versate da parenti o familiari, si tratta di somme non versate con continuità e, soprattutto, si tratta di prestazioni per le quali colui che le riceve non ha nessun diritto di poterle richiedere ed ottenere (per questo si parla di liberalità), di conseguenza non vengono calcolate al fine di quantificare l'assegno di mantenimento.

Cassazione, civ. sez. I  31 ottobre 2012 n. 18708

1. – Con il primo motivo, denunciando violazione dell'art. 5, comma sesto, l. 1 dicembre 1970, n. 898, il ricorrente si lamenta che la Corted'appello, nel determinare l'importo dell'assegno a favore della ricorrente, abbia illegittimamente tenuto conto anche degli "aiuti" che questa riceveva dalla ASL e della disponibilità gratuita della casa di abitazione, di proprietà della sorella; mentre la solidarietà di terzi non è idonea ad attenuare l'obbligo primario di mantenimento gravante sul coniuge.

1.1. – Sulla questione della rilevanza delle elargizioni di terzi – normalmente i familiari – nel giudizio sul riconoscimento del diritto all'assegno di separazione o di divorzio e nella determinazione del suo ammontare, con particolare riguardo alle elargizioni ricevute dal coniuge avente diritto all'assegno, questa Corte ha assunto, dopo iniziali aperture, un orientamento decisamente negativo (cfr. Cass. 11224/2003, 6200/2009, in tema di separazione, Cass. 4617/1998, 7601/2011, in tema di divorzio, nonché, di recente, con riguardo alle elargizioni ricevute invece dal coniuge obbligato all'assegno, Cass. 10380/2012), che fa leva sul carattere liberale e non obbligatorio di tali elargizioni, cui non corrisponde un diritto – e perciò un reddito – del ricevente.

Posto, dunque, che solo delle elargizioni liberali non deve tenersi conto, era onere della ricorrente – a fronte dell'invero generico riferimento della Corte d'appello agli "aiuti" della ASL e alla disponibilità gratuita della casa di abitazione – precisare, quanto ai primi, in cosa esattamente consistessero e a che titolo le fossero corrisposti; quanto alla seconda, quale fosse il titolo della disponibilità gratuita e, soprattutto, se consistesse in una liberalità della sorella (asserita proprietaria), considerato anche che controparte assume, invece, che quella disponibilità derivava dall'essere la ricorrente usufruttuaria dell'immobile.

Il ricorso, però, è in proposito non meno generico della sentenza, e dunque la censura è inammissibile.

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Avvocato, Foro di Napoli, specializzazione Sspl conseguita presso l'Università “Federico II”; Mediatore professionista; Autore di numerose pubblicazioni in materia di diritti reali, obbligazioni, contratti, successioni. E' possibile contattarlo scrivendo a diritto@fanpage.it.
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