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Opinioni

Giù le mani dai precari (e l’articolo 18 non c’entra nulla)

Torna ciclicamente la discussione sull’abolizione dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori (e come sempre stiamo parlando di tutto e di niente). E se da una parte i paladini dei precari sono incredibilmente gli stessi del decreto Poletti, dall’altra che si propone esattamente? Lasciare tutto com’è adesso, con zero tutele e zero diritti?
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Ogni post sull'argomento articolo 18 di solito comincio con uno spiegone: cos'era, come è cambiato (dopo la riforma Fornero in questo caso) e come il Governo di turno ha intenzione di eliminarlo. Poi si prova ad analizzare gli schieramenti in campo, si elencano le posizioni dei sindacati, delle aziende, di fantomatici imprenditori esteri pronti ad investire miliardi in Italia al minimo scricchiolio dello Statuto dei lavoratori, e si dibatte sulle divisioni interne agli schieramenti politici. E infine si indicano con precisione i tempi in cui la discussione terminerà, i provvedimenti saranno approvati e comincerà la nuova era per i lavoratori italiani. A margine, si annotano le voci complottiste secondo cui l'articolo 18 è una grande arma di distrazione di massa, mentre il Governo di turno è impegnato ad occupare manu militari le stanze del potere e a sovvertire l'ordine democratico.

Il tutto, si badi bene, con settimane o mesi di anticipo sulla effettiva stesura del provvedimento in oggetto e senza aver nemmeno rinunciato al tremendo costume delle anticipazioni, delle interpretazioni delle bozze delle "ipotesi". Non si sottrae a questa liturgia il dibattito odierno, che nasce sostanzialmente dalla presentazione dell'emendamento 4.1000 al disegno di legge delega al Governo in materia di riforma degli ammortizzatori sociali, dei servizi per il lavoro e delle politiche attive, nonché in materia di riordino dei rapporti di lavoro e di sostegno alla maternità e alla conciliazione dei tempi di vita e di lavoro. La modifica riguarda l'articolo 4 del Ddl, la delega al Governo in materia di riordino delle forme contrattuali, con 3 variazioni di rilievo rispetto alla formulazione originaria:

b) previsione, per le nuove assunzioni, del contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti in relazione all'anzianità di servizio;

c) revisione della disciplina delle mansioni, contemperando l'interesse dell'impresa all'utile impiego del personale in caso di processi di riorganizzazione, ristrutturazione o conversione aziendale con l'interesse del lavoratore alla tutela del posto di lavoro, della professionalità e delle condizioni di vita, prevedendo limiti alla modifica dell'inquadramento;

h) razionalizzazione e semplificazione dell'attività ispettiva […]

Quindi, tanto per essere chiari, al momento di concreto abbiamo una proposta, declinata in maniera molto generica, una tempistica dilatata ("il Governo è delegato ad adottare […] entro il termine di sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi, di cui uno recante un testo organico semplificato delle discipline delle tipologie contrattuali e dei rapporti di lavoro…") ed un elenco ben poco chiaro delle "intenzioni". Per capirci, tra un'idea e l'altra di contratto a tutele crescenti c'è un abisso e ha relativamente poco senso discutere del singolo provvedimento tacendo della revisione degli ammortizzatori sociali, ad esempio dell'allargamento del sussidio di disoccupazione ai lavoratori precari (più precisamente, articolo 1, comma 7 bis: "universalizzazione del campo di applicazione dell'ASpI, con estensione ai lavoratori con contratto di collaborazione coordinata e continuativa e con l'esclusione degli amministratori e sindaci, mediante l'abrogazione degli attuali strumenti di sostegno del reddito").

Servirebbe un ragionamento sul progetto "complessivo" del Governo. E servirebbe anche conoscerlo nel dettaglio il progetto complessivo del Governo. Perché al momento stiamo ragionando di tutto e di niente, stiamo speculando sulle indiscrezioni, discutendo di ipotesi più o meno realistiche e contribuendo (più o meno direttamente) al fuoco di sbarramento preventivo, in un senso o nell'altro. E per ora restano solo tante domande:

– Come ci si può presentare come "paladini" dei precari dopo aver approvato il decreto Poletti?

Dove erano i renziani che ora si strappano le vesti contro la precarietà fino ad ora?

– Perché non si vira verso il contratto "unico" a tutele crescenti?

– Se l'articolo 18 non ha tutta questa rilevanza, perché modificarlo?

– Perché intervenire di nuovo al buio sulla materia come fatto dalla Fornero?

– Da dove deriva la certezza che il "problema" degli investitori stranieri sia l'articolo 18?

– Che senso ha mettere in competizione i lavoratori sul piano dei diritti individuali?

– Con circa 100mila iscritti su oltre 3,3 milioni di lavoratori precari, i sindacati si ritengono comunque "legittimati" a trattare? Non c'è un enorme problema di rappresentanza nel mondo del lavoro?

– Quale è la soluzione alternativa? Il mantenimento dello status quo, con zero tutele e zero diritti per i precari?

– Perché non si apre un vero dibattito sulla retribuzione dei precari, drammaticamente bassa su scala europea e globale?

Edit: pochi minuti dopo la pubblicazione di questo pezzo, Boeri e Garibaldi su LaVoce propongono una lettura estremamente sensata della questione (che vi consigliamo).

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A Fanpage.it fin dagli inizi, sono condirettore e caporedattore dell'area politica. Attualmente nella redazione napoletana del giornale. Racconto storie, discuto di cose noiose e scrivo di politica e comunicazione. Senza pregiudizi.
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