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Opinioni

Tutto quel che non abbiamo capito (e che ci deve spaventare) del discorso di Putin

Negli undici minuti del suo discorso alla parata della vittoria, il presidente russo ha di fatto tagliato tutti i ponti con l’Occidente, in particolare con l’Europa, e sdoganato l’idea che la guerra è la nuova normalità.
A cura di Fulvio Scaglione
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E così, nessuna dichiarazione di pace e nessuna dichiarazione di guerra. Al contrario di quanto scritto e riscritto dai media occidentali, Vladimir Putin non ha usato la Parata della Vittoria, la gigantesca sfilata militare che nel giorno della resa dei nazisti nel 1945 richiama sulla Piazza Rossa le memorie dei veterani e l’orgoglio patriottico dei più giovani, per annunciare la chiusura delle operazioni militari in Ucraina né per annunciare una “guerra totale” con introduzione della legge marziale e della mobilitazione generale. Al contrario, ha spiazzato tutti e ha fatto un discorso che a molti è venuto facile definire sottotono. Putin in sostanza ha detto: avevamo fatto molte proposte all’Occidente per un assetto di sicurezza equo e utile a tutti, ma non abbiamo avuto risposte. Anzi: è diventato chiaro che l’Occidente (dominato dagli Usa, che si impongono anche sui loro alleati) minacciava il Donbass e i nostri confini, quindi abbiamo dovuto avviare l’operazione militare preventiva. E di fatto ha chiuso lì.

Ecco, se c’è una cosa di cui dovremmo preoccuparci è proprio l’assenza di toni bombastici, di annunci, di previsioni trionfalistiche. Al posto di trarne auspici ottimistici (vuole trattare, sta perdendo la guerra), dovremmo temere questa riduzione della guerra a “business as usual”, l’equazione “voi fate questo e noi invadiamo” come se fosse in funzione un meccanismo automatico. Per alcune ragioni fondamentali. La prima è politico-culturale. La parata di oggi, la 77° della serie, è servita a stabilire una palese analogia tra la Grande Guerra Patriottica vinta nel 1945 e la guerra in Ucraina (che è ancor da vincere ma che, nel presupposto del Cremlino, sarà vinta), tra l’invasione (da Ovest) nazista e l’aggressione (da Ovest) della Nato, tra la difesa del suolo patrio di allora e quella di oggi. Tra il passato hitleriano e staliniano, insomma, e il presente americano e putiniano. Nell’analogia, Putin sarà come Stalin ma gli Usa (e gli alleati della Nato) come la Germania nazista. Questo significa che la Russia di Putin non solo non teme di tagliare i ponti con l’Occidente (soprattutto con l’Europa) ma cerca proprio di farlo. D’altra parte, come non ricordare il trattamento sprezzante e ostile riservato a diplomatici come Josep Borrell (alto rappresentante Ue per le Politiche estere e di sicurezza) o Liz Truss (ministro degli Esteri del Regno Unito), ricevuti a Mosca come inviati di Paesi ostili e, in sostanza, rispenditi al mittente? O le mille telefonate di politici occidentali, da Emmanuel Macron in giù, ascoltati ma dimenticati una volta posata la cornetta?

Putin, ieri, proprio con questo discorso grigio e quasi burocratico in una cornice invece clamorosamente emblematica, ha chiuso un cerchio che si veniva formando da tempo: quello dell’autoisolamento (non isolamento) della Russia. Basta osservare quanto è successo negli ultimi anni. Pian piano, e velocemente negli ultimi tempi, la Russia si è chiusa alle influenze esterne, prima stigmatizzando come potenziali traditori (“agenti stranieri”) tutte le organizzazioni che ricevevano fondi dall’estero. Poi costruendo la cosiddetta RuNet, l’intranet tutto e solo russo che dovrebbe consentire al Paese di sganciarsi dall’Internet globale, nazionalizzare l’accesso e l’uso della Rete e sfuggire così alle influenze dei colossi dei new media che, come ben sappiamo, sono tutti americani. Il distacco vero non è ancor avvenuto, per realizzarlo occorrono provvedere a una struttura tecnologica che abbia sistemi operativi e hardware propri e non importati, ma la Russia è a uno stadio avanzato del progetto. E nel frattempo, per non sbagliare, ha chiuso la porta a Facebook, Instagram e compagnia bella, cui ora i russi riescono ad accedere solo tramite VPN.

E poi c’è l’economia. L’Europa discute se e come e quando rinunciare al petrolio e al gas russo, e già sa che ci saranno Paesi che si opporranno fino all’ultimo (o fino all’ultimo euro, se Bruxelles fornirà corposi indennizzi). La Russia ha già chiuso i rubinetti del gas a Polonia e Bulgaria, a scopo dimostrativo. Infatti le esportazioni di Gazprom (l’ente di Stato monopolista in Russia) verso Ue e Turchia sono calate del 26,9% e quelle verso la Cina sono aumentate del 60% su base annua. Effetto della guerra in Ucraina? Anche. Perché in realtà questa (meno traffici con l’Ovest e più commerci con l’Est) è una tendenza di lungo periodo. Vent’anni fa i primi quattro Paesi per importazioni dalla Russia erano Germania, Italia, Ucraina e Cina. Oggi la Cina stacca tutti e le sue importazioni dalla Russia, in questi due decenni, sono passate da 5 a 57 miliardi l’anno. Il che vale anche in senso opposto. Due anni fa, per fare un esempio, la Germania era il primo fornitore di tecnologia della Russia, oggi è ampiamente superata dalla Cina.

Questo processo di distacco dall’Occidente, dalla sua supremazia e dalle sue reali o presunte minacce, infine, si sta consumando anche in ambito finanziario. Altrimenti detto: la Russia (e la Cina) stanno cercando da anni di usare sempre meno il dollaro, moneta universale degli scambi commerciali. Nelle riserve monetarie russe (come sappiamo ora in parte bloccate a causa delle sanzioni) il dollaro ha perso molto peso. Nel 2018, dal 48,5% delle riserve russe era sceso al 22,7%, mentre l’euro saliva dal 21,7 al 31,7. E nel 2021 è stato poi superato anche dall’oro, arrivato al 22,9%. Nello stesso tempo, e con un’ovvia accelerazione dopo l’inizio della guerra, la Russia e i Paesi che non hanno aderito alle sanzioni, soprattutto Cina e India, hanno aumentato la quota dei loro pagamenti con valute diverse dal dollaro. Nel 2015 Russia e Cina saldavano in dollari il 90% dei loro scambi, nel 2019 si era già al 51% e nel 2020 intorno al 48%. E con l’India è allo studio un sistema di scambio commerciali pagati in rupie e rubli, con lo Yuan, la valuta cinese a fare da riferimento. Nulla che possa scalfire, per ora, la supremazia internazionale del dollaro. Ma di certo l’indicazione di una politica, di un desiderio. E che la Russia, magari accompagnata dalla Cina, decida di tagliare i ponti con l’Europa e l’Occidente, è una brutta notizia per tutti. Per la Russia, in primo luogo. Ma anche per noi.

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