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Opinioni

Mina, sposa bambina afghana a 7 anni: la madre costretta a venderla a un parente

Mina è una bambina afghana di 7 anni. A causa della miseria, la madre l’ha data in sposa ad uno zio a cambio di 2.400 euro. Grazie all’intervento di alcuni attivisti locali, che hanno raccolto e restituito il denaro, la piccola ha potuto riabbracciare la famiglia. Tuttavia, come denuncia Unicef, in Afghanistan il fenomeno delle spose bambine è quantomai diffuso.
A cura di Mirko Bellis
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Mina, 7 anni, con la madre fuori dalla tenda nel campo profughi in cui vivono alla periferia di Herat, Afghanistan (The National)
Mina, 7 anni, con la madre fuori dalla tenda nel campo profughi in cui vivono alla periferia di Herat, Afghanistan (The National)

Mina, una bambina afghana di 7 anni, ha conosciuto nella sua breve vita solo dolore e miseria. È rimasta orfana quando i talebani due anni fa hanno ucciso il padre, un agente di polizia. Con la madre ed il fratello, la bimba è stata costretta a lasciare il proprio villaggio, e da un anno e mezzo l’unico loro riparo sono due tende donate dal Danish Refugee Council (un'organizzazione umanitaria danese). Vivono a Shaidahi, un’area convertita in un enorme campo profughi alla periferia ad Herat, nell'Afghanistan occidentale. “Non possediamo nulla – ha detto la madre, Qamar Gul, di 35 anni tranne queste due tende. Qui non c’è acqua, né vestiti. E con l’inverno le giornate sono sempre più fredde”. E’ stata proprio la povertà a spingere la donna a vendere Mina ad un parente, come ha raccontato The National, quotidiano emiratino in lingua inglese.

Per il timore di affrontare un nuovo inverno di stenti, cinque mesi fa Gul ha preso la drammatica decisione: dare in sposa la figlia ad un ricco parente della loro provincia di origine. Una scelta sofferta che, nelle intenzioni della donna, doveva evitare altre sofferenze alla piccola. “Dopo aver perso mio marito – racconta la mamma – non avevo più nulla. Non possedevamo una casa o un terreno, né nulla da mangiare. Mina non aveva neppure un paio di calze. Soffriva per la mancanza di cibo e non sapevo più cosa fare”. “Eravamo in una brutta situazione”, si giustifica Gul.

Mina, mentre la madre parla, le siede accanto con gli occhi bassi, pieni di lacrime. Le stesse di chi ora prova a raccontare i tristi dettagli della vendita di una bimba di soli 7 anni. Per una somma di 210mila Afghani (poco più di 2.400 euro), Mina doveva diventare la sposa bambina di un lontano parente. Un anticipo di 60 euro è stato sufficiente perché Gul inviasse la figlia dal suo “acquirente”, uno zio della provincia di Badghis, nel nord-ovest del Paese. La cerimonia che avrebbe dovuto sancire l’unione era prevista pochi giorni dopo, ma nel frattempo la donna ha avuto un ripensamento e ha deciso di annullare quelle nozze combinate. Grazie all'intervento di alcuni attivisti locali che hanno raccolto il denaro da consegnare allo zio, Mina è potuta ritornare tra le braccia della madre. Una piccola somma, inoltre, è stata messa a disposizione per garantire l’istruzione della bambina. “È vero che un’ingiustizia dare in sposa una bimba di 7 anni – ha detto Gul – ma non avevo altra scelta. Saremmo morti senza quel denaro”.

In Afghanistan sempre più famiglie povere costrette a vendere i propri figli

Il futuro di Mina, per ora, non sarà quello di diventare una sposa bambina. Ma, nell'Afghanistan martoriato da decenni di guerra, sono sempre di più le famiglie che, spinte dalla miseria, sono costrette a vendere le proprie figlie. Le organizzazioni internazionali che lavorano nei campi per sfollati hanno riscontrato un significativo aumento del traffico di minori, venduti spesso per ripagare i debiti delle famiglie più povere. Nei campi profughi afghani -– riporta The National – tra luglio e settembre del 2018 sono più di 160 i minorenni obbligati a matrimoni precoci. Un numero al ribasso, in quanto il fenomeno delle spose bambine continua ad essere nascosto tra le mura domestiche.

A dicembre 2019, il parlamento afgano ha approvato la tanto attesa legge per protezione dei diritti dell’infanzia (Child Protection Act). Secondo la nuova normativa, i ragazzi e ragazze di età inferiore ai 18 anni sono considerati bambini e i matrimoni con un minorenne costituiscono un reato. Inoltre, vengono inasprite le pene per chi traffica con minori, da cinque a otto anni di carcere, a seconda della gravità dei casi. Un importante passo avanti, nonostante la situazione dei bambini afghani continui ad essere terribile, come ha denunciato un recente rapporto di Unicef.

Unicef: “In Afghanistan, la guerra più letale al mondo per i bambini”

I dati contenuti nell'ultimo rapporto di Unicef “Preservare la speranza in Afghanistan: proteggere i bambini nel conflitto più letale al mondo”) sono sconvolgenti. Nei primi 9 mesi del 2019, mediamente ogni giorno sono stati uccisi o feriti 9 bambini: un incremento dell’11% rispetto allo stesso periodo del 2018, principalmente a causa di un'impennata di attentati suicidi e combattimenti tra forze governative e ribelli. “Tra il 2009 e il 2018 – continua Unicef – in Afghanistan circa 6.500 bambini sono stati uccisi e altri 15.000 feriti, cifre che rendono questo Paese la zona di guerra più letale del pianeta”.

Oltre agli impatti diretti delle ostilità – afferma il Fondo Onu per l’infanzia – le vite dei bambini sono state segnate anche dagli effetti combinati di disastri naturali, povertà e sottosviluppo. “Il 2019 è stato un anno terribile, anche per gli spaventosi standard dell’Afghanistan”, sottolinea Henrietta Fore, direttrice di Unicef. Secondo il rapporto: 3,8 milioni di bambini hanno bisogno di assistenza umanitaria; 1 ragazza su 3 si sposa prima di compiere 18 anni; 3,7 milioni di bambini in età scolare sono fuori dal sistema educativo; 600.000 bambini sotto i 5 anni soffrono di malnutrizione grave. E ancora, il 30% dei bambini è coinvolto nel lavoro minorile mentre 400.000 giovani afghani entrano ogni anno nel mercato del lavoro senza le competenze professionali necessarie per trovare un impiego che garantisca loro i mezzi di sussistenza.

Dietro questi freddi numeri si nasconde tutta la disperazione di Gul, e di tante mamme come lei, disposte a dare le proprie figlie in spose piuttosto di vederle vivere una vita di stenti. “Mi sono pentita di aver fatto quella scelta – conclude la mamma di Mina – non dovevo mandarla da quell'uomo. Il mio dovere era proteggerla”.

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