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L'attacco della Turchia in Siria contro i curdi

Guerra in Siria, l’appello delle donne curde: “A tutti i popoli che amano la libertà, aiutateci”

L’appello delle donne curde “di varie culture e fedi delle terre antiche della Mesopotamia a tutte le donne e ai popoli del mondo che amano la liberà”. Tra le loro richieste, la fine dell’invasione e dell’occupazione della Turchia nella Siria del Nord e dell’Est e lo stop da parte dell’Europa alla vendita delle armi ad Ankara.
A cura di Ida Artiaco
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Foto da Facebook (Internationalist Commune of Rojava).
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"Come donne siamo determinate a combattere fino a quando otterremo la vittoria della pace, della libertà e e della giustizia". A scrivere queste parole sono le donne curde che stanno combattendo contro le forze turche nei territori della Siria del Nord e dell'est, "donne di varie culture e fedi delle terre antiche della Mesopotamia", che hanno lanciato un appello indirizzato "a tutti i popoli del mondo che amano la liberà". È proprio questo il titolo che hanno deciso di dare alla lettera, che è stata ripresa da numerosi quotidiani a livello internazionale. La loro richiesta è quella di aiutarle a fermare l'invasione e l’occupazione di Ankara, prevenendo ulteriori crimini di guerra e la pulizia etnica da parte delle forze armate turche mentre sono ormai trascorsi sei giorni dall'inizio delle ostilità e dei bombardamenti dopo l'inizio dell'operazione "Operation Peace Spring".

Il testo della lettera delle donne curde

La lettera scritta dal Consiglio delle donne curde della Siria del Nord e dell'Est è firmata dalle donne di varie culture e fedi delle terre antiche della Mesopotamia. "Vi stiamo scrivendo nel bel mezzo della guerra nella Siria del Nord-Est, forzata dallo Stato turco nella nostra terra natale – si legge nel testo -. Stiamo resistendo da tre giorni sotto i bombardamenti degli aerei da combattimento e dei carri armati turchi. Abbiamo assistito a come le madri nei loro quartieri sono prese di mira dai bombardamenti quando escono di casa per prendere il pane per le loro famiglie. Abbiamo visto come l’esplosione di una granata Nato ha ridotto a brandelli la gamba di Sara di sette anni, e ha ucciso suo fratello Mohammed di dodici anni. Stiamo assistendo a come quartieri e chiese cristiane vengono bombardate e a come i nostri fratelli e sorelle cristiani, i cui antenati erano sopravvissuti al genocidio del 1915, vengono adesso uccisi dall’esercito del nuovo impero Ottomano di Erdogan. Due anni fa, abbiamo assistito allo Stato turco che ha costruito un muro di confine lungo 620 chilometri, attraverso fondi Ue e Onu, per rafforzare la divisione del nostro Paese e per impedire a molti rifugiati di raggiungere l’Europa". E poi ancora: "Adesso stiamo assistendo alla rimozione di parti del muro da parte di carri armati, di soldati dello Stato turco e jihadisti per invadere le nostre città ed i nostri villaggi. Stiamo assistendo ad attacchi militari. Stiamo assistendo a come quartieri, villaggi, scuole, ospedali, il patrimonio culturale dei curdi, degli yazidi, degli arabi, dei siriaci, degli armeni, dei ceceni, dei circassi e dei turcomanni e di altre culture che qui vivono comunitariamente, vengono presi di mira dagli attacchi aerei e dal fuoco dell’artiglieria. Stiamo assistendo a come migliaia di famiglie sono costrette a fuggire dalle loro case per cercare rifugio senza avere un luogo sicuro dove andare. Oltre a questo, stiamo assistendo a nuovi attacchi di squadroni di assassini di Isis in città come Raqqa, che era stata liberata dal terrore del regime dello Stato Islamico due anni fa con una lotta comune della nostra gente. Ancora una volta stiamo assistendo ad attacchi congiunti dell’esercito turco e dei loro mercenari jihadisti contro Serêkani, Girêsipi e Kobane".

Le richieste delle donne curde alla comunità internazionale

Infine, arriva l'appello alla comunità internazionale e a tutti i popoli che amano la libertà. "Mentre stiamo assistendo al primo passo dell’attuazione dell’operazione di pulizia etnica genocida della Turchia, assistiamo anche all’eroica resistenza delle donne, degli uomini e dei giovani che alzano la loro voce e difendono la loro terra e la loro dignità – conclude la missiva -. Per tre giorni i combattenti delle Forze siriane democratiche, insieme alle YPG e alle JPY hanno combattuto con successo in prima fila per impedire l’invasione della Turchia e dei massacri. Donne e uomini di tutte le età sono parte di tutti gli ambiti di questa resistenza per difendere l’umanità , le acquisizioni e i valori della rivoluzione delle donne in Rojava. Come donne siamo determinate a combattere fino a quando otterremo la vittoria della pace, della libertà e e della giustizia. Per ottenere il nostro obiettivo contiamo sulla solidarietà internazionale e la lotta comune di tutte le donne e gente che ama la libertà". Pertanto, oltre alla fine dell'occupazione turca in Siria, chiedono l'istituzione di una No-Fly zone per la protezione della vita della popolazione e la garantire la condanna di tutti i criminali di guerra secondo il diritto internazionale. Infine, all’Europa chiedono di fermare la vendita di armi in Turchia e allo stesso tempo attuare contro quest'ultima sanzioni economiche e politiche. E infine l’adozione di provvedimenti immediati per una soluzione della crisi politica in Siria con la partecipazione e la rappresentanza di tutte le differenti comunità nazionali, culturali e religiose in Siria.

Chi sono le donne curde che combattono per la libertà

L'Unità di Protezione delle Donne o Unità di Difesa delle Donne (Ypj) comincia ad organizzarsi nel 2013. Negli anni le combattenti sono diventate simbolo di resistenza non solo contro il fondamentalismo islamico, determinate a sconfiggere l'Isis, contro cui lottano dal 2014, anno in cui lo Stato Islamico prese la città di Kobane, ma per garantire l’autonomia del Kurdistan siriano. L’Ypj e l’Ypg rappresentano la milizia armata di una coalizione politica curda che controlla il Rojava, una regione siriana a maggioranza curda. Tra le loro fila, ci sono ben 10mila donne che ogni giorno cercano di difendere il territorio in cui vivono, la libertà del loro popolo e, soprattutto, per i loro diritti. Il loro nemico ora è rappresentato non solo dagli uomini del Califfato, ma dalle forze turche.

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