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Opinioni

La revoca del diritto di abitazione in caso di separazione e divorzio: Cassazione del 31.01.2012 n. 1367

La revoca dell’assegnazione della casa familiare o del diritto di abitazione (in caso di separazione e divorzio) è titolo esecutivo (cioè può essere ottenuto il rilascio o la liberazione dell’immobile) anche in assenza di una condanna espressa al rilascio del bene. Dalla sentenza della Cassazione possono essere desunti dei principi validi anche nell’ipotesi opposta a quella in oggetto e relativa allontanamento del coniuge non affidatario dalla casa familiare al momento dell’assegnazione della stessa.
A cura di Paolo Giuliano
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 In alcuni precedenti articoli avevano descritto il diritto di abitare (qui una descrizione ampia ed approfondita della questione), l'immobile adibito a casa familiare riconosciuto al coniuge affidatario dei figli (oggi, dopo l'introduzione dell'affidamento condiviso, su potrebbe parlare di coniuge presso cui sono "collocati" i figli).

Successivamente ci siamo anche occupati del pignoramento avente ad oggetto di un immobile con diritto di abitazione (qui l'articolo).

E' opportuno sottolineare che la precisazione del tipo di diritto di abitazione (c.d. assegnazione dell'abitazione al coniuge affidatario dei figli in caso di separazione e divorzio) è opportuna perchè permette di distinguere il diritto di abitazione della casa familiare riconosciuto al coniuge superstite, tipico del diritto successorio (un articolo su questo aspetto può essere letto qui), dal diritto di abitazione riconosciuto al coniuge affidatario dei figli (in caso di separazione e divorzio) e, infine, dal diritto di abitazione (tipico) regolato dal codice civile negli art. 1022 c.c. ss.

Oggi la Cassazione ci permette di analizzare la fase relativa all'estinzione del diritto di abitazione della casa familiare concesso in caso di separazione o divorzio. In generale per poter ottenere la liberazione di un immobile occupato occorre ottenere una condanna espressa al rilascio dell'immobile, molto spesso, però,  durante i procedimenti di separazione e divorzio, il diritto di abitazione, così come viene concesso, senza troppe formule rituali o sacramentali, viene anche revocato.

In alcuni casi, non si è, neppure, in presenza di una sentenza, ma di un'ordinanza del giudice istruttore o di un provvedimento presidenziale, allora ci si chiede in tutti queste ipotesi un tale provvedimento è sufficiente intimare un precetto e, poi,  per iniziare la procedura esecutiva per liberare l'immobile ancora occupato ?

La Cassazione risponde affermativamente alla questione, poichè, il provvedimento o la sentenza di revoca dell'assegnazione della casa familiare contiene in se (si potrebbe dire in modo implicito) la "condanna" al rilascio o alla liberazione dell'immobile. Del resto, nota la Corte, l'assegnazione della casa familiare, comporta, in se l'ordine all'allontanamento del coniuge non assegnatario della casa,  e la revoca dell'assegnazione della casa familiare è una situazione uguale e contraria a quella dell'assegnazione della stessa casa, quindi, non potrebbe essere regolata diversamente, senza creare delle disparità di trattamento.

Questo comporta che dalla sentenza possono essere tratti degli spunti utili anche per poter regolare l'ipotesi inversa a quella oggetto della Cassazione e relativa allontanamento della casa familiare del coniuge non assegnatario del diritto di abitazione.

Cassazione civ. sez. III, del 31 gennaio 2012 n. 1367

3. La questione all'attenzione della Corte è: se la revoca dell'assegnazione della casa familiare – disposta, con provvedimento presidenziale o del giudice, o (come nella specie) con sentenza – sia, o meno, titolo idoneo per l'esecuzione, quando (come nella specie) non contenga esplicitamente la condanna al rilascio. La questione si pone, indifferentemente, per il provvedimento anticipatorio e provvisorio, ex artt. 708 e 710 cod. proc. civ., e per la sentenza, stante l'art. 189 disp. att. cod. proc., in base al quale il primo costituisce titolo esecutivo.
Il carattere di novità della questione rende opportuna l'integrazione della motivazione del giudice di merito. Il Collegio reputa di dare risposta affermativa al quesito, atteso che la condanna al rilascio deve ritenersi implicita nel provvedimento e nella sentenza con cui viene revocata l'assegnazione della casa familiare.
4. Vanno messi in evidenza tre profili rilevanti ai fini della risoluzione della questione.

4.1. Il primo è dato dalla necessità di assumere un'ottica non parziale. La questione deve essere affrontata considerando anche l'ipotesi, speculare, dell'attribuzione (con provvedimento anticipatorio o con sentenza) dell'assegnazione a uno dei coniugi, senza esplicita condanna al rilascio (allontanamento) nei confronti dell'altro. Si tratta, infatti, del conferimento e della revoca dello stesso diritto, rispetto ai quali la condanna al rilascio prende direzioni diverse; rispettivamente, il non assegnatario e l'assegnatario che perde tale qualifica.

4.2. Il secondo è dato dalla portata della previsione legislativa (art. 189 disp. att. c.p.c.). In origine, in un contesto ordinamentale di non generale esecutività delle sentenze non passate in giudicato, tale disposizione – attributiva di efficacia esecutiva espressamente riferita solo ai provvedimenti temporanei e urgenti nell'interesse dei coniugi e della prole – non poteva non concernere anche le sentenze. Altrimenti, la ratto, evidentemente di tempestività ed effettività della tutela di interessi primari, che aveva indotto il legislatore a tale scelta, sarebbe stata vanificata dalla emanazione della decisione definitiva. Nessuno ha mai dubitato che tra i provvedimenti temporanei e urgenti ex artt. 708 e 710 c.p.c., cui si applica il 189 cit., rientri quello relativo all'abitazione familiare, anche se introdotto formalmente solo nel 1975, con la legge di riforma del diritto di famiglia. Infatti, esso partecipa della stessa ratto ed era astrattamente ricomprensibile tra i provvedimenti reputati opportuni, ai sensi dell'originaria formulazione dell'art. 708 cod. proc. civ..

4.3. Il terzo profilo è dato dalla peculiarità del diritto in argomento. Verranno messi in evidenza solo gli aspetti strettamente necessari a cogliere meglio la fase dell'esecuzione dello stesso. L'assegnazione si sostanzia unicamente nel diritto di continuare a vivere nell'abitazione familiare (al godimento della stessa, secondo l'art. 155 quater, cod. civ., introdotto dalla L. 8 febbraio 2006, n. 54) senza l'altro coniuge. Nasce, formalmente nel 1975, con l'esigenza di regolare le crisi coniugali; ha la funzione di perseguire interessi primari, di natura personale, essenzialmente collegati alla tutela dei figli. Secondo la giurisprudenza costante, e la dottrina assolutamente dominante, si tratta di diritto personale di godimento, sui generis, proprio per la collocazione nell'ambito dei rapporti familiari in crisi. La caratteristica essenziale, connaturale alla funzione, è di costituire un limite rispetto a un diritto dominicale di altri (l'altro coniuge o un terzo) sullo stesso bene; è presupposto per la successione ex lege nel contratto di locazione (L. 27 luglio 1978, n. 392, art. 6); vale anche rispetto ad altri contratti costitutivi di diritto personale sullo stesso bene, quali il comodato. Esso si esaurisce nel godimento della casa senza il coniuge; dato essenziale, che non è stato messo in discussione neanche con l'introduzione dell'affido condiviso dei figli. Costituisce un limite, di carattere eccezionale, posto all'ordinario assetto dei rapporti reali e obbligatori sull'immobile.
L'unicità contenutistica/strutturale e il costituire un limite ai diritti degli altri sulla casa familiare, conforma il momento attributivo e la revoca.

4.3.1. Rispetto al momento dell'attribuzione, il diritto non può venire ad esistenza se non si accompagna all'allontanamento dalla casa familiare dell'altro coniuge. Se non c'è l'allontanamento (il rilascio) da parte dell'altro coniuge, non manca solo la possibilità di esercitare un diritto (in astratto esistente sulla carta); manca il diritto stesso, essendo il godimento esclusivo l'unico contenuto della assegnazione. Sul piano dell'esecuzione, ciò comporta che il provvedimento, o sentenza, con cui il diritto è attribuito, contiene in sè, implicitamente, la condanna al rilascio nei confronti dell'altro coniuge; attribuzione e rilascio non si pongono su due piani distinti: il rilascio non si pone come consequenziale all'attribuzione, ma come coessenziale per la nascita stessa del diritto. Conseguente è l'irrilevanza dell'esistenza o meno dell'espresso ordine di rilascio nel provvedimento/sentenza attributivi del diritto e l'idoneità del titolo, contenente anche solo l'espressa attribuzione del diritto, all'esecuzione. 4.3.1.1. Del resto, la Corte non ha dubitato che l'ordinanza attributiva del diritto ad uno dei coniugi di abitare la casa familiare sia soggetta, in mancanza di spontaneo adempimento, ad esecuzione coattiva (in via breve, tramite l'ufficiale giudiziario, o mediante normale procedura di esecuzione forzata) (Cass. 1 settembre 1997, n. 8317).

4.3.2. Rispetto al momento della revoca, essendo venuto meno -secondo la valutazione ritenuta dal giudice – il diritto speciale attribuito, cioè essendo stata esclusa la fruizione della casa familiare in capo a colui che ne aveva il godimento esclusivo, si determina un effetto uguale e contrario a quello dell'assegnazione; cosi, destinatario della condanna al rilascio diventa chi non è più assegnatario, con il conseguente riespandersi dell'ordinario regime giuridico sulla casa familiare.

4.4. In conclusione, la natura speciale del diritto di abitazione della casa familiare, che non esiste senza allontanamento dalla casa familiare di chi non è titolare dello stesso (nel caso dell'attribuzione) e che, quando smette di esistere con la revoca, determina una situazione eguale e contraria in capo a chi lo ha perduto, con conseguente necessario allontanamento dello stesso, consente al provvedimento/sentenza di essere eseguito per adeguare la realtà al decisum, anche se il profilo della condanna non sia esplicitato, proprio perché la condanna è implicita, in quanto connaturale al diritto, sia quando viene attribuito, sia quando viene revocato. Nè tale soluzione interferisce con la giurisprudenza consolidata che, prima della formazione della cosa giudicata, ritiene eseguibili: solo le sentenze di condanna (Cass. 6 febbraio 1999, n. 1037), comprese le statuizioni di condanna alle spese, indipendentemente dalla accessorietà al capo di condanna (Cass. 10 novembre 2004, n. 21367); esclude l'esecutività di condanne consequenziali, in rapporto di sinallagmaticità con capi aventi natura costitutiva, nei quali l'effetto costitutivo si produce solo con il giudicato (Sez. Un. 22 febbraio 2010, n. 4059). Nel nostro caso, infatti, per la natura del diritto in argomento – che si sostanzia solo nel godimento esclusivo senza l'altro coniuge, con la conseguenza che non esiste senza rilascio del non titolare (nel caso dell'attribuzione) e comporta un contestuale obbligo di rilascio quando viene meno il suo unico contenuto (nel caso di revoca) – non si pone il problema della scissione temporale tra effetti costitutivi ed effetti consequenziali perché il provvedimento/sentenza, di assegnazione e di revoca, contiene in se stesso una condanna al rilascio.

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Avvocato, Foro di Napoli, specializzazione Sspl conseguita presso l'Università “Federico II”; Mediatore professionista; Autore di numerose pubblicazioni in materia di diritti reali, obbligazioni, contratti, successioni. E' possibile contattarlo scrivendo a diritto@fanpage.it.
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