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8 marzo, festa della Donna: oggi cioccolatini e parole dolci, da domani di nuovo offese e minacce

In Italia una parolaccia su due è un insulto sessista. Per questo in un 8 marzo alternativo vi portiamo nel mondo delle parolacce, per sorprendervi con la loro origine e sul perché ci siano sfuggite di mano. John Lennon diceva che le donne sono i neri del mondo, e oggi più che mai la loro dignità può rinascere da un uso meno ostile delle parole.
A cura di Andrea Melis
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Oggi, 8 marzo,  per la Festa della donna (o meglio giornata internazionale) tutti faremo attenzione a regalare cioccolatini e mimose, e a usare parole dolci e misurate. Ma cosa accade negli altri 364 giorni dell'anno? Tra i primi a studiare le parolacce ci fu Sigmund Freud, che li riconobbe subito il valore di pulsione sessuale e di aggressione.
D’altronde insultare significa letteralmente “saltare addosso”.
Dunque l’insulto è un atto deliberato di lotta che usa le parole al posto del fisico. Ma non per questo fa meno male.
In italiano (cosa che si evince anche dai termini scurrili registrati nello Zingarelli) una parolaccia su due attiene la sfera sessuale.

Tra il 1990 e il 1991 un gruppo di ricercatori registrò le conversazioni di quasi duemila persone a Milano, Firenze, Roma e Napoli. Sia a casa che al lavoro, sugli autobus e nei treni, su radio, tv e tribunali.
Di 57 ore e mezza di registrazioni e 500 mila parola analizzate venne fuori che la più usata era Cazzo.
E Cazzo è una delle parole jolly nel nostro linguaggio, insieme a Culo.
Entrambe possono essere usate non necessariamente come offesa:
Cazzo! Può esprimere sorpresa, elogio (cazzuto!) noia (scazzo) rabbia (incazzato) approssimazione (a cazzo)

Stessa cosa per Culo: può essere usato per indicare fortuna (Che culo!) amicizia (essere culo e camicia) fatica (farsi il culo) scherzo (prendere per il culo) e fallimento: “Restare col culo per terra” deriva dalla pena medievale in uso nei Longobardi di condannare i falliti ad abbassarsi i pantaloni (calarsi le braghe) e appoggiare le natiche sull’erba. Molto più difficile è invece trovare delle parolacce rivolte all’universo femminile che non abbiano un chiaro intento offensivo.
Tanto che per offendere una donna le si dice puttana, e per offendere un uomo figlio di puttana.
O peggio si attacca la sua virilità “avvicinandolo” alla femmina.

Chiaro esempio le offese rivolte agli omossessuali, ma anche nel gergo quotidiano che ormai non si considera più nemmeno turpiloquio gli esempi sono tanti: sfigato, per esempio, vuol dire non essere in grado di conquistarsi una figa. Anche l’offesa di bastardo la più usata dalle donne in realtà si comporta come un boomerang, addebitando all’uomo di essere originato da donne di facili costumi. Intorno alla parola puttana poi l’esempio si fa lampante. Intanto deriva da puteus, e allude come quasi tutti i termini sessuali riferiti alla donna alla “cavità” sessuale. In questo caso a cavità ipogee in cui gli antichi seppellivano i morti, quindi erano maleodoranti e sporche.
Puttana può quindi essere semplificato in cavità puzzolente e lercia.
Così pure vagina, termina Cinquecentesco che indicava il fodero, la guaina del guerriero. Vulva significa “porta” come pure il gergale fessa per fessura.
In ogni caso qualcosa di vuoto da riempire.

Anche l’offesa considerata tra le più disonorevole per un uomo, “cornuto” per esempio, offende la donna e nasce dal fatto che in antichità si stilizzava il sesso femminile come la testa di un toro le cui corna erano le tube di Falloppio.
Essere cornuti significa dunque che una moglie infedele custodisca lo sperma di un altro uomo dentro le proprie “corna”. Così anche nell’offesa omofoba si procede con lo stesso schema: frocio deriva da “narici”, soprannome delle guardie papali che avevano costumi inclini all’omossessualità, ricchione nasce dall’assonanza tra auriculus – orecchio – e culus ( e tutti i suoi derivati: culattone, buco, etc) checca deride l’abitudine dei gay di attribuirsi nomi femminili, mentre il finocchio era nel teatro il servo sciocco ed effeminato della commedia dell’arte.
Insomma appare chiaro a questo punto come nella quotidianità compiamo costantemente il delitto di aggressione e offesa alle donne in quanto tali, senza neppure rendercene conto.

E sembra un’abitudine che nasce sin dall’infanzia (la parolaccia più usata dai bambini americani è fottere, quello dalle bambine è cagna per offendersi tra loro) e questo vocabolario va crescendo con l’età: 3-4 parolacce dai 0 ai 2 anni, che diventano oltre 60 già verso l’adolescenza.
E cambiare da adulti è difficile: pochi sanno che esiste una zona del cervello che sopraintende all’uso delle parolacce. E che ci sono casi di persone sopravvissute a ictus e menomazioni neurologiche nelle quali sopravvive solo la capacità di offendere e di pronunciare turpiloqui.
In definitiva l’uomo può peccare per eccesso o difetto di mascolinità, e lo testimoniano le allegorie sessuali a lui attribuite che inneggiano sempre a qualcosa di utile o aggiuntivo per individuare il pene:
oggetti (arnese, attrezzo, pacco, manico, missile, verga, manganello, martello, mazza) oppure armi (calva, cannone, pistola) strumenti musicali o elementi architettonici (flauto, piffero, campanile, colonna) animali (uccello, pesce, cobra, serpente) piante e frutti e cibi (banana, carota, piselli) mentre come già detto la parte femminile è sempre paragonata a un’assenza o un incompletezza che quasi mai rende onore al suo ruolo di origine della vita e dell’universo.

Anzi così come per puttana, tutte le offese a lei riferite sono immonde e dispregiative: troia (femmina del maiale), zoccola (topo di fogna) bagascia (serva) mignotta (qui il volgo si divide tra la leggenda romanesca di “figlio di m.ignota", dove m. sta per madre e l’etimo francese mignon, “compiacente”) e perfino negli usi più edulcorati come prostituta (cole che si espone) e lucciola (dai tipici fuochi notturni a bordo strada) o meretrice (colei che si fa pagare) sono tutti una condanna alla libertà sessuale della donna.

Per quale colpa? Perché osano essere proprietarie della loro cosa più preziosa: la capacità di donare amore, vita, sesso, piacere.
Un motivo certamente su cui riflettere non solo oggi ma ogni giorno, in quest’epoca di regressione e femminicidi.
Come diceva John Lennon le donne sono i neri del mondo. E questo non è un bel periodo né per le une né per gli altri.

Sarebbe bello tornare ai tempi dei Sumeri, quando le prostitute erano sacerdotesse nei templi di Eanna, divinità della fertilità e dell’amore. Il sesso serviva a liberare le forze misteriose della fecondazione e della vita, il che faceva delle sacerdotesse delle donne sacre e rispettate e dei loro figli, dei veri e propri figli di divinità.
Altro che figli di puttana. Anche se per mantenere questo privilegio le sacerdotesse dovevano versare al tempio una dote sui propri guadagni.
E propri in questo ambito pare sia nata la prima forma di prostituzione come business. Ma sulle bestemmie magari ne parleremo un’altra volta.
L’augurio che posso fare oggi a tutte le donne non è una cazzo di mimosa ma il poter trovare dignità a pace a partire dal loro organo sessuale.
Magari adottanda la proposta che fece la sessuologa belga Goedele Liekens, quella di ribattezzare la vagina col termine sanscrito Yoni il cui significato è: origine, fonte.

Ma sarebbe un cambiamento culturale molto più faticoso che uscire a comprare un cioccolatino o una mimosa.

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Andrea Melis (Cagliari, 1979), grafico, videomaker e scrittore, ha pubblicato articoli di cultura, interviste, inchieste e racconti per riviste e quotidiani nazionali e stranieri. Tra i membri fondatori del Collettivo Sabot, ha firmato romanzi insieme ad autori come Massimo Carlotto e Francesco Abate, tra cui Perdas de Fogu (E/O, 2008). La sua prima opera in poesia, #Bisogni, una selezione di versi autoprodotta in mille copie grazie a una campagna di crowdfunding, è andata esaurita in poco più di un mese. Il suo ultimo libro è edito da Feltrinelli, Piccole tracce di vita. Poesie urgenti (2018). Collabora come autore di testi con artisti, illustratori, fotografi, musicisti e compagnie teatrali di tutta Italia. Scrive editoriali poetici per FanPage.it
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