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Chi ha paura di Bella Ciao? La storia del canto che terrorizza Salvini

Non è “Fischia il vento”, non è il “Sol dell’Avvenire”, non è “Bandiera rossa”. Insieme a “Volare”, “Bella Ciao” è il canto popolare italiano più famoso al mondo. La sua origine risale ai canti delle mondine padane, e non è mai stato un inno comunista, ma di tutta l’Italia liberata. È solo una canzone, eppure fa uscire dai gangheri il Ministro Salvini.
A cura di Andrea Melis
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Bella Ciao non è "Fischia il vento", non è il "Sol dell'Avvenire", non è "Bandiera rossa". Insieme a "Volare" è il canto popolare italiano più famoso al mondo. L'ultimo in ordine di tempo ad averne fatto una versione da brividi è stato l'immenso Tom Waits. Prima di lui fu Manu Chao a portarla in tour in tutto il mondo e durante le esequie dell'attentato di Charlie Hebdo a Parigi la cantò l'attore francese Christophe Aleveque. Il grande musicista bosniaco Goran Bregović la include regolarmente nei propri concerti. L'amico poeta Franco Arminio conclude le sue presentazioni facendola intonare al pubblico.

È stata la colonna sonora de "La casa di Carta", la serie televisiva spagnola più vista della storia. A risalire ancora più indietro l'hanno resa celebre anche  Claudio Villa e Giorgio Gaber, fino alla versione degli anni Cinquanta cantata da Milva, che ci riporta al suo legame con la "Padania". Si perché l'origine di questo canto di ribellione patriottica, che inneggia a un invasore senza colore né bandiera, ha un legame con le mondine delle risaie padane: una "Bella Ciao" antichissima veniva intonata sin dal 1906 nella bassa Vercellese, durante la lotta per conquistare il diritto alle otto ore lavorative:

Alla mattina appena alzata, o bella ciao, bella ciao
Bella ciao ciao ciao, alla mattina appena alzata,
devo andare a lavorar..!

A lavorare laggiù in risaia, o bella ciao, bella ciao
Bella ciao ciao ciao! A lavorare laggiù in risaia
Sotto il sol che picchia giù!

E tra gli insetti e le zanzare, o bella ciao, bella ciao
Bella ciao ciao ciao, e tra gli insetti e le zanzare,
duro lavoro mi tocca far!

Il capo in piedi col suo bastone, o bella ciao, bella ciao
Bella ciao ciao ciao, il capo in piedi col suo bastone
E noi curve a lavorar!

Altri ricercatori rilevano che il suo ipnotico "Ciao, ciao, ciao" possa rifarsi a un ancora più antico  canto infantile diffuso in tutto il nord, La me nòna l'è vecchierella , come omaggio poetico allo sfiorire della fanciullezza. Qualcun altro la fa risalire a un canto francese del Cinquecento, poi arrivato in Piemonte con il titolo di La daré d'côla môntagna, per passare nella tradizione trentina con il titolo di Il fiore di Teresina, e da li probabilmente arrivare infine alle mondine venete.

Quello che è certo è che nella sua versione finale è giunta a noi in molte varianti e strofe. A riprova che fu un canto il cui successo crebbe nell'Italia liberata del dopoguerra, più che durante la lotta partigiana, e per molti decenni fu un canto largamente condiviso: quindi non certo un canto per comunisti, ma fatto proprio da tutto l'arco della costituente repubblicana, compresi persino i cosiddetti partigiani badogliani – contraddistinti da un fazzoletto di colore azzurro – e senza dubbio contrari al comunismo.

Una canzone italianissima, dunque, che dovrebbe rappresentare un vero patrimonio popolare, tanto più in vista di leggi che vorrebbero imporre una quota di brani "patriottici" nelle radio, polemica nata sulla lunga scia di Sanremo dopo la contestata vittoria del "ragazzo" Mamhoud (tra l'altro di origini sarde). E la stessa "Bella ciao" fu al centro di controversie durante i preparativi del Festival di Sanremo 2011 poiché Gianni Morandi, l'allora conduttore, annunciò l'intenzione di eseguire la canzone nella serata dedicata ai 150 anni dell'Unità d'Italia.

Ecco perché sorge la domanda: ma perché Salvini, che della lotta alle presunte "invasioni" ne ha fatto la sua bandiera politica, ha il terrore di questa canzone? Forse si considera pure lui un invasore? A giudicare dal suo comportamento durante tutta la campagna elettorale in Sardegna, sembrerebbe così. In terra Sarda, il Ministro,  per la prima volta nella storia di un'elezione regionale "terrona" si è trasferito armi e bagagli per ben una settimana, a blandire pastori e elettori. Ma le sue reazioni verso chi intonava questa canzonetta popolare sono state quanto meno nervose e scomposte:

«Chi vuole usare i fischietti si prenda dieci migranti e vadano insieme a fischiettare» ha gridato a un gruppetto di ragazzini che intonavano il canto in piazza Tola a Sassari, e poi rivolto a un altro minorenne ha aggiunto minaccioso: «vai a casa a bere il latte di pecora», non spiegando quale sia il nesso tra la canzone, i migranti e il latte. «Ma che brave queste signore che cantano – ha esclamato invece in piazza a Iglesias rivolto a un gruppo di anziane signore – perché non andate a Sanremo o a Italia’s got talent?»

Copione più o meno invariato, ma che è andato aggravandosi non poco, si è ripetuto l'altro ieri nella vicina Carbonia, da sempre città mineraria fondata da Mussolini ma anche teatro di grandi lotte operaie. A un gruppo di studenti che intonava il canto patriottico il Ministro dell'Interno ha rivolto parole a dir poco preoccupanti:

«Se dovete cantare vi accompagniamo a Sanremo o in qualche stalla a mungere le pecore» poi, accorgendosi di aver appena usato il lavoro dei pastori come offesa, ricordandosi che aveva promesso di salvarli tutti in 48 ore, ricordandosi anche di aver tolto "Nord" al simbolo della Lega, ha provato a correggere il tiro: « un lavoro faticoso che sicuramente non sapete fare…» Ma ormai l'embolo gli era partito, e così ha rincarato la dose: «Ma quanto sono sfigati? Dal 24 febbraio questi fanno la valigia con Zedda, prendono il barcone e vanno a casa » dimenticandosi probabilmente che i sardi, e dunque anche Zedda, sono già a casa loro. E che comunque andrà domenica, nessuno abbandonerà la propria terra. Solo in un triste passato altri sardi, che di cognome facevano Lussu e Gramsci, pagarono con anni di confino e carcere la loro coerenza, l'amore per la propria terra e per la libertà. Motivo per cui oggi queste parole dette da un'alta carica dello Stato suonano piuttosto inquietanti. Soprattutto se dette da un padano che si trova nell'Isola da ospite. O forse da invasore?

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Andrea Melis (Cagliari, 1979), grafico, videomaker e scrittore, ha pubblicato articoli di cultura, interviste, inchieste e racconti per riviste e quotidiani nazionali e stranieri. Tra i membri fondatori del Collettivo Sabot, ha firmato romanzi insieme ad autori come Massimo Carlotto e Francesco Abate, tra cui Perdas de Fogu (E/O, 2008). La sua prima opera in poesia, #Bisogni, una selezione di versi autoprodotta in mille copie grazie a una campagna di crowdfunding, è andata esaurita in poco più di un mese. Il suo ultimo libro è edito da Feltrinelli, Piccole tracce di vita. Poesie urgenti (2018). Collabora come autore di testi con artisti, illustratori, fotografi, musicisti e compagnie teatrali di tutta Italia. Scrive editoriali poetici per FanPage.it
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