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Opinioni

Cosa c’è che non va ne #labuonascuola di Renzi (e cosa invece va)

Criticità e dubbi sulla riforma della scuola del Governo Renzi: un progetto ambizioso, ma con i piedi di argilla. Che però è tutt’altro che da rottamare: per la prima volta da tempo, infatti, si investe nella scuola. E nei professori.
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Come da triste abitudine, è stato necessario aspettare settimane prima di poter leggere il testo ufficiale di una riforma presentata in pompa magna dopo un Consiglio dei ministri. Finalmente, però, abbiamo a disposizione il testo ufficiale de La Buona Scuola, uno dei progetti più complessi ed ambiziosi dell’esecutivo guidato da Matteo Renzi. E, pur tra ritardi e polemiche, è finalmente cominciato l'esame in Commissione.

Nell’attesa che la discussione parlamentare entri nel vivo, arriva anche una centrale giornata di mobilitazione di studenti, insegnanti e cittadini: nelle piazze tutte le sigle dei principali sindacati (Flc-Cgil, Cobas, Cisl scuola, Uil scuola, Snals e Gilda), collettivi studenteschi e militanti dei partiti di opposizione. Le ragioni della protesta sono diverse e toccano i vari punti del progetto “La Buona Scuola”.

Si parte dal nodo delle assunzioni: il piano del Governo (su cui, ripetiamo, dovrà esprimersi il Parlamento…e non è affatto detto che sia un bene) prevede l’assunzione a tempo indeterminato di circa 100mila docenti, tramite lo svuotamento delle Gae (le graduatorie ad esaurimento). Una scelta che, di fatto, taglierebbe fuori non solo gli oltre 6mila precari che hanno vinto il concorso nel 2012 (ma che non sono stati assunti per mancanza di posti), ma soprattutto i circa 160mila abilitati che, pur essendo ampiamente qualificati, sono fuori dalle graduatorie provinciali. Per inciso, resta anche il problema della legge necessaria per cambiare il "principio generale per cui le assunzioni nel pubblico impiego possono avvenire solo per concorso" (mentre stavolta il 90% degli ingressi sarà tramite graduatoria).

Per provare a dirimere la questione, la proposta in campo è quella di riservare il concorso, che dovrebbe tenersi entro la fine del 2015 e in cui saranno messi a disposizione ulteriori 60mila posti, ai soli abilitati all’insegnamento (o magari con "punti aggiuntivi per chi è risultato idoneo", come ha detto lo stesso Renzi). Un'idea che non convince del tutto, anche in considerazione dei tempi lunghi dell’esame parlamentare che potrebbero comportare lo slittamento di tutte le assunzioni (alcuni sindacati e la minoranza PD propongono di stralciare la parte delle assunzioni e mettere in campo un decreto legge). Polemiche poi anche sulla norma che impedirebbe la stabilizzazione di chi ha lavorato per "36 mesi" (anche se la proposta del PD è quella di far partire i 36 mesi da settembre 2015, garantendo dunque ai precari di continuare ad insegnare in attesa del concorso) e sulle ripercussioni sulla "mobilità degli insegnanti" (l'accusa è che con l'immissione dei precari diventerà impossibile "avvicinarsi a casa" per chi è già di ruolo: la soluzione è nel piano straordinario della mobilità).

Più di qualche dubbio c'è poi sul ruolo del preside, vero e proprio casus belli. Nella iniziale proposta renziana i presidi potevano scegliere per chiamata diretta i professori da un apposito albo regionale (o provinciale). Attualmente, come spiega Galatea Vaglio su Valigia Blu, “il dirigente scolastico deve limitarsi ad accettare nella sua scuola gli insegnanti che provengono dalle graduatorie. Sono i docenti che scelgono una rosa di sedi dove chiedere di entrare in ruolo, o essere trasferiti da altre cattedre precedenti, e ottenere le sedi desiderate per punteggio, stabilito sulla base dell’anzianità di servizio, e dei titoli posseduti”. L’idea del Governo presta il fianco ad una serie di critiche (come saranno selezionati i professori? Che possibilità avranno i docenti di scegliere dove lavorare? Cosa accadrà al termine dei tre anni del loro contratto in una determinata scuola? Chi valuterà le decisioni dei presidi?), ma va detto che nel primo passaggio in Commissione la norma ha subito già una modifica importante, come riporta L’Espresso: “Mitigati (per ora) i poteri dei presidi-manager: il piano dell'offerta formativa non sarà elaborato dal dirigente scolastico, come inizialmente previsto, ma dal collegio dei docenti e approvato dal Consiglio d’Istituto. Il piano determinerà quanti e quali docenti servono a ogni istituto per i posti comuni, per quelli di sostegno e per il potenziamento dell'offerta formativa. In pratica solo l'individuazione dei docenti e non la scelta”.

Resterebbe in ogni caso il potenziamento della figura del preside, che diverrebbe un vero e proprio manager d'azienda (vedremo come e in che modo sarà disciplinata, ad esempio, la parte riguardante la gestione delle risorse economiche, il crowdfunding, l'accesso alla "finanza buona", l'attrazione degli investimenti provati eccetera). Il dirigente scolastico interverrà anche sulla valutazione del merito e sui premi agli insegnanti.

La riorganizzazione proposta dal Governo coinvolge direttamente gli istituti, che saranno inseriti in un sistema di valutazione su base nazionale, esteso anche alle scuole paritarie e determinante anche per l’assegnazione dei fondi. Nelle intenzioni originarie si immaginava infatti di legare al “punteggio” dei singoli istituti non solo l’assegnazione dei fondi, ma anche la retribuzione dei dirigenti scolastici: a quanto pare, però, non ci sarebbero le condizioni per classifiche o “competizioni” e dalla consultazione operata in autunno sarebbe emerso grande scetticismo degli addetti ai lavori sulle griglie di valutazione proposte. Restano invece i cambiamenti rispetto alla formazione degli insegnanti, che sarà "obbligatoria, strutturale e permanente, con 50 ore l'anno (non retribuite)". E cambia anche il sistema della retribuzione, con un “doppio meccanismo di integrazione previsto per gli stipendi dei docenti: scatti di retribuzione periodici (ogni 3 anni) – chiamati ‘scatti di competenza’ – legati all’impegno e alla qualità del proprio lavoro; una retribuzione (ogni anno) per lo svolgimento di ore e attività aggiuntive, ovvero progetti legati alle funzioni obiettivo o per competenze specifiche. Anche in questo caso, i dubbi sono molti e non solo legati all'eccessiva discrezionalità lasciata ai singoli presidi (che potrebbero attingere ad un fondo di 200 milioni l'anno):

Il merito degli insegnanti dovrebbe consistere soprattutto nella loro capacità di insegnare bene: ma per ora gli unici mezzi a disposizione sono i test invalsi, che però coprono soltanto matematica e italiano, e un sistema di valutazione di istituto che è tutto da costruire. In mancanza di altro, il merito degli insegnanti pare ridursi alla loro disponibilità a svolgere compiti extra a scuola, come collaboratori del dirigente o per corsi pomeridiani di potenziamento o recupero.

Dovrebbe essere confermato invece il bonus di 500 euro l'anno per le spese "culturali" per ogni docente. In che tempi, modalità e con quali risorse, è ancora tutto da stabilire.

Un altro punto molto discusso è quello della cosiddetta alternanza "scuola – lavoro". Nell’idea del Governo si tratta di “costruire un ponte tra scuola e lavoro nell’ultimo biennio, preparando gli studenti e aiutandoli ad orientarsi”, con “almeno 400 ore per gli istituti tecnici e professionali, almeno 200 ore per i licei”, da effettuare “anche” nel periodo di sospensione delle attività didattiche. Una ipotesi da bocciare completamente per i Sindacati, che vedono il rischio di “manodopera gratuita” per le aziende e “zero ritorni” dal punto di vista formativo per i ragazzi.

C’è poi la norma che prevede l’inclusione delle istituzioni scolastiche statali tra i destinatari del 5 per mille dell’imposta sul reddito delle persone fisiche; e c’è la criticatissima scelta di disporre “una detrazione per un importo annuo non superiore a 400 euro per alunno o studente per le spese sostenute per la frequenza delle scuole dell’infanzia e del primo ciclo di istruzione che fanno parte del sistema nazionale di istruzione e, quindi, delle scuole paritarie”. Resta inoltre la possibilità di “erogazioni liberali finalizzate all’ampliamento dell’offerta formativa per le scuole sia statali che paritarie del sistema nazionale di istruzione”.

Da sottolineare, invece, alcuni punti di merito degli interventi del Governo: le risorse per l'edilizia scolastica (al netto delle problematiche e della distanza fra annunci e fatti), l'assenza di tagli nei trasferimenti (in attesa di capire dalla Ragioneria Generale dello Stato se le coperture previste dalla legge di stabilità per le assunzioni sono sufficienti), l'attenzione agli open data ed al progetto di digitalizzazione, i 300 milioni per lo svecchiamento di attrezzature e laboratori, l'implementazione di lingue straniere e coding.

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A Fanpage.it fin dagli inizi, sono condirettore e caporedattore dell'area politica. Attualmente nella redazione napoletana del giornale. Racconto storie, discuto di cose noiose e scrivo di politica e comunicazione. Senza pregiudizi.
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