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Opinioni

Lavoro, scuola, amianto, alluvioni: ecco perché esplode la rabbia sociale

Quanto è esteso nel Paese il fronte dell’opposizione al Governo Renzi, da chi è composto e con quali prospettive (breve analisi di clima del “sistema – Italia”).
A cura di Michele Azzu
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“L’astensione è un elemento secondario”, ha commentato Matteo Renzi a seguito del risultato shock dell’astensione in Emilia Romagna e Calabria. Nella prima ha votato il 37% degli aventi diritto, pochi mesi fa per le europee era il 70%. Ma è come dice il premier? Cosa ci dice l’astensione? Per capire questo dato dobbiamo considerarlo alla luce dello scontro sociale emerso nelle ultime settimane: gli scontri, le manganellate, le contestazioni. Sta accadendo in tutta Italia, per il lavoro, per il diritto alla casa, fino alle aggressioni contro gli immigrati. La rabbia sociale che fino a pochi mesi fa si riteneva ancora lontana, perché: “Non siamo ancora abbastanza disperati” sembra essere ormai raggiunta. E la rabbia esplode dove c’è la consapevolezza che andare a votare non cambierà nulla.

Chi ha ragione? Non è facile capire cosa succede in questi tempi confusi, senza ideologie, partiti e riferimenti chiari. Non è facile orientarsi nel vasto orizzonte della protesta sociale: le rivendicazioni sono numerose e eterogenee: i movimenti per la casa, i sindacati, i comitati per le sentenze Eternit. Proviamo a spiegare in maniera chiara chi sono i principali gruppi di contestatori delle ultime settimane, e cosa chiedono. Per avere una mappa della sfiducia, un vademecum delle emergenze che in Italia, ormai, durano da troppo tempo. E che, forse, possono dirci qualcosa in più sulla crescente sfiducia verso il diritto di voto.

La rabbia dei cittadini alluvionati di Carrara. L’8 novembre il comune di Carrara è rimasto assediato ed occupato per due giorni. La mobilitazione è partita col tam tam su Facebook, la mattina dell’8 novembre: 200 persone si sono radunate davanti al comune per protestare contro le responsabilità dell’amministrazione nei forti danni causati dall’alluvione dei giorni precedenti. Nel giro di poche ore le persone diventano 3000, urlano contro il sindaco. Che arriva qualche ora dopo, declinando le responsabilità. Seguono i tumulti in cui lo stesso sindaco rimane colpito. Da allora sono passate tre settimane e il municipio è ancora occupato dai cittadini di quel giorno, che discutono sui problemi della città e sui danni dell’alluvione. Era da un paio di anni che non si vedeva una protesta di questo tipo, che ricorda da vicino la lunga mobilitazione di Parma che nel 2011 portò alle dimissioni del sindaco e della giunta, con tanti consiglieri coinvolti in un’inchiesta giudiziaria chiamata “Public Money”. Quella protesta fece parte del “movimento arancione”, le rivolte dei comuni che coi nuovi sindaci Pisapia a Milano, Zedda a Cagliari, Pizzarotti a Parma e De Magistris a Napoli avrebbero dovuto cambiare l’Italia della crisi. Non andò così, e le conseguenze le vediamo oggi in proteste similari come quella di Carrara. Dove, a differenza di allora, la rabbia è molto più forte, e la speranza di un cambiamento dando fiducia alla politica non c’è più.

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I comitati dei familiari morti per Amianto. Comitati, associazioni, semplici cittadini: anche questi sono numerosi in tutta Italia. Ma la fiaccolata che ha portato migliaia di persone in corteo è avvenuta a Casale Monferrato, in provincia di Alessandria, paese simbolo della produzione di Eternit. La Cassazione ha chiuso con la prescrizione il processo che vedeva imputato il magnate svizzero Schmidney per disastro ambientale doloso. Il caso Eternit è solo un esempio emblematico dei tanti processi infiniti italiani, dove la giustizia sembra non arrivare mai. Esempio anche delle tante problematiche legate ai veleni industriali presenti su tutto il territorio nazionale, e che ovunque portano in piazza le persone. Sul caso Eternit, ora, oltre i tanti morti ed ammalati, rimangono le bonifiche per cui la sentenza ha cancellato anche i rimborsi alle casse comunali e regionali. Il governo ha annunciato una revisione della prescrizione, che però non risolve l’assenza di leggi specifiche sui disastri ambientali.

La Fiom di Maurizio Landini. È il sindacato Cgil dei metalmeccanici, che oltre le fabbriche automobilistiche come la Fiat, o quelle dell’acciaio come la Thyssen o dell’alluminio come Alcoa, comprendono le industrie dell’elettronica. Ha 350mila iscritti e un peso politico importante, che inquadra l’ala più radicale della Cgil. Maurizio Landini è alla guida dal 2010. Negli ultimi anni la Fiom ha pagato un prezzo alto dallo scontro con Sergio Marchionne in Fiat, che ha portato quest’ultima a uscire da Confindustria, ad allontanare il sindacato dalle fabbriche, e a diversi casi di discriminazione sindacale nelle fabbriche del gruppo. Ma la Fiom paga un prezzo alto dalla crisi anche perché il settore dei metalli pesanti risulta uno dei più colpiti. L’8 ottobre la Fiom ha manifestato a Milano in difesa dell’articolo 18. Il 25 ottobre ha manifestato a Roma assieme alla Cgil, nella manifestazione contro il Jobs Act (la riforma del lavoro di Renzi) che ha portato in piazza a Roma circa un milione di persone. Il 14 novembre la Fiom ha manifestato e condotto uno sciopero a Milano, assieme agli studenti e ai movimenti, il 21 a Napoli, il 25 a Cagliari e il 27 novembre sarà a Palermo. I motivi delle recenti manifestazioni sono la difesa dell’articolo 18, la crisi e le trattative per la risoluzione di numerose vertenze industriali metalmeccaniche, come l’Ast di Terni. Ci si oppone, infine, ai provvedimenti del Jobs Act che favorirebbero il precariato.

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La Cgil di Susanna Camusso. È il principale sindacato italiano con 5 milioni e 700mila iscritti, di cui circa 3 milioni pensionati. Susanna Camusso è in carica dal 2010. Accusato da più parti di essere stato troppo morbido con i governi recenti -ad esempio col governo Monti e riguardo la riforma Fornero delle pensioni e dell’articolo 18 – ha trovato in Matteo Renzi un duro confronto. Che l’ha portata nelle piazze: il 16 ottobre a Bologna con gli studenti, il 25 ottobre a Roma con un milione di persone in piazza. Per il 12 dicembre ha proclamato lo sciopero generale assieme alla Uil contro la riforma del lavoro Jobs Act. Le principali motivazioni delle manifestazioni Cgil sono la difesa dell’articolo 18, e quindi l’opposizione ai licenziamenti facili, i provvedimenti del Jobs Act, il finanziamento degli ammortizzatori sociali (in deroga, che il governo vuole cancellare). L’opposizione all’annunciato taglio delle pensioni. Di recente posizioni contro il precariato, lo sfruttamento dei freelance e delle giovani partite Iva.

I sindacati di base Usb e Cobas. Sono sindacati non confederali, strutturati senza la gerarchia dei più grandi Cgil, Cisl e Uil. Nascono in contrapposizione a questi e negli ultimi anni sono cresciuti proprio in quelle realtà dove le tre sigle hanno registrato clamorosi insuccessi (spesso in contrapposizione con i lavoratori). Come alla Richard Ginori di Firenze, dove nel 2010 in massa stracciarono le tessere della Cgil per costituire un Cobas. Alcune delle più importanti lotte sul lavoro degli ultimi anni sono state condotto in Usb e Cobas. Nel novembre 2013 le elezioni sindacali all’interno dell’Ilva di Taranto (che conta 11.500 dipendenti) hanno visto l’Usb diventare il secondo sindacato in fabbrica, scavalcando la Fiom. Da ricordare anche l’ottimo lavoro che Usb conduce nella grande distribuzione, le grandi catene di supermercati, dove i sindacati sono assenti. Il 14 novembre hanno proclamato lo sciopero del trasporto pubblico locale contro il Jobs Act. Il 25 novembre hanno manifestato presso il tribunale civile di Roma in occasione del ricorso presentato contro il Testo Unico sulla rappresentanza sindacale di gennaio 2014 firmato da Cgil, Cisl e Uil. Le ragioni della protesta per Usb e Cobas sono i tagli alla sanità della Legge di Stabilità e il Jobs Act. In occasione della manifestazione della Cgil del 25 ottobre a Roma, inoltre, hanno appeso due striscioni sul Colosseo, a sostegno di Ilario e Valentino, due autisti di bus iscritti all’Usb sospesi dal servizio a seguito di un’intervista sul programma di Raitre “Presa Diretta”.

I movimenti per la casa. Sono sempre più numerosi, legati ai centri sociali oppure no, e sono stati protagonisti alla manifestazione della Fiom il 14 novembre a Milano. Quello che è stato chiamato lo: “sciopero sociale”. Nelle ultime settimane si sono fatti sentire: dall’occupazione massiva della case popolari dell’Aler a Milano, e i conseguenti interventi delle forze dell’ordine. A Bologna sono tre i nuovi palazzi occupati in pieno centro, e una ex clinica è diventata alloggio per tante famiglie di stranieri. A Roma ci sono i movimenti “Action” che occupa uno stabile della Banca d’Italia e il “Coordinamento cittadino lotta per la casa” che il 14 novembre ha occupato uno stabile della Bnl. La manifestazioni nei comuni, alle regioni non si contano. E i problemi sono diversi: dai picchetti antisfratti per le famiglie e gli anziani, alla ricerca di alloggi per famiglie inadempienti (sia di italiani che stranieri). Tanti alloggi liberi dell’edilizia popolare sono in mano al racket, e i movimenti cercano di contrapporsi a questa realtà. A Roma i movimenti hann anche protestato sotto la sede dell’Acea, la società idrica, per fermare i distacchi dell’acqua agli utenti in difficoltà economica. A Milano la guerra dell’Aler continua, e le case libere vengono segnalate dai movimenti con una “V”.

Le proteste degli studenti. Certo, è vero che gli studenti protestano tutti gli anni da sempre. D’altra parte, le recenti manifestazioni ci dicono che quest’anno è in ballo qualcosa di più. Gli studenti hanno partecipato assieme alla Fiom alla manifestazione del 14 novembre a Milano. I loro motivi sono la riforma della scuola del governo, nota come “la buona scuola” che comporterebbe tagli di diverso tipo al servizio educativo, e le misure del Jobs Act sul precariato. Occupazioni sono partite in tutte le città d’Italia, da Milano, a Napoli, Firenze, Bologna. A Palermo sono stati occupati nove istituti, a Roma dieci. Gli studenti universitari di Venezia, invece, hanno protestato pochi giorni fa contro il reintegro a docente dell’ex sindaco Orsoni, coinvolto nell’inchiesta giudiziaria sullo scandalo Mose. Questo fatto senza precedenti rientra a pieno titolo nelle proteste da sfiducia verso le istituzioni, e nel divario crescente della società civile contro la classe dirigente (percepita come “Casta”).

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Acqua bene comune. Sono tanti i movimenti per l’acqua nati dal 2010 ad oggi, che sono diventati una rete dopo il referendum del 2011. Le assemblee pubbliche e i sit-in, le manifestazioni sono all’ordine del giorno: il 28 ci sarà un corteo a Napoli e un’assemblea a Salerno, il 26 a Brescia, il 25 c’è stato un sit-in a Frosinone. I movimenti sono scesi in piazza il 14 novembre accanto alla Fiom. I motivi delle proteste sono, oltre l’opposizione ad ogni forma di gestione privata del servizio idrico e al rincaro delle bollette, anche i distacchi alle utenze morose di famiglie o anziani in difficoltà. Il “gruppo allacci popolari”, a questo proposito, ha messo assieme una squadra di idraulici volontari, mascherati dal Super Mario dei videogiochi, per riallacciare le utenze di chi si trova in stato di indigenza. Si protesta in particolare contro il “Collegato Ambientale” alla legge di Stabilità 2014, approvato il 13 novembre, che cancella un articolo che impedisce i distacchi del servizio idrico e garantisce il diritto al “minimo vitale”. La legge di Stabilità, inoltre, contiene dei provvedimenti che mirano alla collocazione in borsa delle società locali di servizi pubblici, come risposta alla “spending review” (ovvero i tagli agli enti locali), processo che porterebbe di fatto alla privatizzazione del servizio idrico.

I call center. il 21 novembre c’è stato il secondo sciopero nazionale dei call center, che contano 80mila dipendenti in tutta Italia. Il primo era stato a giugno. Questa realtà, infatti, pur scontando un forte pregiudizio come simbolo del precariato, negli ultimi anni ha iniziato a sindacalizzarsi, ed è oggi la punta d’iceberg della sezione “precari” nelle mani dei sindacati. A colpire il settore è principalmente il “dumping salariale” imposto dal fiorire dei call center – che poi spesso sono vere e proprie società di servizi in outsourcing – in paesi dove il lavoro costa molto meno. Le ragioni della manifestazione di questi giorni è dovuta ai provvedimenti del Jobs Act di Renzi: il superamento dei contratti a progetto, infatti, comporterebbe problemi per i servizi dei call center. Numerose, inoltre, le vertenze problematiche nel settore, che contano tanti dipendenti: pochi giorni fa Almaviva ha annunciato 3000 esuberi per il 2015 nella sede di Palermo. Mentre il call center Accenture, che ha sempre lavorato per British Telecom di cui una volta era proprietà, è in trattative da mesi.

No Tav. La loro odissea non è mai finita, è stata solo dimenticata. Lo scorso 22 novembre i cittadini della Val Susa alle porte di Torino, dove da 20 anni le famiglie lottano contro la costruzione dell’asse ferroviario ad alta velocità Torino-Lione, hanno manifestato in solidarietà ai familiari della vittime dell’Eternit, e per la liberazione di quattro attivisti del movimento. Duemila persone sono scese in piazza. 23 sindaci della Valle il 17 novembre hanno chiesto alla presidenza di Camera e Senato una commissione d’inchiesta sulla Torino-Lione. Il 13 novembre è stato arrestato Ferdinando Lazzaro, imprenditore dei cantieri Tav accusato di turbativa d’asta, mentre gli arresti della procura di Torino hanno già portato alla luce infiltrazioni della ‘ndrangheta negli appalti dei cantieri.

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Michele Azzu è un giornalista freelance che si occupa principalmente di lavoro, società e cultura. Scrive per L'Espresso e Fanpage.it. Ha collaborato per il Guardian. Nel 2010 ha fondato, assieme a Marco Nurra, il sito L'isola dei cassintegrati di cui è direttore. Nel 2011 ha vinto il premio di Google "Eretici Digitali" al Festival Internazionale del Giornalismo, nel 2012 il "Premio dello Zuccherificio" per il giornalismo d'inchiesta. Ha pubblicato Asinara Revolution (Bompiani, 2011), scritto insieme a Marco Nurra.
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