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Opinioni

Paghe basse, riposi pochi e supermercati violenti: le cassiere sono sole

Il sindacato Usb denuncia le dure condizioni di lavoro nella grande distribuzione. E apre una pagina, contro la solitudine delle cassiere. Per sentirsi meno sole, su Facebook.
A cura di Michele Azzu
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Un ambiente violento, dove le paghe sono basse e i riposi pochi. Dove la pressione psicologia porta la persona, in particolare una donna, ad isolarsi. E allora, ecco il gruppo facebook “L’Insostenibile solitudine della cassiera” per combattere questa condizione, per confrontarsi, per dare una mano.

La realtà descritta in queste pagine virtuali è quella di chi lavora nei supermercati della grande distribuzione. L’idea è di Francesco Iacovone, sindacalista di base della sigla Usb, che questo mondo lo conosce bene perché ci ha lavorato 23 anni: “So cosa si nasconde dietro il sorriso che mostriamo ai clienti”, commenta.Di questo mondo e questo profilo facebook si è già parlato: nel novembre 2012, quando un gruppo di commesse scrisse una lettera al comico Luciana Littizzetto, allora testimonial del marchio Coop. Le commesse erano seguite proprio da Iacovone: “Ne parlarono tutti, e non ce lo aspettavamo”, commenta. “Capimmo che il nodo è molto sentito”.

Così, ora, c’è chi si iscrive al gruppo, e si sfoga per uscire dalla solitudine. “Sono ex Coin e ancor prima Standa”, scrive Barbara che è andata all’estero. “Dopo 26 anni di lavoro ho accettato la mobilità da un’azienda che ormai mi considerava vecchia”. Scrive Maria Luisa: “Non siamo solo numeri di matricola o braccia che lavorano, dietro ognuna di noi c'è una moglie, una mamma, una nonna”.Non solo donne: “Non lavoro più alla Coop, ho accettato la mobilità”, scrive Antonio. “Ci entrai da ragazzo pieno di sogni e aspettative, mi sono ritrovato dopo 13 anni senza aver realizzato nulla”. Tuttavia la dimensione di questo mondo rimane principalmente femminile: “L’80% sono donne nel commercio. E la cassiera è una figura che fa parte dell’immaginario collettivo”, spiega il sindacalista.

Ma cosa rende duro questo lavoro, qual è il problema? Le paghe basse, gli orari, il mobbing? “Il commercio è il laboratorio dello sfruttamento, con lavoratori che guadagnano 600-700 euro al mese, che non riposano mai, che stanno sempre a contatto col cliente”, spiega Iacovone. Una questione complessa, quindi. Su cui, però, il contratto pesa: “Il contratto commerciale è il peggiore di tutti, con l’ultimo rinnovo hanno tolto i primi 3 giorni di malattia”, spiega Iacovone. “C’è gente che va al lavoro con la febbre per non vedersi decurtare il salario”.Gli orari dei turni, anche, influiscono sulla qualità della vita: “Sono part-time, ma i turni della settimana vengono comunicati il venerdì precedente”, e organizzarsi diventa impossibile. “Finisce che il lavoro diventa la parte della vita da cui parte tutto il resto. Dovrebbe essere il contrario, no?”, si chiede Iacovone.

Sugli orari si aggiunge la difficoltà ad ottenere dei riposi: “Mi ha scritto una commessa che non riusciva ad avere un riposo da tre settimane”, racconta il sindacalista. Ma è la cassa ad essere la mansione più dura. “Sarebbe quello che una volta potevano essere i reparti punitivi in Fiat”, spiega Iacovone. Perché? “Rimani 4, 5, 8 ore inchiodata con centinaia di clienti incazzati. In una posizione che sotto l’occhio vigile del capo. E se sbagli coi soldi, e prima poi succede, arrivano i provvedimenti disciplinari. Una situazione paranoica, che vivi sola con te stessa”.

La frase più ricorrente, in questi casi é: “In cassa ti ci faccio morire”. Una condizione che potrebbe essere quella di una fabbrica dura. Con una differenza: al supermercato non c’è una catena di montaggio dove fare comunità e solidarizzare, il lavoro è parcellizzato. E si finisce soli: “Come nel tubo di una tac”, commenta Iacovone.

E allora la pagina facebook. E la solidarietà arriva anche dai clienti. Qualche giorno fa, durante uno sciopero in un supermercato a rischio cessione – scrivono sulla pagina – si sono avvicinate al presidio tre donne e hanno chiesto: "Cosa possiamo fare per aiutarvi?” Una delle tre ha aggiunto: "Abbiamo appreso la cosa su facebook e non mi vergogno a dire che ho pianto".

“In tv si vedono spesso i casi umani”, commenta Iacovone, “Ma è sbagliato perché il problema è sistemico. Mi spieghi come fai a fare un lavoro del genere fino a 60 anni?”, conclude. E a leggere i commenti sul gruppo facebook sono tante le persone che dopo 10, 20 anni abbandonano la professione, in cambio di magre liquidazioni.Per giunta le recenti liberalizzazioni del governo Monti, sul lavoro domenicale, hanno finito per esasperare una condizione già difficile. Per Iacovone si dovrebbe tornare indietro.

Foto: Flickr Emiliano (cc creative commons license)

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Michele Azzu è un giornalista freelance che si occupa principalmente di lavoro, società e cultura. Scrive per L'Espresso e Fanpage.it. Ha collaborato per il Guardian. Nel 2010 ha fondato, assieme a Marco Nurra, il sito L'isola dei cassintegrati di cui è direttore. Nel 2011 ha vinto il premio di Google "Eretici Digitali" al Festival Internazionale del Giornalismo, nel 2012 il "Premio dello Zuccherificio" per il giornalismo d'inchiesta. Ha pubblicato Asinara Revolution (Bompiani, 2011), scritto insieme a Marco Nurra.
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