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Juan Sebastian Veron, l’uomo che immaginava calcio e ha litigato con Maradona per le sue scelte

Juan Sebastián Verón è stato un calciatore celestiale e terribile, dipendeva dai giorni e dalla voglia. La sua classe ha illuminato il gioco di Sampdoria, Parma, Lazio e Inter, se restiamo solo alle squadre italiane in cui ha giocato, e la sua tigna non si è tirata indietro nemmeno di fronte agli attacchi di Maradona.
A cura di Jvan Sica
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Perché Maradona e Juan Sebastián Verón avevano litigato? È una storia intricata che inizia nel 2010 quando Maradona dice che vuole portare Verón ai Mondiali in Sudafrica per fargli fare il suo Xavi. Era il periodo dorato del Barcellona di Guardiola e tutti guardavano a quel riferimento. Maradona effettivamente lo convoca, a dispetto dei giornalisti argentini che lo bollano come bolso.

Ai Mondiali però Verón gioca poco e in mezzo si mette il papà di Juan Sebastián, il centrocampista del grande Estudiantes che ha anche assaggiato Maradona sul campo a fine carriera, Juan Ramón Verón, la Bruja originale, il quale afferma che Diego è quantomeno contraddittorio e non si capisce perché ha voluto ardentemente il figlio per poi non lo farlo giocare.

Passano gli anni e nel 2016, nel momento in cui la Federazione argentina di calcio si ristruttura, a Verón viene dato il compito di scegliere gli uomini migliori. Tra questi non viene selezionato Maradona che sbotta e dichiara guerra ai Verón. A insozzare tutto poi anche la scazzottata sfiorata alla fine del primo tempo della Partita della Pace dell’ottobre 2016. Un momento che sfiora il comico soprattutto per il contesto in cui avviene.

Tutto questo per dire che se Maradona pensa di sé che è dio, e alcuni hanno sostenuto apertamente questa tesi, Verón non vuole fare il chirichetto di nessuno e in tutta la sua carriera la classe e questa particolare tigna sono uscite fuori a folate incontrollabili, definendo un calciatore speciale.

Essendo folate sono sempre state dominate dall’incostanza, tanto è vero che di lui stesso, Verón diceva:

“Io lo so dal primo tocco se quel giorno il pallone in campo mi è amico o no. Se lo è, so che posso fare qualunque cosa, rischiare qualunque tipo di giocata. In caso contrario posso anche chiedere il cambio dopo dieci minuti”.

Ed era proprio così. Se in palla Verón prendeva letteralmente in mano la partita, la portava con sé dietro a quelle sue illuminazioni di 50 metri che hanno meravigliato i tifosi di Sampdoria, Parma, Lazio e Inter, se vogliamo fermarci solo alle squadre italiane. Se invece Verón trovava un campo e un pallone non amici, allora non solo scompariva solo dal gioco, ma sembrava un vecchio signore che doveva rincorrere adolescenti scatenati.

Della classe senza pari della Brujta, ha detto anche Duván Zapata, che dal 2011 al 2013 ha giocato con Verón all’Estudiantes.

“Ho avuto la fortuna di giocare con Verón. Lui per i tifosi era dio, per noi ragazzi un esempio: sapeva sempre in anticipo cosa fare e lo faceva con un solo tocco”.

Questa capacità predittiva è davvero la sua caratteristica più evidente, che ancora oggi lo rende unico. Non era un acceleratore di gioco, come poteva essere Xavi citato in precedenza, era un inventore di gioco, immaginando traiettorie che non era ancora visibili a nessun occhio allenato al calcio. Lui non era bravo nel pensare prima degli altri, era bravo nel pensare quello che gli altri non pensavano affatto. In psicologia si chiama pensiero laterale o divergente e Verón ne è ancora oggi un esponente eccellente.

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Altro elemento che lo ha reso diverso era il fatto che non ha mai vinto quando doveva, ma lo ha fatto quando nessuno pensava ci riuscisse. Con la Lazio nel 2000 ha vinto un campionato in rimonta selvaggia sulla Juve, la Premier League del 2002-2003 doveva essere vinta dalle nuove grandi squadre del decennio, Arsenal e Chelsea, e invece riesce a conquistarla con un Manchester United decadente prima dell’arrivo rigeneratore di Cristiano Ronaldo, così come la Libertadores 2009 con l’Estudiantes doveva essere un affare fra le squadre brasiliane e il Boca di Palermo e Palacio e invece riesce a vincerla da padrone del centrocampo.

Quando invece con la sua squadra poteva o addirittura doveva vincere non c’è riuscito. Basti pensare al Parma di fine anni ’90, che non è mai riuscito a vincere uno scudetto, oppure alle tante versioni dell’Argentina in cui ha giocato, non riuscendo a vincere nemmeno l’Olimpiade di Atlanta ’96, dopo che la Nigeria aveva fatto fuori il Brasile di Ronaldo e Roberto Carlos.

Se uno scrittore del Settecento avesse visto giocare Juan Sebastián Verón e avrebbe voluto scrivere un libro su di lui, lo avrebbe titolato: “Verón o dell’inatteso”, perché tutto quello che una logica normale potrebbe far derivare da un processo, con l’argentino non sarebbe mai avvenuto. Anche tornando all’affaire Maradona, non smentisce questo dato di fatto.

Poco prima che Maradona morisse, ha sotterrato l’ascia di guerra… anche se:

“Il tempo cura tutte le ferite. Non sono arrabbiato con Maradona e, al massimo, gli ho contestato qualcosa”.

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