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I tre errori che Maurizio Sarri continua a fare (anche alla Juventus)

Pochi calciatori “fidati”, nessuna ingerenza sul mercato, gestione dei campioni le tre pecche che inficiano il lavoro di Sarri. A Empoli, a Napoli, a Londra (come oggi alla Juve) un’altra traccia costante del tecnico toscano sono tre problemi che continua a trascinarsi dietro e che non riesce o non vuole risolvere.
A cura di Jvan Sica
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Maurizio Sarri è uno dei migliori allenatori al mondo e fa letteralmente ridere l’idea che sia un "giochista" rispetto ad un altro che sia "risultatista". Fa giocare sempre meglio ogni squadra che tocca: lo ha fatto con l’Empoli, con il Napoli, con il Chelsea e, anche se a prima vista potrebbe non sembrare, lo sta facendo con una Juve che ha dovuto inserire subito calciatori nuovi (Matthijs de Ligt e Rabiot in primis) da inquadrare in un sistema già rodato, altri a cui trovare un ruolo specifico (Ramsey). Posto questo però, come ad Empoli, a Napoli e a Londra un’altra traccia costante di Sarri sono tre problemi che continua a trascinarsi dietro e che non riesce o non vuole risolvere.

Il primo riguarda la scomparsa quasi improvvisa di calciatori che non sa bene come inquadrare nel suo sistema. Uno degli attacchi fatti al Sarri napoletano era una gestione rigorosissima della rosa, della quale giocavano quasi esclusivamente 14-15 calciatori ogni partita e gli altri erano praticamente inesistenti. L’idea di base è che il calcio sarriano sia così complesso da portare a scelte nette, selezionando solo chi vi è completamente all’interno per compiti da svolgere, posizioni da assumere e capacità interpretative delle situazioni. Questa propensione è leggermente scemata a Londra, anche se i vari Drinkwater e Cahill sono stati costretti ad andare via ma è tornata prepotentemente a Torino. Mandzukic è partito, Rugani ha giocato cinque partite in tutte le competizioni, di Emre Can si sa tutto e un calciatore in crescita esponenziale come Bernardeschi sta letteralmente "buttando un anno". È molto corretto scegliere chi sa fare alla massima velocità quello che Sarri chiede, e Sarri chiede cose molto difficili, ma è anche vero che tenersi in spogliatoio gente passata dall’essere decisiva in un ottavo di Champions League a pacco indigesto da buttare può inquinare l’intera atmosfera.

Il secondo elemento è più sottile ed è al limite fra un pregio e un difetto. Tranne che in rari casi di figliocci assolutamente voluti e poi spesso accantonati (vedi Valdifiori a Napoli) sembra che Sarri si imponga molto meno sulle scelte di mercato rispetto ad altri allenatori, come Conte ad esempio. È un allenatore che chiede molto poco e sa utilizzare al meglio quello che gli mettono a disposizione. Ma questo non è sempre un bene. Se guardiamo alla Juve di oggi, ce ne accorgiamo. Deve giocare Cuadrado terzino destro perché Danilo è evidente che non gli piace. Matuidi non può essere la mezzala sinistra dei suoi sogni se a Napoli giocava con Hamsik e a Londra ha imposto Kovacic. SeKhedira non si fosse infortunato, quasi sicuramente sia Rabiot sia Ramsey avrebbero giocato molto poco e poi c’è Dybala, che in estate hanno cercato di vendere e adesso fa la pallina da ping pong fra la mezzapunta, il falso nueve, l’esterno sinistro e la panchina. Volere tre calciatori che vadano a coprire delle posizioni coperte da uomini in rosa ritenuti non idonei per il gioco è un fattore determinante per un allenatore come Sarri. Ad esempio Guardiola in questo non ammette ragioni.

Terza questione è la gestione dei campioni. Oggi essere l’allenatore di uno dei dieci giocatori più forti al mondo è molto difficile. Lo sa persino Guardiola che ha dovuto allenare Messi, sudando le ben proverbiali sette camicie. L’ultima frase su Cristiano Ronaldo detta da Sarri è: "Mi risolve più problemi di quelli che mi procura". Bel complimento, ma i problemi comunque uno come Cristiano Ronaldo li procura. Il sottinteso non troppo velato c’è ed è bello grosso. Ad uno come CR7 non puoi dire "fai il lavoro che Insigne faceva a Napoli". Non vuole farlo e non può farlo, per una questione fisica e direi di "status": rincorrere un terzino destro per poi essere lucido quando arriva la palla in area non sono cose che stanno sempre insieme.

Anche il portoghese ha le sue ragioni, ma in questo modo tutto si scombussola. Matuidi perde i riferimenti e si trova spesso in mezzo a due avversari, Alex Sandro non può stare sempre alto e si trova nella posizione peggiore per lui, ovvero quella del difensore che parte da fermo, in attacco poi Dybala deve cercare di capire dove mettersi, così come Higuain, che per fortuna è di un’intelligenza calcistica fuori dal comune e interpreta sempre al meglio ogni situazione, ma contro la Fiorentina ha mostrato di non gradire il "sacrificio".

Il problema però non è di semplice risoluzione. Anche con Hazard, l’altro campionissimo allenato da Sarri era accaduta una cosa simile. Ad inizio stagione rilasciava a mezzo stampa la sua esaltazione per il Sarriball, alla fine, con qualificazione in Champions League ed Europa League conquistata, la sua faccia quasi affranta diceva tutto. Poche settimane fa ha detto: "Finalmente con Zidane sono libero".

Saper gestire un campionissimo, mediando fra la libertà che vuole per il suo status e gli obblighi tattici è un sottilissimo filo che può spezzarsi in un attimo. Ma se tiene fino alla fine si possono raggiungere grandi traguardi.

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