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Claudio Marchisio bandiera della Juventus: “È tutto ciò che sono, è tutto quel che voglio”

“La Juve è tutto quel che sono. tutto quel che voglio” scriveva Claudio Marchisio. In bianconero ha giocato 389 partite, segnato 37 gol, vinto 7 scudetti. Il calcio, però, non è il suo unico orizzonte. Ha aperto ristoranti e avviato una start-up. E prende posizioni pubbliche forti su immigrazione, lavoro, crisi climatica,
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La Juve, diceva, "è tutto ciò che sono, è tutto quel che voglio”. Qui, dove tutto è cominciato, Claudio Marchisio ha scelto di chiudere una storia e iniziare un nuovo giro di giostra. La Juve come scelta d'appartenenza, una seconda casa da quando ha sette anni. Una squadra che gli somiglia, a cui appartiene da quando ha sette anni. Per 25 ha indossato solo due colori, con una parentesi di una stagione all'Empoli che, dirà, ha rovinato la possibile perfezione di una carriera con una sola maglia. Ma non l'avrebbe vissuta comunque, visto l'addio del 2018 da una società che negli ultimi anni continua a guardare avanti senza guardarsi indietro anche a costo di sacrificare il lato romantico  della sua storia. Era già successo, accadrà ancora quando "vincere è l'unica cosa che conta". Marchisio conquista un campionato russo con lo Zenit San Pietroburgo anche se gli infortuni al ginocchio pesano. L'estate scorsa rescinde il contratto, preludio al passo d'addio.

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Marchisio e la filosofia della Juve

Una filosofia, ha scritto Marchisio nella lettera con cui poco più di un anno fa ha lasciato la Juventus da calciatore dopo 389 partite e 37 gol, in cui "si cela il significato più profondo del nostro modo di vivere. (…) Quando cresci, quando il tuo sogno dietro la collina è quasi realtà, ma non ti monti la testa e lavori duro all’ombra dei tuoi idoli di sempre. E dai il meglio di te ogni giorno, per quella maglia, perché quelle strisce una volta cucite addosso sono orgoglio, gioia e responsabilità". Sono un patto di fiducia, scrive, con i campioni che la condividono, quella maglia, perché ognuno faccia la sua parte. E con i tifosi, un impegno a non deluderli. Alla Juve ha vinto e non poco: un campionato di B, sette scudetti, tre Supercoppe, quattro Coppe Italia. Ha anche giocato due finali di Champions League.

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I ristoranti e la start-up: un futuro già programmato

La sua uscita di scena dal calcio l'aveva già preparata, non è abituato a lasciare che gli eventi lo sorprendano. Ha aperto un ristorante, Legami, specializzato in cucina asiatica, a Vinovo e poi ha esteso il brand anche a San Pietroburgo e Roma. Ha avviato una start-up, Mate Management, per finanziare progetti innovativi in diversi campi. Tante le proposte, raccontava ad aprile al Corriere della Sera. "Avete presente l’immagine del pullman che arriva allo stadio? La foto della vita del calciatore in Italia è quella: c’è la scorta ovunque e neanche te ne accorgi. Vivendo una libertà quotidiana diversa ti rendi conto di quanto sia spessa quella bolla" aggiungeva.

Non ci si ritrova, chiuso dentro questa bolla che nasconde allo sguardo gli orizzonti e i problemi, il respiro del mondo e lo spirito del tempo. "Devo insegnare ai miei figli solo a tirare calci a un pallone?" si chiedeva in un'intervista su La Stampa. La domanda, come spesso succede, contiene anche la risposta.

Ambiente, immigrazione, lavoro: il Marchisio "engagé"

Marchisio si apre, si impegna anche via social. Prende posizioni, altro che "politically correct", si espone su immigrazione, lavoro, crisi climatica. Le conseguenze, dice, di una globalizzazione troppo veloce. E' una nuova forma, più "soft" magari, di calciatore impegnato: espone tutto quel che è, e tutto quel che vuole, non solo con un pallone tra i piedi. "Quando discuto o prendo posizione su temi connessi all’attualità non mi pongo mai il problema di quale possa essere la reazione dell’opinione pubblica. Nella mia quotidianità sono semplicemente Claudio, un ragazzo con una bellissima famiglia e che come tutti ha opinioni sui problemi e sulle sfide del mondo" diceva in un'intervista a Lifegate, che si occupa proprio dei temi che gli stanno a cuore. "Cerco sempre di esprimere il mio punto di vista in maniera decisa ma educata, anche se questo non mi rende esente da critiche. E se la mia esposizione mediatica può aiutare a sensibilizzare alcune persone su temi che ritengo essere importanti, allora non posso che esserne felice (anche a costo di ricevere critiche)".

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In fondo, come ha scritto, l'otto, il numero con cui ha attraversato la storia della Juventus, è un infinito che ha alzato lo sguardo. Lo alza, Marchisio, su un mondo che non sempre gli somiglia. Come Torino, Marchisio ha un'anima complessa. "Torino col suo carattere, la sua sobrietà, la sua serietà, che non si apre e non si dà tanto facilmente, ma che ti accetta quando si convince che impersoni i suoi stessi valori: l’impegno nel lavoro, una forte cultura civica, un senso del dovere che ti compete, per la parte che hai nella vita della città" scriveva Arrigo Levi. Si sono riconosciuti subito, Torino e Marchisio, prima ancora che si riconoscesse nella Juventus.

La storia: il 2008, l'anno della svolta

Dal padre Stefano, appassionato di alpinismo, ha ereditato tenacia e freddezza. Qualità che inizialmente applicava da attaccante: gioca in quel ruolo fino ai sedici anni, cresce col mito di Alessandro Del Piero che a dieci anni vede segnare in finale di Coppa Intercontinentale. E' il periodo dei dubbi, vorrebbe più tempo libero ma sua madre senza forzare lo convince a continuare. E' la sua fortuna insieme all'incontro con Maggiora e Schincaglia, i suoi allenatori che lo arretrano prima come centrocampista centrale, poi davanti alla difesa.

L'otto è il suo numero, il 2008 il suo anno. Si sposa poco prima di partire con la nazionale per le Olimpiadi di Pechino con la cerimonia che inizia alle otto della sera dell'ottavo giorno dell'ottavo mese (8 agosto) dell'anno. Poi gioca la sua prima partita in Serie A alla Juve. Segna il suo primo gol contro la Fiorentina, la stessa avversaria del giorno del suo esordio assoluto in Serie A con l'Empoli nell'agosto 2007. Segna su assist di Del Piero, gioca ancora con il numero 19.

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Marchisio e la Juve, una lunga storia d'amore

"La Juventus è il massimo. È sempre stato il mio sogno […] Si parla di bandiere che non ci sono più, di calcio globale che cambia, di valori che si sarebbero persi. Io ho solo in mente di fare il numero più alto di presenze con questa maglia" diceva nel 2013 a Rivista Studio. Raggiunge le cento contro l'Udinese, all'inizio della stagione 2009-10. Il Times l'ha appena inserito al decimo posto tra i cinquanta giovani migliori del calcio mondiale. Prima di Natale segna un gol capolavoro all'Inter. "Quando l'ho rivisto mi è venuto da ridere" racconta a Paolo Menicucci per il sito dell'Uefa. "Mi è arrivata la palla e Samuel è intervenuto in scivolata. Avevo poco spazio per un tiro, quindi ho provato il dribbling e per fortuna il mio primo tocco è stato perfetto. La palla mi è rimasta vicina, ho fatto giusto in tempo a vedere Julio Cesar in uscita, con un po' di fortuna sono riuscito a superarlo con un pallonetto. Dopo il gol Del Piero mi ha urlato ‘Ma che gol hai fatto?', una bella soddisfazione".

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Attraversa anche i momenti difficili della storia bianconeri, le stagioni anonime tra 2009 e 2011. Proprio alla fine del campionato 2010-11 indossa per la prima volta dal primo minuto la fascia di capitano. A posteriori, un segno di rinascita. La Juve, dopo perdite record, decide l'aumento di capitale e cambia direzione alla sua storia. Marchisio è uno dei protagonisti del primo scudetto di Conte, gioca in diversi ruoli, anche da trequartista o regista basso, la posizione che stabilmente occuperà con Allegri. C'è sempre la Fiorentina, una costante, come avversaria nel giorno della sua partita numero 300 con la Juve: la maglia che ha indossato quel giorno è esposta nella Hall of Fame della Juve.

E' una maglia che racconta la sua essenza, uno stile elegante, sobrio, sabaudo quasi. Marchisio, il ragazzo che andava agli allenamenti in giacca e camicia (il "Piccolo Lord" lo chiamava Balzaretti) in bianconero si trasforma. Per questo gli sono sempre piaciuti i paragoni con Marco Tardelli. Ha gradito meno il soprannome di "Principino", una creazione del giornalista Paolo Ziliani. "Se sul campo sei visto come un principino qualcosa non va, magari sei troppo lezioso" diceva a "Style" del Corriere della Sera nel 2013. "Sono 50 per cento fabbro, 50 per cento principe. A centrocampo si fa anche il lavoro sporco, si mostrano i denti: non sono un raffinato trequartista". Più che un Principino, un piccolo principe che il mondo lo guarda col cuore, non solo con gli occhi.

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