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Noi, la serie Rai remake di This is us

Noi, il remake di This is Us su Rai1, non è per noi

Domenica 6 marzo va in onda Noi su Rai1, l’italiota versione di quel capolavoro che è This is us. Abbiamo visto le prime due puntate in anteprima di questo remake Occhi del cuore style, regia e interpretazioni un filo sopra quelle de Il paradiso delle signore. Andate a manifestare sotto la sede Rai più vicina a casa vostra.
A cura di Grazia Sambruna
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Leggerete indignazione. Le bacheche, i feed delle vostre bolle social strariperanno di post e commenti biliosi, sfottò, "il mio falegname con trenta mila lire lo faceva meglio", qualche pianterello. A scuotere le nostre coscienze provocando tale tsunami di apocalittico scorno, più di Putin ha potuto Rai 1, rea di aver bombardato quel capolavoro che è This is us, con un remake all’italiana Occhi del cuore style.

Titolo: Noi. Dopo Vostro Onore, copiaeincolla della serie a stelle e strisce Your Honor in cui abbiamo potuto assaporare uno Stefano Accorsi nel ruolo del Breaking Bad Bryan Cranston, il Servizio Pubblico rigioca la carta della blasfemia e domenica 6 marzo trasmette in prime time, così, come se fosse perfettamente plausibile, l’esordio di Noi, la cui prima puntata era già a piede libero da un paio di giorni sui RaiPlay. E per questa scelta, foss’anche solo per questa, c’è da dir grazie al Servizio Pubblico che per una volta si dimostra tale: l’episodio in anteprima web ci ha infatti permesso di avvisare nonna dell’esistenza di una piattaforma streaming, Prime Video, molto diversa dal primo canale, su cui poter vedere quella stessa (bella) storia ma con recitazione, regia e interpretazioni un filo sopra quelle de Il paradiso delle signore. La domanda però è: perché nonna vorrebbe vedere qualcosa di diverso da Il paradiso delle signore?

Facciamone una questione di target, suvvia: il pubblico Rai – e stiamo parlando di fior di milioni di telespettatori, non ci permetteremmo mai di sfottere (chi dà) lo sponsor – è placidamente abituato allo stile recitativo incolore e moscetto, a piccoli drammi risolvibili con una bella mangiata in famiglia, a brodini di storielle emotional allungati con due lacrimucce al Vicks, ‘na scarpa e ‘na ciavatta, in una parola alla mediocrità che, a suo modo, rassicura. Perché, dunque, ora dovrebbe volere qualcos’altro? Lo scarto generazionale tra “noi” e chi ci ha concepiti è davanti al nostro muso ogni santo giorno, quando vediamo il buongiornissimo caffè di zio Franco su Facebook o all’ennesimo invio, da parte di mamma, della gif con rose glitter inseparabili dall’augurio di una splendida e serena settimana. Queste persone sono tante, fior di milioni dicevamo, e la tv “dei giovani” non la seguono più almeno dai tempi (d'oro) di Camera Cafè con “quei Luca e Paolo che parlano troppo veloce, non si capisce niente”. Da qui, comprenderete bene, l’avvento di Netflix è e sempre sarà qualcosa di misteriosamente futuristico, altro che Meta di Zuck.

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La Rai non ha interesse a tirare in piedi produzioni – veramente – per “giovani” perché un tredicenne sul primo canale ci capita solo se gli scorre davanti un reel nel feed con un outfit marziano di Orietta Berti che si impiccia a pronunciare il nome di Amedeo, Amedeus, Amadeus Sebastiani. E, sim sala bim, lo stesso discorso vale oramai anche per la maggior parte dei trentenni. Trentenni che da settimane non si danno pace davanti al sicuro scempio fatto della loro serie americana del cuore. Questo quando, ne siamo certi, qualunque attore avrebbe accettato una parte nel progetto, trovandosi poi pure a difenderlo e sostenerlo un po’ perché il mutuo, signora mia, e pure perché it is what it is. E non avrebbe potuto né dovuto essere nulla di diverso. Teniamoci il buono, però: Noi ha spinto Nada a far uscire una nuova, splendida canzone, Mille Stelle. Dritta in playlist Spotify come fu ai tempi di The New Pope quando l’artista volle benedirci con l’altrettanto lunare e memorabile Senza un perché. Non tutto il male, come dice la popolar saggezza, viene per nuocere (anche al buongusto).

Stando in pentagramma, mettersi a guardare Noi è come ritrovarsi ad ascoltare una canzonetta indie che parla di sessioni d’esame, cascate di gin tonic e nottate troppo pazzerelle per poi provare stupore a sentirsi fuori posto: quel testo non sta parlando con noi, tanto quanto Noi, la serie, non ha nessuna pretesa di adescare i fan dell’originale. Anzi, non le interessano proprio nemmeno per idea: la Rai brama intercettare i gusti dei telespettatori a cui ha educato il palato negli ultimi decenni, di più, proprio da che erano bambini. Nulla di meno, niente di più. Benvenuti nel fantastico mondo dell’Auditel, signore e signori, quella curva costellata di piccoli o grandi numeri percentuali che decretano la messa in onda o l’epitaffio di una qualsiasi produzione trasmessa dai canali nazionali. Che l’acqua è bagnata, invece, lo sapevate già, sì?

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Per carità, la recitazione è basic da morire e il copiaeincolla di sceneggiatura scudiscia il cuore perché, davvero, Lino Guanciale, Aurora Ruffino e compagnia famigliare si trovano a replicare le stesse identiche battute della combriccola originale capitanata da Milo Ventimiglia e Mandy Moore. Essendo poi masochisti, abbiamo fatto una piccola prova pigiando play in contemporanea su entrambe le prime puntate, originale e italiana: a parte qualche scarto nel minutaggio e degli sprazzi di adattamento comunque pedestre, i due episodi potrebbero andare in lipsync. Se siete fan di This is us, i brividi vi stanno percorrendo la colonna vertebrale già dall’uscita delle prime immagini di lancio che mostravano un poro Guanciale belli capelli e una Ruffino intenta a guardare da un'altra parte con vitreo occhio da triglia. Il tutto, falcidiato da una color tra il pastello e il rammarico nati per ferire le retine di chi abbia meno di 60 anni compiuti.

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Noi non è un prodotto esecrabile semplicemente perché è buona creanza non sparare sulla croce rossa. Se è vero che, come la serie insegna, non esiste limone così aspro da non poterci fare una limonata, di domenica sera, andate a manifestare sotto la sede Rai più vicina a casa vostra o, semplicemente, uscite, limonate, fate di tutto pur di stare a debita distanza da Rai 1. Lì, ci starà, come è giusto che sia, vostra nonna. Probabilmente, all’apice della commozione. Lasciate perdere. Non state a incasinare i piani temporali: è dimostrato che questa sia operazione da affidare alle sapienti mani di professionisti. Professionisti che, possibilmente, rispondano al nome di Dan Fogelman, papà di This is us.

Da parte nostra, sappiamo dove andare quando sentiamo il bisogno di una bella spremuta di cuore, di quel pianterello rigenerante che se non ti uccide, fortifica. Come ci ha insegnato Disney fin dai tempi delle VHS, ci basterà evitare le imitazioni e pretendere sempre e solo videocassette originali. Tant’è ancora oggi pure per le serie tv.

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Sto scrivendo. Perennemente in attesa che il sollevamento di questioni venga riconosciuto come disciplina olimpica.
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