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Baby Reindeer, la recensione: vedere lo stalking dalla lente dell’empatia e uscirne diversi

Baby Reindeer di Richard Gadd su Netflix è l’occasione perfetta per un’analisi profonda dei labirinti che a volte produce l’animo umano, che non necessariamente hanno una via di uscita. Vedere lo stalking dalla lente dell’empatia e uscirne diversi. Capire quanto odiarsi così tanto possa portare a vedere nell’odio altrui l’unica forma d’amore. Devastante. Assolutamente imperdibile.
A cura di Eleonora D'Amore
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Richard Gadd ha scritto, ideato e interpretato una delle serie più immersive e toccanti uscite su piattaforma. Di quelle che sono sempre più rare trovare in giro. Uscita su Netflix Italia l'11 aprile, Baby Reindeer parte da un bicchiere di tè con ghiaccio poggiato sul bancone di un bar per raccontare l'ossessione di Martha, obesa e dimenticata dal mondo nel suo appartamento pieno di cibo e solitudine. È basato su una storia vera ed è quella del protagonista, ideatore e sceneggiatore della serie, Richard Gadd appunto.

Gadd si identifica come bisessuale. È ambasciatore di We Are Survivors, un ente di beneficenza britannico dedicato ad aiutare gli uomini sopravvissuti ad abusi sessuali perché lui stesso ne è stato vittima. Dal 2015 al 2017, è stato perseguitato da una donna più grande di lui, la Martha Scott finita prima nel suo show e poi nella serie voluta da Netflix.

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Dopo quel tè gentilmente offerto dalla casa, diventerà la stalker di Donny, aspirante comico molto più incline alle lacrime che alla risata. La serie a questo punto poteva galleggiare e proporsi solo la denuncia del fenomeno, offrendo spunti per la tutela e la difesa personale. E invece no. Alza l'asticella indagando l'empatia per il disagio, il dispiacere per la compromissione mentale e la dipendenza irrazionale dalle attenzioni compulsive. Ci si perde nella difficoltà di capire chi, tra stalker e perseguitato, ha davvero bisogno di aiuto. Interviene in aiuto di una maggiore comprensione ciò che nasce come uno sketch comico e poi si traduce in tragico flusso di coscienza, il testo recitato da Gadd per vincere una competizione.

Il discorso di Donny sul palco

La fama ingloba anche il giudizio e io ho temuto il giudizio per tutta la vita. Per questo sognavo la fama, perché quando sei famoso le persone ti vedono così, come uno famoso. Quello che fa quella cosa, quello divertente, e io volevo tanto essere divertente. La mia autostima è così bassa che ho fatto entrare questa stronza pazza nella mia vita. Sapevo che si stava affezionando ma io continuavo a farlo per soddisfare il mio stupido bisogno di attenzioni. Vedete, l’abuso ti porta a questo, mi ha fatto diventare una carta moschicida per tutti gli svitati che esistono, una ferita aperta pronta da annusare. Sapevo che era pazza e pericolosa ma mi lusingava ed era sufficiente. Non so ora come andrà a finire, credo che uno di noi due dovrà morire e io non sono un assassino. Ho incontrato una donna trans, dovreste vederla, è la persona più bella che abbia mai conosciuto e io non riuscivo ad amarla. Adesso che l’ho persa capisco perché ho rovinato tutto agendo in quella maniera. È perché amavo una cosa in questo modo più di quanto amassi lei, odiare me stesso. Ne sono dipendente, non conosco nient’altro, perché dio non voglia che io corra mai un rischio nella vita, dio non voglia che corra il rischio di essere felice. Ed è per questo che ho rovinato tutto con lei, perché odiavo me stesso molto più di quanto amassi lei. E l’amavo davvero tantissimo. Ho passato tutta la vita a scappare via e questa gara era solamente a un altro centinaio di metri in una maratona che non avrei mai finito per tutta la vita. Quindi voglio smettere di scappare perché non mi sento più le gambe, sono stanco.

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Donny arriva a centro palco e invece di condividere la sua valigia dell'attore con il pubblico pensa bene di vuotare il sacco sulle zone erronee della sua vita, crollando davanti a tutti. È un fiume in piena, come quando ti tieni tutto dentro per troppo tempo e poi, all'improvviso, gli irrisolti straripano. Parla e si libera di un carico ormai troppo pesante, lo condivide nella speranza che gridare finalmente al mondo di essersi sentito sempre molto solo possa sollevarlo. Confessa di aver provato empatia per la sua stalker, a tal punto da avvertire un legame che, seppur tossico, gli dava la parvenza di essere un filo e, quindi, meno solo e in balia di se stesso.

Ed è nel rapporto con se stesso che si cela il male più grande. Gadd non si ama, non si è mai amato e, di conseguenza, rifugge qualsiasi forma di amore "sano". Teri, la donna trans che riesce a fare breccia nel suo cuore, è una terapista e questo le consente di indagare nelle crepe dei suoi non detti per mostrargli l'evidenza più terrificante: l'incapacità di concepirsi in un rapporto a due. Sentire un corpo e avvertirne l'odore ma non riuscire a godere del calore che questo comporta, una condanna dei sentimenti che diventa un'amputazione emotiva anche per l'altro.

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"C'è una cosa che amavo in questo mondo più di quanto amassi lei, odiare me stesso. E io l’amavo davvero tantissimo", dice sul palco, mentre le lacrime gli rigano il viso tumefatto dalle percosse di Martha Scott, l'unica persona capace di fargli avvertire meno la sua miseria distillandogli quotidianamente il suo disagio.

Se non si inciampa nel giustizialismo nei confronti della carnefice, che nella vita reale ha un'identità protetta, Baby Rendeer è la valida occasione per un'analisi profonda dei labirinti che a volte produce l'animo umano, che non necessariamente hanno una spiegazione e nemmeno una via di uscita. Odiarsi così tanto da vedere nell'odio altrui l'unica forma d'amore. Devastante. Assolutamente imperdibile.

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Casertana di origine, napoletana di adozione. Laureata in Lingue e Letterature Straniere all'Università L'Orientale di Napoli, lavora a Fanpage.it dal 2010, anno in cui il giornale è nato. Caposervizio dell'area spettacolo.
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