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Opinioni

Questo Partito Democratico è il migliore alleato di Matteo Salvini

La discussione al Senato sul decreto legge sicurezza e immigrazione è la testimonianza più evidente di come il Partito Democratico sia al momento il miglior alleato di Matteo Salvini: incapace di prendere una posizione netta e chiara, senza riferimenti ideologici e senza una strategia di ampio respiro. Resta solo qualche sceneggiata a uso e consumo dei media e la speranza di sopravvivere alla “tempesta populista”.
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Oggi il Senato della Repubblica ha dato il via libera al decreto sicurezza e immigrazione, che porta la firma del ministro dell’Interno Matteo Salvini. Si tratta di uno dei pilastri della nuova (?) strategia in materia di gestione dei flussi migratori e accoglienza su cui il leader leghista ha costruito una parte rilevante del suo consenso personale prima ed elettorale poi. Un decreto pericoloso, dannoso e anche scritto male, secondo un giudizio condiviso da Comuni, associazioni ed esperti in materia di immigrazione. Un decreto che rappresenta una picconata ulteriore al sistema dell’accoglienza, col combinato disposto fra depotenziamento del sistema SPRAR, eliminazione dei minimi percorsi integrativi attualmente previsti nei centri di accoglienza, aumento del potere decisionale dei prefetti, stretta sulla concessione dei permessi umanitari e taglio delle risorse. Ma soprattutto, un decreto su cui permangono forti dubbi di costituzionalità e che rischia davvero di produrre quella “bomba sociale” su cui ha scommesso Salvini per blindare il proprio consenso.

Quasi contemporaneamente, il ministro dell'Interno ha tenuto una conferenza stampa al Viminale in cui ha presentato il risultato del lavoro del tavolo di coordinamento per il nuovo sistema di accoglienza dei richiedenti asilo. La proposta si concretizzerà con delle linee guida alle prefetture per la formulazione dei nuovi bandi, mentre quelli già assegnati non subiranno modifiche, oltre che con la divulgazione di un "tomo" contenente le nuove direttive dell'intero sistema dell'accoglienza. Nella stesura, i solerti funzionari del ministero hanno seguito alla lettera la direttiva politica del nuovo governo, mettendo nero su bianco, ad esempio, che “gli interventi di accoglienza integrata volti al supporto di percorsi di inclusione sociale, funzionali al conseguimento di una effettiva autonomia personale, dovranno continuare ad essere prestati nelle sole strutture di secondo livello a favore dei migranti beneficiari di una forma di protezione, mentre i servizi di prima accoglienza vanno invece rivisitati anche in un’ottica di razionalizzazione e contenimento della spesa pubblica”. Tutto ciò si traduce in una ristrutturazione complessiva che riguarda anche il versante dei costi, con risparmi potenziali su cui Salvini ha da tempo calibrato la propria comunicazione, anche istituzionale. Nel dettaglio, il sistema SPRAR verrà riservato esclusivamente ai minori non accompagnati e ai titolari di protezione; i famosi 35 euro al giorno, stanziati per ogni ospite dei centri di accoglienza gestiti dalle prefetture, diventeranno 19 per i grandi centri e 26 per i piccoli centri. Il taglio, non potendo riguardare i servizi di vitto e le forniture di beni di primissima necessità, azzererà dunque i percorsi di inserimento lavorativo, i corsi di lingua e le altre attività volte al supporto di percorsi di inclusione sociale, funzionali al conseguimento di una effettiva autonomia personale (che appunto resteranno solo per i titolari di protezione).

Complessivamente, oggi è stata una delle pagine più buie degli ultimi anni, sul versante della costruzione di una società più inclusiva e di un sistema di accoglienza più umano e funzionale. E anche da un punto di vista "operativo" si tratta di una pagina nerissima, come ha spiegato il prefetto Mario Morcone a Redattore Sociale: “L’abolizione della protezione umanitaria creerà migliaia di irregolari che non potranno essere rimpatriati, se non in modo molto limitato. Lo smantellamento dello Sprar determinerà nuove forme di marginalità, derive di esclusione sociale che inevitabilmente renderanno più fragili le persone che arriveranno in Italia enfatizzando il rischio di conflitti e rendendoli permeabili a percorsi di radicalizzazione”.

Politicamente, invece, questa è la giornata in cui il salvinismo si mostra in tutta la sua crudezza e si impone in maniera pressoché univoca. Di fronte a un attacco di questa portata, che indica anche una prospettiva futura piuttosto chiara, cosa dovrebbe fare un partito di sinistra che ritiene di “aver imparato la lezione del 4 marzo”, che esalta la vittoria di Ocasio – Cortez & company alle Midterm statunitensi, che si avvia a un Congresso che dovrebbe segnare una forte discontinuità con il passato?

Ecco, i senatori del PD hanno fatto questa cosa qui:

Riuscendo in un colpo solo a legittimare la narrazione salviniana secondo cui i migranti sono una questione di ordine pubblico, a rafforzare il legame comunicativo fra gestione dei flussi migratori e sicurezza, a mortificare la dignità delle persone, utilizzando il termine "clandestini". Del resto, solo qualche ora prima, in sede di dichiarazione di voto, il senatore Parrini aveva espresso praticamente le stesse perplessità di Fratelli d'Italia e si era quasi rammaricato delle poche espulsioni fatte dal governo in questi mesi: “Ci saremmo aspettati che di fronte ad una realtà come questa e anche dopo un'ammissione come questa, in questo provvedimento e in generale nell'azione del Governo si facesse qualcosa di serio per accelerare e intensificare i rimpatri”.

La verità è che, di fronte al più grande attacco al sistema dell'accoglienza, di fronte a provvedimenti che fanno carta straccia dell'articolo 10 della Costituzione, di fronte all'utilizzo strumentale del tema dell'immigrazione e alle enormi contraddizioni in seno alla maggioranza di governo, il Partito Democratico ha scelto di rincorrere Salvini sul suo terreno, contestando non il decreto nei suoi presupposti ideali e nella sua matrice culturale, ma nella sua insufficienza e inapplicabilità. Invece di ricordare al ministro dell'Interno che nessuno è clandestino e che la posizione "irregolare" dei migranti è il risultato della indecente Bossi – Fini, il PD continua a legittimare il tossico discorso sulla "clandestinità" e sull'essere in Italia "senza averne diritto". Invece di sottolineare come i percorsi di integrazione, formazione e istruzione che questo decreto va a tagliare rappresentino una fondamentale opportunità soprattutto per i richiedenti asilo o protezione, il PD contribuisce a rafforzare il racconto dei migranti come problema di carattere sociale.

Certo, non ha aiutato la parentesi Minniti al Viminale (e ne abbiamo parlato tanto), quando si sono gettati i semi dei frutti che ora Salvini sta raccogliendo (la criminalizzazione delle ONG, gli accordi con la Libia, l'equiparazione criminalità – gestione dei centri di accoglienza). Ma ciò non può costituire un alibi in eterno. C'è un grosso problema di classe dirigente, è evidente, ma soprattutto c'è l'assenza di una linea politica di ampio respiro, che sia in grado di garantire minime coordinate ideologiche, cui aggrapparsi in momenti del genere. Non servirebbe neanche eccedere in profondità e complessità. Servirebbe quel tanto che basta per rendersi conto che è una vera sciocchezza presentarsi con cartelli con scritto "più clandestini" o ridacchiare pensando che "Salvini non ce la farà mai" a espellere 500mila persone, a bloccare gli sbarchi o a chiudere tutti gli SPRAR.

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A Fanpage.it fin dagli inizi, sono condirettore e caporedattore dell'area politica. Attualmente nella redazione napoletana del giornale. Racconto storie, discuto di cose noiose e scrivo di politica e comunicazione. Senza pregiudizi.
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