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No, Salvini che citofona a casa della gente non è solo una bravata da campagna elettorale

Citofonare a una famiglia (rigorosamente tunisina), chiedere di salire in casa, accusare di traffico di droga perché così riferito da una vicina (rigorosamente italiana), fare nomi e cognomi in diretta Facebook e mostrare alle telecamere dove vivono i “presunti spacciatori”, non può essere giudicata come l’ultima bravata goliardica di Matteo Salvini in campagna elettorale. È qualcosa di molto più pericoloso: vediamo perché.
A cura di Annalisa Girardi
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Quanto accaduto martedì sera a Bologna non può essere giudicato semplicemente come l'ultima trovata propagandistica di Matteo Salvini in campagna elettorale. Perché è molto più di questo. Citofonare a una famiglia (rigorosamente tunisina), chiedere di salire in casa, accusare di traffico di droga perché così riferito da una vicina (rigorosamente italiana), fare nomi e cognomi in diretta Facebook e mostrare alle telecamere dove vivono i "presunti spacciatori" è decisamente più pericoloso, oltre che anticostituzionale, di un gesto improvvisato per raccattare gli ultimi voti a pochi giorni dalle regionali in Emilia Romagna.

Nel blitz improvvisato nella periferia del Pilastro, l'ex ministro dell'Interno ha dimenticato la natura garantista del nostro ordinamento costituzionale, l'esistenza di una legge sulla privacy e il principio dell'inviolabilità del domicilio.

Perché Salvini non può citofonare a casa della gente e chiedere se spaccia

"C’è una denuncia che ha fatto la signora ed è nostra intenzione seguirla. Ho citofonato a un signore che è stato segnalato come presunto spacciatore per chiedergli se spaccia o se non spaccia, ma mi ha detto che in casa non c’era nessuno. A che titolo l’ho fatto? In qualità di cittadino", ha affermato Salvini per legittimare il suo gesto. Ma un privato cittadino non ha alcun diritto, sulla base di semplici dichiarazioni di un altro privato, di portare avanti un'ispezione accusando di spaccio di droga e rendendo pubblici dati sensibili, tra l'altro anche di un minore. Sono le forze dell'ordine che in caso, con permessi e mandati alla mano, hanno la facoltà di verificare la situazione.

Senza uno straccio di prova e forte solo della parola di una signora italiana contro una famiglia tunisina, Salvini ha deciso di erigersi a sceriffo del quartiere, il tutto in diretta Facebook, pretendendo di entrare nella casa dei "presunti spacciatori". Ma l'articolo 14 della Costituzione stabilisce che "il domicilio è inviolabile" e "non vi si possono eseguire ispezioni o perquisizioni o sequestri, se non nei casi e modi stabiliti dalla legge secondo le garanzie prescritte per la tutela della libertà personale". È vero, il leader della Lega di fatto ha solo citofonato. Ma dalle sue parole è esplicita la volontà di entrare nell'abitazione della famiglia, e tanto basta se consideriamo che si sta parlando di un ex ministro della Repubblica.

Ma non solo: il rispetto per la privacy sembra essere un optional: sia Salvini che la signora che lo guida per il quartiere ripetono più volte nomi e cognomi dei residenti nella palazzina, indicando a che piano abitano e la loro età. Tenendo conto che il ragazzo accusato dalla vicina di spaccio sia un minorenne, si capisce subito la gravità del gesto. Il 17enne è stato poi raggiunto dai microfoni di Fanpage.it, commentando: "Vado a scuola, sono minorenne e sono un ragazzo normalissimo: mio padre lavora e non mi manca niente. Io non le faccio quelle cose lì, non spaccio". Il ragazzo ha anche annunciato che denuncerà la signora per diffamazione.

Quanto accaduto martedì sera ha preso pericolosamente la forma di un processo in diretta Facebook, in cui si sono calpestate una o due leggi del nostro ordinamento giuridico. Ma come siamo arrivati a questo punto?

Disinformazione e sciacallaggio a braccetto

Le immagini che abbiamo visto su tutti i giornali martedì sera hanno evocato deja-vu di ronde e rastrellamenti fascisti. Per comprendere perché (e come) si sia arrivati ad assistere a scene di questo tipo è necessario astrarsi, rivedere la nostra percezione verso il contesto in cui viviamo, e analizzarla. Perché questa è in grado di influire sulla realtà, stabilendo cosa sia accettabile e cosa possa entrare, di punto in bianco, a far parte della normalità. È fondamentale, in questo senso, comprendere come sia cambiata negli anni la nostra percezione della sicurezza nel Paese, e come questa sia stata condizionata, persuasa, e infine sfruttata dalla politica.

Non è possibile discutere di sicurezza senza parlare di immigrazione, un collegamento del tutto illegittimo, ma che ha fatto la fortuna di una tendenza politica sovranista che si è imposta sempre più nel pensare comune degli ultimi anni. Le nostre percezioni sulla sicurezza, e di conseguenza anche sull'insicurezza, hanno un enorme impatto nel disegnare il profilo della nostra società. Anche se spesso le prime non rispecchiano in toto l'ultima: non sempre la percezione dell'opinione pubblica corrisponde alla realtà effettiva, ma ha comunque il potere di modificarla.

Sebbene l'immigrazione nel nostro Paese non sia affatto responsabile di un aumento della criminalità, negli ultimi anni gli italiani hanno comunque deciso di votare per partiti che hanno fatto di questo fenomeno il problema principale dello Stivale, giocando su sentimenti tanto infondati quanto comprensibili e spiegabili. È la storia che si ripete. Il problema economico, le frustrazioni personali e sociali per un sistema-Paese che non è in grado di rispondere alle sfide contemporanee, l'alienazione verso una società liquida, la paura di un mutamento dello status quo a cui si è abituati: sono tutti sentimenti che devono sfociare verso un oggetto (o meglio, un soggetto) esterno.

Sono fenomeni umani, difficili da evitare, ma a cui dovrebbe corrispondere un senso di responsabilità politica. Che invece troppo spesso decide di strumentalizzarli. Si crea un problema, anche se questo non esiste; si promette una soluzione; e infine si dà il via a una campagna elettorale costante facendo leva sulle paure create. L'inquietudine e l'istinto di conservazione sono sentimenti forti che facilmente possono prendere il sopravvento rispetto alla ragione e alla logica dei dati.

I numeri infatti non corrispondono alle percezioni. Da un rapporto di Ipsos chiamato "Ciak Migr-Action" restituisce l'immagine di un Paese convinto che ci sia un'invasione in corso quando i numeri, appunto, affermano il contrario. La percentuale di immigranti in Italia è del 9%, ma la percezione che hanno i cittadini è che questa sia del 31%, oltre tre volte in più rispetto alla realtà. Ma come è possibile questo? Perché è in moto una campagna mediatica che ha distorto la percezione dei cittadini sul fenomeno migratorio strumentalizzandola a fini politici. Nella relazione su intolleranza, xenofobia, razzismo e i fenomeni d'odio del 2017, la Commissione parlamentare Jo Cox ha evidenziato come l'Italia sia il Paese europeo con il più alto tasso di disinformazione sull'immigrazione.

Salvini al citofono non è una semplice bravata

La vera emergenza che c'è in Italia, quindi, non ha tanto a vedere con una presunta (ma inesistente) invasione, quanto con questa percezione distorta che viene presentata agli elettori. La retorica sovranista si imbeve di questo paradigma, e ciò non accade solo in Italia: nelle ultime elezioni ungheresi, in cui ha trionfato nuovamente Viktor Orbán, per le strade di Budapest c'erano più manifesti elettorali contro gli immigrati che migranti stessi.

In Italia si continua a parlare dell'emergenza migratoria, legandola a un problema di sicurezza, anche se non è mai stata provata una corrispondenza tra l'aumento degli immigrati con quello dei reati. Ma questo non ha importanza, in quanto discorsi di questo tipo hanno comunque portato un partito a diventare in pochissimo tempo la prima forza politica nel Paese. Forte del consenso alla Lega, Salvini diventa giustiziere della periferia bolognese, assumendosi un compito che non gli spetta. La vicenda di martedì sera, come abbiamo visto, nasconde problematiche politiche (in quanto rappresenta un modo di fare propaganda totalmente discutibile), giuridiche (perché calpesta il diritto alla privacy e l'inviolabilità del domicilio) e sociali (sfruttando e alimentando una percezione distorta della realtà).

Il potere di giudicare se sia stato commesso o meno un reato spetta alla magistratura, non all'uomo forte nel Parlamento. C'è una Costituzione che stabilisce cosa sia lecito e che cosa, invece, non lo sia. E non si tratta di parametri discrezionali, che possono essere calpestati in nome dei consensi. Per questo, quanto accaduto martedì, non può e non deve essere giudicato come una semplice bravata da campagna elettorale: è una questione molto più seria.

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