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Opinioni

Il bombardamento al teatro di Mariupol è l’orrore a cui non dobbiamo abituarci

Ci stiamo abituando alla guerra alle porte dell’Europa come già ci siamo abituati alla Siria o allo Yemen. Io per primo, tutto sommato, respiro meglio.
A cura di Saverio Tommasi
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Il teatro bombardato di Mariupol
Il teatro bombardato di Mariupol

Tengo il telefono sul comodino, come non si dovrebbe fare, e le ultime notizie che leggo la sera quando sono già a letto sono le agenzie di stampa internazionali sulla guerra.
La mattina mi sveglio presto, e guardo le prime pagine dei giornali quando sono ancora disteso, neanche mi siedo, allungo il braccio verso il comodino con gli occhi chiusi, ormai conosco come è fatto, i libri sopra e la forma del mio cellulare.

Stanno diventando una routine, le notizie che leggo. E' accaduto che i primi giorni di guerra, alla notizia dei bombardamenti notturni letti la mattina a occhi socchiusi, pensassi "oh mio Dio". Oggi, con il telefonino in mano alle 7 di mattina, spero solo che nella notte non abbiano bombardato una scuola, un ospedale o magari un teatro usato come rifugio da centinaia di civili.
Credo di starmi abituando all'idea che la guerra ci sia, è sufficiente che non faccia troppo male.
Credo di starmi abituando all'idea della guerra a qualche ora di auto da qui, e non credo possa esserci niente di peggiore.

Se bombardano un ospedale però muoiono tutto sommato poche persone, in fondo è andata bene, no?
Ma può davvero essere andata bene, soltanto perché sarebbe potuta andare peggio? Cos'è che ce lo fa credere?
La risposta è facile: l'abitudine.

L'idea di Putin con il dito indice sul bottone di espulsione di qualche ordigno nucleare sta diventando quasi ovvia, siamo in guerra, no? Però se non ha sganciato una bomba fino a ora, perché dovrebbe farlo proprio oggi? La verità è che mi sto abituando, lo sentite anche voi, fa male però meno male dei primi giorni, ed è perché ci stiamo facendo l'abitudine.

C'è chi fra i miei amici aveva perso il sonno e lo sta ritrovando, anche se la situazione generale sta peggiorando.

Prima e dopo un bombardamento, Ucraina
Prima e dopo un bombardamento, Ucraina

Oggi non sono meno gravi gli attacchi, meno dolorosi i morti, però è un po' come il Covid: se scendiamo sotto quota 100 morti al giorno è un buon risultato, no?
Se muoiono solo persone con patologie pregresse, o i soldati si ammazzano fra loro, in fondo è un risultato per cui festeggiare, vero? La risposta è semplice: no.
Il 90% delle persone che vengono uccise in guerra sono civili, e i presidenti non vanno mai in guerra. E le persone "con altre patologie" sono soprattutto persone.
Però ci stiamo abituando lo stesso, anche se condividiamo (è il minimo) queste riflessioni.

I profughi siriani raccontano che i bombardamenti, le sirene, erano diventate per loro un'abitudine. Un suono fastidioso, ma non bloccante. Quello a cui non si erano mai abituati era il fatto di non avere cibo sufficiente per sfamare i figli, perché anche alle abitudini c'è un limite, o forse no.
Chi non ha mai mangiato a sufficienza si abitua alla privazione, fino a sembrargli quasi normale rovistare nella spazzatura.

Nei campi di sterminio era diventato normale sopravvivere con la morte accanto, avere la vita legata all'umore e alla casualità di qualche nazista.
Non smettevano di soffrire, ma si alzava la soglia dell'abitudine. E' un modo tutto umano per sopravvivere alle privazioni, alle ingiustizie, alle persecuzioni grandi e piccole, o anche a un mal di denti: iniziare a pensare che sia "normale".

E allora cos'è – in sintesi – questo groppo in gola, che non va né in su né in giù, ma che da palla è diventato semplicemente un ovetto? E' l'abitudine, e per noi che abbiamo il tempo di riflettere, che non abbiamo le bombe sopra la testa, deve essere una compagna da scacciare. Per noi che viviamo qui l'abitudine non è un'autodifesa, sarebbe menefreghismo. Lo scrivo per ricordarlo a me stesso, più che per spiegarlo a voi.
Non possiamo abituarci all'Afghanistan, alla Siria, allo Yemen, all'Ucraina. Non possiamo pensare che le guerre siano un effetto collaterale della razza umana, o addirittura un progresso, o come dicono taluni "pulizia del mondo".

Non possiamo abituarci all'inumano, dobbiamo restare umani.

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Sono giornalista e video reporter. Realizzo reportage e documentari in forma breve, in Italia e all'estero. Scrivo libri, quando capita. Il più recente è "Siate ribelli. Praticate gentilezza". Ho sposato Fanpage.it, ed è un matrimonio felice. Racconto storie di umanità varia, mi piace incrociare le fragilità umane, senza pietismo e ribaltando il tavolo degli stereotipi. Per farlo uso le parole e le immagini. Mi nutro di video e respiro. Tutti i miei video li trovate sul canale Youmedia personale.
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