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News sul salario minimo in Italia

Fisco, Grimaldi (SI): “Il governo scappa dal salario minimo e dimentica di tassare le grandi aziende”

Dopo l’approvazione della delega fiscale del governo Meloni Marco Grimaldi, deputato di Alleanza Verdi-Sinistra, ha spiegato a Fanpage.it cosa manca in questa riforma: “Di extraprofitti e grandi aziende non si parla nemmeno nel dibattito in Parlamento, il governo mette gli ultimi contro i penultimi e così i primi stanno tranquilli”.
A cura di Luca Pons
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Dopo un lungo dibattito in Parlamento, passato prima dalla Camera, poi dal Senato e poi un'ultima volta dalla Camera, è stata approvata la legge delega per la riforma del fisco. Il governo Meloni avrà due anni per mettere in atto le riforme previste, dall'Irpef all'evasione fiscale. Marco Grimaldi, vicecapogruppo dell'Alleanza Verdi-Sinistra e membro della commissione Bilancio, ha commentato a Fanpage.it la linea del governo sulle tasse, mettendo in evidenza che di alcuni aspetti – come gli extraprofitti e gli introiti degli amministratori delegati delle grandi aziende – non si è neanche riusciti a parlare, tantomeno a fare proposte.

Onorevole Grimaldi, per prima cosa le chiedo un commento sull'incidente di ieri: il governo ha approvato un vostro odg che proponeva di introdurre una patrimoniale, poi ha subito fatto marcia indietro.

La proposta di ieri in realtà l'abbiamo introdotta già due anni fa: la Next generation tax, un contributo dai più ricchi per i più giovani. Il governo l'ha approvata, probabilmente perché sono tutti studenti di Sangiuliano, sono andati a leggere le ultime righe e si sono persi il contenuto. Cioè una tassa che supera l'Imu e le imposte di bollo, perché serve in Italia un'imposta patrimoniale, personale, unica e progressiva, su tutti i beni. Il massimo sarebbe del 2%, sui patrimoni sopra i 50 milioni di euro.

Perché serve una patrimoniale?

Non è possibile che non si riesca a intaccare quella ricchezza, che rappresenta una delle più grandi forme di disuguaglianza del nostro Paese. Neanche al momento della successione, come si è visto con Silvio Berlusconi: chi ha ereditato quei 30 milioni di euro per amore pagherà pochissime tasse.

Vi aspettavate che nel giro di un paio d'ore arrivasse il passo indietro del governo?

Ma sì, il voltafaccia era più che prevedibile. Più volte il governo non ha letto gli ordini del giorno, è capitato da poco con la Santanchè. Quindi non ci ha stupito, è una questione di sciatteria politica. Il punto è che questo governo non ci stupisce mai nemmeno per tutto il resto. Oggi abbiamo avuto una mattinata di dibattito in cui non si trovano punti di contatto nemmeno su cose che dovrebbero essere condivise.

Ad esempio?

Ne dico una: il gioco d'azzardo. La comunicazione online è sempre più aggressiva e pervasiva, e si sta spostando sui social, usa persino degli influencer. Eppure non si è trovata l'intesa neanche sulla nostra proposta di vietare la pubblicità ai giochi d'azzardo, soprattutto sui social network. D'altra parte, è una lobby che preme. Ma questo è solo uno dei tanti esempi.

Passiamo alla delega fiscale, allora. Uno dei punti più discussi è la riforma dell'Irpef: il governo porterà le aliquote da quattro a tre, con l'obiettivo della flat tax.

L'evasione fiscale in Italia di fatto supera i 100 miliardi di euro all'anno, l'Irpef la pagano per l'81% dipendenti e pensionati, mentre i grandi patrimoni restano quasi del tutto esenti, come detto. Si continua a dare il messaggio che chi paga le tasse passa per fesso. In tutto questo, i ‘tassapiattisti' continuano a essere ossessionati dalla flat tax per aiutare i redditi alti. Peraltro, un'ossessione già realizzata in parte: sui grandi profitti in Italia, più si va su e meno la tassazione è progressiva.

Chi la sostiene dice che allargando la flat tax si aumenteranno gli introiti dello Stato.

Lo hanno detto anche per le partite Iva nell'ultima finanziaria. Incameri più risorse, dicono. Ma non è così. I dati del centro studi della Camera lo dimostrano, queste politiche non riducono l'evasione.

Un'altra delle novità è il concordato per le aziende, che potranno mettersi d'accordo con il Fisco su quanto pagare. Può portare a una riduzione dell'evasione fiscale?

Quei 100 miliardi di euro di evasione vengono da evasori grandi e piccoli, sono il risultato di una cultura di fondo: "Se non mi beccano vado avanti, se mi beccano poi posso concordare e pagare meno". Già funziona così per i colossi, che hanno degli studi legali a disposizione. Immagini questo principio applicato a tutti, con l'idea che è lo Stato che viene a concordare con te. È un'idea fastidiosa per gli imprenditori e i lavoratori che rispettano le regole, che io credo ancora siano maggioranza.

A proposito di colossi aziendali, nel suo intervento in Aula sulla delega fiscale si è concentrato proprio sugli extraprofitti delle aziende negli ultimi anni. Bisognerebbe tassarli di più?

Negli ultimi quattro anni, tra pandemia, guerra, inflazione, innalzamento dei tassi, ci sono stati extraprofitti generati dai colossi dell'e-commerce, dalle compagnie farmaceutiche, da banche e assicurazioni, dalle aziende di armi. Questi extraprofitti non sono frutto di un merito. E tassarli non è una richiesta da marxista: chi è stato avvantaggiato da crisi che hanno colpito tutti, dovrebbe restituire qualcosa. Ma la questione è più ampia e non ne parliamo abbastanza, c'è una grande mancanza nel dibattito sulle misure fiscali.

Quale mancanza? Non si parla di extraprofitti?

Anche, ma nono solo. Pensi, ad esempio, alle grandi imprese italiane che negli ultimi anni hanno spostato all'estero le sedi fiscali e legali. Per come funziona l'Irap in Italia, si facilita l'elusione fiscale, ancor prima che l'evasione. Così le imprese che dieci anni fa contribuivano enormemente al sistema sanitario nazionale – perché ricordiamo che l'Irap serve a quello – oggi sono grandi assenti. Ormai pagano quanto degli enti no-profit, e non si trova il modo di frenare questa dinamica, anche a livello europeo. Dall'altra parte, gli amministratori delegati: l'idea che guadagnino 600, 700, 800 volte quello che guadagnano i loro dipendenti, è messa in discussione in tutte le grandi democrazie europee. La questione è riconoscere che questi sono ‘alieni' ormai, una specie umana diversa, che non rientra neanche nella discussione pubblica. O nella discussione sulle riforme fiscali.

Non è prevedibile che un governo di destra non voglia intervenire per alzare le tasse?

Quello che stupisce non è tanto che noi e il centrodestra abbiamo idee diverse, ma che non ci sia nemmeno l'intenzione di parlarne. Il governo mette gli ultimi contro i penultimi, e intanto i primi se ne stanno tranquilli e dimenticati. Uno dei compiti della sinistra è tornare almeno a individuare i problemi.

Sulla vostra proposta di salario minimo, la maggioranza ha rimandato il dibattito a ottobre, e voi avete lanciato una raccolta firme. Cosa volete ottenere?

La raccolta firme serve a sottolineare che il punto non è l'unità delle opposizioni nel presentare questa proposta, il punto è che questa proposta va oltre la maggioranza politica. E infatti il governo ha deciso di fuggire sotto l'ombrellone, forse si sono accorti che la gran parte dei loro elettori è favorevole.

Perché non basta intervenire potenziando i contratti collettivi, come chiedono alcuni?

Da Mondo Convenienza al mondo della moda in Toscana, sono tanti i settori in cui le paghe sono a 5 o 6 euro l'ora, nonostante ci siano contratti collettivi. E nonostante Mondo Convenienza abbia superato Ikea per fatturato, in Italia. Ma si può pensare anche al turismo: le camere di albergo arrivano a costare 300 euro a notte eppure le persone che le puliscono sono pagate sempre meno di 9 euro l'ora; quando i musei sono assediati di turisti, le maschere prendono sempre 5/6 euro l'ora, con il contratto collettivo Multiservizi. Il salario minimo è un pezzo di risposta. Per tutte quelle persone per cui, a fine stipendio, manca ancora troppo mese.

L'unità delle opposizioni non sarà il punto più importante secondo lei, ma è comunque un inedito. Cercherete di riproporla su altri temi?

Quello che posso dire è che quando sono entrato alla Camera ero il primo firmatario di una mozione sul salario minime, e le altre erano di Orlando e di Conte. Quello era il ritratto di una sconfitta: non solo perché ce le hanno bocciate, ma perché ci presentavamo all'Aula – e quindi al Paese – con cinque/sei disegni di legge diversi. Abbiamo lavorato nel silenzio in questi mesi, con colleghi con Cecilia Guerra, Nunzia Catalfo, ma anche lo stesso Carlo Calenda che è venuto ad alcune riunioni. E il silenzio rappresenta bene la serietà del lavoro fatto finora. Iniziamo a dare una risposta su questo.

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