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Di Stefano (M5s) a Fanpage.it: “Vicenda Suarez non c’entra nulla con la legge sullo ius soli”

Il sottosegretario agli Esteri Manlio Di Stefano in un’intervista a Fanpage.it commenta così la vicenda di Luis Suarez: “Io penso che la vicenda del calciatore non c’entri nulla con il dibattito sullo ius soli”. Sul nuovo patto Ue sulle migrazioni dice: “Il superamento del principio del Paese di primo approdo è un passaggio fondamentale, senza il quale non possiamo valutare positivamente la proposta”.
A cura di Annalisa Cangemi
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Sul nuovo patto europeo sulla migrazione e l'asilo, presentato dalla presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen per superare il sistema Dublino, con lo scopo di alleggerire i Paesi di primo ingresso, è intervenuto il sottosegretario agli Esteri Manlio Di Stefano (M5s). In un'intervista a Fanpage.it l'esponente pentastellato spiega cosa non va nel nuovo pacchetto, che comunque, lo ricordiamo, dovrà essere esaminato dai leader dei singoli Stati e approvato dal Parlamento e dal Consiglio prima dell'adozione definitiva. La trattativa per l'Italia si prevede in salita, ma il sottosegretario Di Stefano è fiducioso: "Grazie al presidente del Consiglio Conte abbiamo recuperato una certa credibilità a livello internazionale".

A proposito poi dell'inchiesta sull'esame di italiano per la cittadinanza del calciatore uruguayano Luis Suarez commenta così: "La vicenda di Suarez non c'entra nulla con il dibattito sullo ius soli".

Il ricollocamento "volontario" e non "obbligatorio" è considerato il vero vulnus della proposta della Commissione. Rispetto al testo che era stato approvato dal Parlamento europeo nel 2017, che cancellava il criterio del primo ingresso, è un passo indietro?

Per noi il superamento del principio del Paese di primo approdo è un passaggio fondamentale, senza il quale non possiamo valutare positivamente la proposta. Per l'Italia, e immagino anche per la Spagna, per la Grecia, per la Francia, non può essere un punto di partenza accettabile.

C'è anche un altro aspetto: l'ipotesi di dare la responsabilità di rimpatrio agli Stati membri diversi da quelli di sbarco non rischia di rendere la procedura troppo lunga? 

Sì, e quindi di renderla inutile. Perché il vero problema per noi e per gli altri è la gestione della prima fase. Perché poi la gestione del migrante e della sua integrazione è pur sempre una parte complicata, ma meno critica della fase iniziale.

La Commissione parla di "solidarietà flessibile", senza quindi l'obbligo per gli Stati di condividere la responsabilità di esaminare le richieste. Perché questo principio non può funzionare? Offre troppe scappatoie ai Paesi di Visegrad?

La "solidarietà flessibile" va intesa anche come una partecipazione economica ai costi. Ma il problema migratorio non è soltanto un problema di costi, è soprattutto di tenuta sociale, per cui bisogna che l'Europa dimostri di avere una condivisione del carico anche sociale e politico della questione. I Paesi di Visegrad non sono gli unici a fare i voltagabbana in questi casi, non mi interessa parlare solo di loro. Anche con la Francia abbiamo avuto diversi problemi in passato sui confini. Il nostro obiettivo è un meccanismo automatico di ridistribuzione dei richiedenti asilo, non delle persone già integrate, perché queste non rappresentano più un problema.

Come può spuntarla l'Italia in questa trattativa? Pensa che Francia e Germania possano rappresentare l'ago della bilancia in questo negoziato?

Come in tutti i processi europei l'unità di intenti tra Italia, Francia e Germania è determinante per il successo delle trattative, e noi su questo stiamo lavorando. Credo che, e il Recovery Fund lo dimostra, l'Italia abbia acquisito oggi rispetto a governi precedenti una credibilità che non aveva. Questa credibilità ci permette di pretendere di più, con la consapevolezza che ormai tutti sanno che siamo un Paese di persone serie. Perché quando il presidente del Consiglio Conte ci mette la faccia vuol dire si tratta di una proposta valida. Pensate a cosa sarebbe successo se in Europa a parlare di Recovery Fund o di immigrazione avessimo mandato Matteo Salvini. Non ci darebbero credito. Ora questa credibilità che abbiamo ottenuto va usata al meglio anche per questo capitolo, oltre che per quello economico.

Secondo lei c'è un nesso tra il ‘no' al pacchetto espresso subito da Polonia, Ungheria e Repubblica Ceca e la questione del legame tra fondi europei e stato di diritto? Questo nodo avrà un peso nei negoziati?

Sicuramente c'è un collegamento, non so ovviamente se quest'elemento entrerà poi nel negoziato. È vero che l'Unione europea nasce con un framework piuttosto semplice, questo aspetto, il legame tra fondi europei e stato di diritto, non c'era inizialmente nel processo di affiliazione all'Unione europea. Quindi i Paesi di Visegrad oggi alzano un muro e chiedono ‘perché pretendete di inserirlo adesso?'. Però è anche vero che l'Unione europea è sempre stata un esperimento al rialzo, cioè è iniziata come una semplice associazione economica e poi a poco a poco si è evoluta sui diritti e su altri aspetti della società. Ed è giusto che sia così, se no non faremmo gli interessi dei cittadini europei. Quindi per me nella bilancia dobbiamo mettere tutto: la convenienza dei fondi strutturali, dei fondi di coesione di cui questi Paesi hanno ampiamente beneficiato, e dall'altra parte ci deve essere anche la responsabilità sui temi importanti per tutti i Paesi membri. Perché è chiaro che i Paesi che riceveranno più migranti saranno sempre Italia, Spagna, Grecia, Francia. Ci vuole una condivisione automatica delle responsabilità.

Le ultime dichiarazioni del governo lasciano supporre che presto arriverà la modifica dei decreti Sicurezza. Cosa ne pensa della possibilità di prevedere sanzioni di carattere penale per le Ong?

Credo che quando si è in uno stato di diritto su una cosa non si possa transigere, e cioè che le regole valgono per tutti. Quindi dato che il nostro Paese ha già una grande operatività nel soccorso dei migranti, spendendo tanti soldi, tante risorse, tante energie, non vedo per quale motivo dovremmo accettare che una Ong possa fare ricerca e soccorso violando addirittura le norme. Quindi penso che la responsabilità delle Ong vada chiarita, e nei decreti Sicurezza andrà tenuto conto di questo. Non si possono semplicemente cancellare i decreti tornando al passato.

Spesso però le Ong hanno sopperito a una mancanza di un intervento strutturato da parte degli Stati europei.

Questo non è vero perché le aree di search and rescue vedono una presenza regolare da parte degli Stati. Le Ong hanno al massimo integrato queste operazioni. Ma è altrettanto vero, e lo sanno anche loro, che spesso la loro attività si è trasformata in una vera e propria spola tra coste, con un recupero quasi a terra dei migranti. E questo chiaramente non si può fare perché va contro l'interesse dei Paesi che hanno spesso fatto degli accordi per poter operare in mare in modo serio, e senza aiutare gli scafisti.

La vicenda Suarez dimostra secondo lei che c'è l'urgenza di approvare una legge sullo ius soli?

Io penso che la vicenda di Suarez non c'entri nulla con il dibattito sullo ius soli. Il grande clamore suscitato da questa storia è legato semplicemente al fatto che si tratta di un calciatore famoso. La verità è che qui ci troviamo davanti a un caso di giustizia, che va risolto nelle sedi opportune. Quelle procedure, che Suarez parrebbe aver fatto con aiuti illegali, sono procedure affrontate ogni giorno da tantissimi ragazzi, che cercano di integrarsi in Italia.

Quando Grillo dice che non crede più nella democrazia rappresentativa dobbiamo considerarla come una boutade? O sta cercando di rinverdire il progetto iniziale del M5s, indicando la strada?

Beppe nella sua natura ha l'esasperazione dei concetti per indicare un obiettivo, un orizzonte molto più alto. Noi abbiamo iniziato dicendo che la democrazia rappresentativa era superata perché l'interazione tra le persone era molto più alta di 30 o 40 anni fa. Oggi più che mai questo è vero. Quello che intende dire Beppe è che i meccanismi di integrazione della democrazia rappresentativa tramite il digitale sono fondamentali e da coltivare. Se siamo arrivati in pochi anni come partito politico ad avere un processo decisionale  digitale, se oggi dieci milioni di cittadini hanno attivato il Sistema Pubblico di Identità Digitale (SPID), e questo è un processo avvenuto nell'arco di dieci anni, è chiaro che l'orizzonte anche politico non può prescindere da questa visione.

A cosa attribuisce il calo di consensi per il M5s? A un eccesso di verticismo? Una maggiore collegialità è la soluzione?

Io credo che il vero problema in questo momento sia non di leadership ma di identità. Siamo l'unico partito italiano che è riuscito a portare a compimento tutte le sue proposte politiche nei primi due anni di governo: il reddito di cittadinanza, il taglio dei vitalizi, il taglio dei parlamentari. Quindi oggi paradossalmente ci troviamo un po' spaesati dalla mancanza di nuove grandi battaglie. Le battaglie comuni aggregano, tanto che sul referendum abbiamo stravinto. Io credo che bisognerà ripartire agli Stati generali dai valori, dagli ideali e dagli obiettivi, e solo conseguentemente trovare una leadership, singola o collegiale non importa, che sappia interpretare quegli obiettivi. Altrimenti finiamo col fare le correnti sui nomi, come hanno fatto sempre gli altri partiti.

Pensa che Di Maio possa tornare alla guida del M5s?

Io credo che Luigi abbia fatto un ottimo lavoro da capo politico. E penso anche che sia stato poco difeso da tutti quelli che avevano contribuito insieme a lui a creare il Movimento. Credo abbia tutte le carte in regola per continuare a essere una persona fondamentale per il Movimento Cinque Stelle. Non so però onestamente se lui abbia voglia, dopo tutto quello che ha subito, di tornare in quel ruolo, anche perché stiamo lavorando bene alla Farnesina. Il Movimento però non può fare a meno di una persona valida come lui.

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