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Cosa deve fare il governo Meloni contro l’evasione fiscale, per non perdere i fondi del Pnrr

Gli impegni dell’Italia inseriti nel Pnrr in tema di evasione fiscale sono molto ambiziosi, come sottolinea la fondazione Openpolis. Per rispettarli, il governo Meloni dovrebbe puntare anche sui pagamenti elettronici, ma finora sembra che abbia l’intenzione di spingere sull’uso dei contanti.
A cura di Luca Pons
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L'evasione fiscale costa allo Stato italiano quasi 100 miliardi di euro all'anno. Nel 2019, infatti, il tax gap dell'Italia – cioè la differenza tra le tasse che avrebbero dovuto essere pagate, e quelle effettivamente versate – era di 99,2 miliardi di euro. Il dato è di un rapporto del ministero dell'Economia.

Nel 2015, il tax gap era di 106,1 miliardi di euro, e nel 2017 era di 107,6 miliardi, quindi tra il 2018 e il 2019 c'è stato un calo significativo: 8 miliardi di euro. Ma per rispettare Piano nazionale di ripresa e resilienza, il programma di obiettivi che l'Italia ha concordato con l'Unione europea per ricevere oltre 190 miliardi di euro di finanziamenti, il miglioramento deve continuare, anzi, andare più in fretta.

I 99,2 miliardi di tax gap restano comunque una cifra molto alta. Sempre nel 2019, la Commissione europea ha raccomandato all'Italia di fare più sforzi per contrastare l'evasione da omessa fatturazione, cioè quella che nasce quando la fattura per un acquisto non viene fatta.

Gli impegni dell'Italia nel Pnrr per contrastare l'evasione fiscale

Come evidenziato da un approfondimento della fondazione Openpolis, il Pnrr prevede un'ampia riforma dell'amministrazione fiscale. Su 11 scadenze fissate a questo scopo, dal 2021 al 2026, cinque sono già state rispettate. Quelle più a lungo termine, invece, riguardano entrambe l'evasione fiscale.

Nel complesso, si chiede che la propensione all'evasione (cioè il rapporto tra quanto viene evaso e quanto dovrebbe essere riscosso) si riduca del 15%, nel 2024, rispetto al valore del 2019. Questo significherebbe per lo Stato incassare circa 12 miliardi di euro in più. Per verificare se l'obiettivo è stato raggiunto bisognerà aspettare gli anni successivi, quando si avranno i dati completi, infatti l'ultima scadenza è fissata formalmente al giugno 2026.

La propensione all'evasione, come il tax gap, è scesa negli ultimi anni: era al 22,6% nel 2014 – quindi le tasse evase erano il 22,6% di tutte quelle che sarebbero dovute entrare nelle casse dello Stato – e al 18,5% nel 2019. Per soddisfare i requisiti del Pnrr, questo dato dovrebbe scendere al 17,6% nel 2023 e al 15,8% nel 2024.

Due delle misure più efficaci in questo periodo, secondo il già citato rapporto del ministero dell'Interno, sono stati lo split payment – che semplifica il versamento dell'Iva – e l'obbligo di fatturazione elettronica, arrivato nel 2018, che ha fatto sì che le fatture vengano emesse, trasmesse e conservate in formato digitale. Questo ha portato a un importante aumento delle tasse pagate, soprattutto dalle piccole imprese.

Cosa sta facendo il governo Meloni (e cosa no)

Abbassare così tanto la propensione all'evasione è un obiettivo ambizioso. Anche perché, fino a oggi, il governo Meloni ha espresso posizioni molto favorevoli all'utilizzo del denaro contante, e decisamente più scettiche rispetto ai pagamenti elettronici. Nel suo parere del 2019, la Commissione europea ha sottolineato che una mossa utile per contrastare l'evasione fiscale poteva essere promuovere i pagamenti elettronici, che incentivano a fare gli scontrini e quindi a rispettare il pagamento delle imposte. Cosa che i contanti non fanno. Ma il governo Meloni sembra aver scelto una strada diversa.

Infatti, nella manovra per il 2023 il tetto per l'utilizzo del contante è stato alzato, fino a 5mila euro a transazione. Non solo, ma il governo ha tentato di eliminare le sanzioni per i negozianti che rifiutano di usare il Pos per i pagamenti sotto i 60 euro.

La misura è stata poi rimossa dalla legge di bilancio perché, come ricordato dalla Commissione europea, le multe a chi rifiuta i pagamenti elettronici erano un obiettivo del Pnrr. Eliminare le sanzioni avrebbe voluto dire fare un passo indietro sui traguardi del Pnrr, cosa che avrebbe messo in discussione i finanziamenti.

Per quanto riguarda le scadenze del Pnrr già raggiunte dall'Italia sulla riforma dell'amministrazione fiscale, invece, queste sono cinque, come detto, e la maggior parte sono state portate avanti dal governo Draghi. Riguardano soprattutto le cosiddette lettere di conformità, cioè le comunicazioni che l'Agenzia delle Entrate fa ai contribuenti quando ci sono anomalie. Una delle scadenze, invece, ha portato proprio a introdurre le sanzioni per chi rifiuta pagamenti elettronici, in vigore dal 30 giugno 2022.

La prossima scadenza che il governo Meloni dovrà rispettare, invece, riguarda l'invio di dichiarazioni precompilate per la partita Iva. In pratica, 2,3 milioni di professionisti che usano la partita Iva dovranno ricevere dall'Agenzia delle Entrate una dichiarazione dei redditi già compilata, con le informazioni che l'Agenzia ha, grazie alla fatturazione elettronica. A quel punto dovranno solo vederla, eventualmente modificarla e integrarla, e poi inviarla e pagare le imposte risultanti.

La scadenza ultima per iniziare l'invio delle dichiarazioni precompilate è giugno 2023, ma il governo dovrebbe dare il via alla misura già per febbraio, anche se sul portale ufficiale Open Pnrr la riforma risulta ancora "da avviare". Nel 2024, poi, dovrà aumentare il personale dell'Agenzia delle Entrate (sono previste 4113 nuove assunzioni), e si dovranno migliorare ancora le lettere di conformità: inviarne di più, con meno ‘falsi positivi' (cioè i casi in cui viene segnalata un'anomalia che poi non risulta essere una frode) e riscuoterne di più.

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