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Panama Papers, bufera su patrimonio da 2 mld di Putin che accusa: “Operazione targata Cia”

Il leak Panama Papers ha scoperchiato un vero e proprio vaso di Pandora: una fitta rete di riciclaggio internazionale costituita da alcuni banchieri e fedelissimi di Putin, la quale servirebbe a occultare l’esistenza di un patrimonio dal valore di diversi miliardi di euro intestato solo fittiziamente ai suoi più stretti collaboratori, ma che in realtà sarebbe di proprietà del presidente russo.
A cura di Charlotte Matteini
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Per Mosca sarebbe tutta una montatura. Anzi, di "Putinofobia", per essere precisi. Stando a quanto sta emergendo in queste ore dal leak "Panama Papers" pubblicato dall'Icij, numerosi sarebbero i nomi dei più stretti collaboratori di Putin apparsi nella lista di personaggi che avrebbero nascosto capitali a Panama attraverso la società Mossack Fonseca. Secondo il Cremlino, però, sarebbe tutto falso: "A Mosca sappiamo bene chi fa parte di questa cosiddetta comunità giornalistica, ci sono molto giornalisti la cui occupazione principale non è il giornalismo, ci sono molti ex rappresentanti del dipartimento di Stato, Cia e altri servizi speciali", ha dichiarato il portavoce del Governo, Dmitri Peskov.

Tra gli 11 milioni di documenti che compongono il "Panama Papers" diffuso dall'organizzazione giornalistica  Icij in collaborazione con Guardian, Le Monde, Bbc e Sueddeutsche Zeitung nella notte tra il 3 e 4 aprile, sono numerosi quelli che appartengono a personaggi direttamente riconducibili al presidente russo. Tra i principali figura Serghej Roldugin, 64enne padrino della figlia di Putin nonché suo fidatissimo amico, il quale avrebbe creato e gestirebbe attraverso alcune società offshore, un patrimonio da circa 2 miliardi di euro per conto di Putin. Insomma, il leak russo confermerebbe quelli che da molti anni sono i sospetti di numerosi giornalisti: Putin sarebbe in realtà proprietario di un'ingente quantità di patrimoni e risorse finanziarie solo fittiziamente intestate ai propri fedelissimi.

Infatti, leggendo la documentazione messa a disposizione dall’International Consortium of Investigative Journalists, appare piuttosto chiara l'esistenza di una fitta rete di transazioni che parte da Bank Rossija – una banca privata russa presieduta da uno dei più stretti collaboratori di Putin, così stretto da essere considerato il suo "banchiere personale", Jurij Kovalchuk  – le quali, attraverso una serie di complicate operazioni finanziarie con società offshore svizzere, panamensi e cipriote, finirebbero poi per tornare in Russia, o meglio nei conti correnti di alcuni fedelissimi del presidente russo. Secondo quanto afferma The Guardian, addirittura sembrerebbe che questo complicato schema sarebbe stato costruito per "proteggere l'identità del proprietario principale della compagnia", ovvero Putin. Non solo Roldugin e Kovalchuk, della rete scoperta da Panama Papers farebbero parte anche la moglie di Peskov, Tatiana Navka, i figli del ministro dello Sviluppo economico Alexei Ulyukayev e di quello degli Interni, Igor Zubov.

Senza troppi giri di parole, secondo il Cremlino Putin non c'entrerebbe nulla, anzi sarebbero stati  in realtà alcuni giornalisti a "inventare le notizie che poi pubblicano", al solo scopo di screditare il leader russo. Nonostante siano ben 72 i capi di Stato coinvolti nel Panama Papers – tra i nomi figurano quelli di Mubarak, Gheddafi, Bashar al-Assad, David Cameron e perfino il presidente ucraino Poroshenko – secondo Peskov il vero obiettivo di questa montatura sarebbe proprio Putin.

Come riporta il Sole24Ore, il portavoce del Cremlino già qualche settimana fa sembrava essere al corrente della tempesta giornalistica che stava per abbattersi su Putin tanto che avrebbe parlato, in tempi non sospetti, dell'imminente pubblicazione da parte della stampa estera "di un'ennesima falsità che finge di essere obiettiva".

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