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L’epopea del Napoli raccontata da Gigi Di Fiore: “Il calcio simbolo già 20 anni fa del ritardo tra Nord e Sud”

Gigi Di Fiore, intervistato da Fanpage.it, racconta il suo ultimo libro: “Storia del Napoli: Una squadra, una città, una fede”, edito da Utet.
Intervista a Gigi Di Fiore
Giornalista, saggista e scrittore italiano.
A cura di Giuseppe Cozzolino
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Gigi Di Fiore
Gigi Di Fiore

Si intitola "Storia del Napoli: Una squadra, una città, una fede" l'ultimo libro di Gigi Di Fiore, inviato de il Mattino, e grande tifoso del Napoli. Un libro che però "non è un mero almanacco sportivo", come ha spiegato lui stesso intervistato da Fanpage.it, ma "il racconto di un amore, una simbiosi, tra la città e la squadra" dalle origini e fino ai giorni nostri. Il libro, pubblicato da Utet, è uscito a metà novembre di quest'anno, ad un anno dalla scomparsa di Diego Armando Maradona.

La letteratura sportiva, soprattutto napoletana, è particolarmente ricca di titoli: come nasce l'idea di questo libro?

Per la prima volta si tratta di un libro che mi ha chiesto l'editore. In pratica, due anni fa è uscito un libro di Giovanni De Luna sulla Juventus (Juventus, Storia di una passione italiana: Dalle origini ai giorni nostri, ndr), dopo il quale era uscito un volume sulla Nazionale (Azzurri. Storie della nazionale e identità italiana, di Gioachino Lanotte e Paolo Colombo, ndr). E così il mio editore mi hanno chiesto se me la sentissi di fare una cosa simile sul Napoli, come terzo volume di questa serie. Ed io mi sono voluto mettere in gioco. Non è stato semplice recuperare tutte le fonti storiche, soprattutto quelle più vecchie. Anche perché non si tratta di un almanacco sportivo, ma un libro in cui cerco di raccontare questo legame tra la squadra e la città. Per cui, recuperare le fonti giornalistiche particolarmente datate è stato un bel lavoro, e molto impegnativo.

Si è trattato però di un lavoro soddisfacente…

Sì, e si è trattato di un lavoro anche molto divertente, perché questa ricerca a ritroso mi ha riportato alla mente ricordi di quando ero bambino. Uno dei momenti più emozionanti è stato quando mi sono occupato di Omar Sivori, ecco, là sono riaffiorati diversi ricordi di quando ero bambino, anche molto emozionanti.

La sua generazione, quella dei nati negli Anni Sessanta, è un po' quella che più delle altre ha vissuto la simbiosi tra città e squadra? Voi eravate i ventenni che vissero in prima linea gli anni d'oro della squadra.

Quando ci fu il primo Scudetto avevo 27 anni, lo ricordo bene perché ero sugli spalti in quel Napoli-Fiorentina, con alcuni amici. Quella nostra generazione aveva ancora di più saldo il rapporto con la squadra, anche perché finalmente si vincevano trofei importanti, non solo più una Coppa Italia o una Coppa delle Alpi. D'altra parte, nel percorso storico che ho ricostruito, si evince proprio questo: di come anche nel calcio avevamo vent'anni di ritardo rispetto al nord. Certo, può sembrare un po' retorico, però alla fine è così: era la nostra rivalsa verso lo strapotere del nord, verso il quale anche noi potevamo dire "ci siamo, eccoci".

Un anno fa se ne andava Diego Armando Maradona, e appena l'altro giorno è toccato al fratello Hugo che era rimasto a Napoli. L'addio dei fratelli Maradona può segnare la fine di un'epoca per la città ed il popolo di Napoli?

La morte di Hugo e soprattutto di Diego segna la fine della presenza fisica, ma allo stesso tempo segna anche l'inizio del mito. Un mito così compenetrato con la città che ormai ogni angolo della città ha qualcosa che lo ricorda, un altarino, un murale. Non c'è più la presenza fisica, ma c'è quella mitologica. Ecco perché ancora oggi è una presenza "reale": le nuove generazioni lo vedono tutti i giorni, in città, su internet, e così ancora oggi il mito continua. Diego era un uomo che ha cercato di vivere la vita nella sua pienezza, senza voler rinunciare a nulla. Anche se alla fine l'abbraccio quasi stritolante della città lo ha quasi soffocato. E non tutti sono in grado, tra i calciatori, di assorbire questo tipo di abbraccio di una città che vive il calcio in una maniera oserei dire assoluta.

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