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“Gli autonomi” in un libro la storia nel Sud dell’organizzazione che segnò gli anni ’70 (e non solo)

La storia dell’Autonomia Operaia nel Sud a cura di Antonio Bove e Francesco Festa. Dalle lotte nelle fabbriche a quelle per le autoriduzioni, dagli anni ’70 fino ai noglobal, è il primo volume che ripercorre la storia dell’organizzazione a Napoli e nel meridione.
A cura di Antonio Musella
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Corteo a Napoli in zona Museo Archeologico
Corteo a Napoli in zona Museo Archeologico

L'Autonomia Operaia fu senza dubbio il gruppo politico extraparlamentare più importante degli anni '70, colpito duramente da inchieste giudiziarie finite spesso nel nulla come quella contro l'Autonomia padovana, l'organizzazione resistette ai "terribili" anni '80 del riflusso del movimento trasformandosi, mettendo radici e risultando poi decisiva per la nascita dei centri sociali prima, negli anni '90, fino al movimento No Global dei primi anni duemila. Strutturata soprattutto a Nord, nel Mezzogiorno le sue radici sono sempre state solide ma non avevano mai trovato un momento di narrazione storia, ed è quello che hanno fatto Antonio Bove e Francesco Festa, entrambi provenienti dai movimenti della fine degli anni '90. Al volume, il decimo della collana di Deriveapprodi dedicato alla storia dell'Autonomia Operaia, hanno preso parte anche protagonisti dell'epoca come Alfonso Natella, Lanfranco Caminiti e Claudio Dionesalvi, e i docenti universitari Franco Piperno, Giso Amendola e Francesco Caruso. Fanpage.it ha incontrato Antonio Bove, oggi medico a Napoli, per tracciare le linee di un lavoro di ricostruzione storica che è anche testimonianza.

Come nasce questo volume, a quale filone si aggancia e quale metodo di ricerca avete usato?

E' nato un po' per caso, quando io e Francesco abbiamo chiesto a Sergio Bianchi di Deriveapprodi perché nella collana sugli autonomi iniziata nel 2007, non ci fosse ancora un volume sulle autonomie meridionali. Ci rispose: "Fatelo voi". Ed eccoci qua. Si tratta di un magma di storie, frammenti e memorie che erano sparse e non erano state mai raccolte, il lavoro di ricomposizione è stato possibile grazie anche ai protagonisti dell'epoca e i ricercatori che invece a quel tempo non c'erano, che si sono aggregati a noi in maniera entusiasta. Parlare di Autonomia Operaia nel Sud significa innanzitutto chiarire la "questione meridionale" ed è quello il saggio introduttivo che trova linfa nel testo degli anni '70 di Ferrari Bravo e Serafini "Lavoro e sottosviluppo". Dentro ci sono molte storie dai territori, che sono state decisive per ricostruire la memoria di ciò che è stata l'Autonomia. Il metodo è stato quello di mettere insieme i frammenti, molte cose mancano, ma abbiamo assunto la frammentarietà proprio come metodo di lavoro, era necessario mettere su carta una serie di questioni che crediamo ancora irrisolte e che ora possono essere sviscerate.

Il libro vive anche di molte interviste a protagonisti dell'Autonomia Operaia nel Sud, quasi come se fino ad ora ci fosse stata solo una trasmissione orale della storia di questa organizzazione, quanto è stato importante parlare con i protagonisti ancora in vita?

Gli interventi in prima persona nel libro, soprattutto su Napoli, sono stati fondamentali, è stato come ricostruire un archivio fatto di persone viventi, sfruttando il fatto di avere ancora in vita quei protagonisti. L'Autonomia Operaia nel Mezzogiorno non ha mai avuto quel nodo di contatto tra generazioni diverse che invece in questo libro si è manifestato. Si stanno organizzando presentazioni in tutto il Sud a dimostrazione di come questa storia sia "invecchiata bene". Se farà presa anche sulle nuove generazioni dovremo scoprirlo.

Quell'organizzazione ha segnato non solo gli anni '70 ma anche i cicli di lotta successivi, quali sono stati i punti di continuità che avete trovato?

L'Autonomia operaia nel Sud, a differenza di quelle del Nord a Padova, a Milano, a Roma, a Torino, era molto frammentata, decisamente meno organizzata. Ma ha attraversato i cicli di lotte ed il tempo molto meglio di altre, resistendo ai colpi dei processi. A Napoli va ben oltre il terremoto del 1980, vive nell'ARN (Associazione Risveglio Napoli ndr) e arriva fino all'occupazione di Officina 99 nel 1991 e poi nelle lotte degli anni novanta. Anche l'esperienza del Comitato anti-nucleare/ anti-imperialista, pienamente vissuto dall'Autonomia Operaia, ha alimentato le lotte ambientali degli anni '80, con i campeggi, i comitati locali, in Puglia, in Basilicata, in Campania, che hanno costituito l'ossatura di quello che c'è stato dopo, se guardiamo alle tante lotte ambientali dei giorni nostri. Questo libro serve a svelare che l'Autonomia a Sud non era un pallido sguardo rispetto a quello che faceva nelle fabbriche del Nord, ma aveva radici sui territori. L'organizzazione a Sud ha avuto una vita lunga, basti pensare che i rapporti organizzati soprattutto con l'Autonomia padovana risalgono a dopo il 1979, mentre con quella romana sono addirittura successivi. Ma questo filo cronologico è fatto appunto delle lotte sull'autoriduzione delle bollette, dai comitati di quartiere, dai movimenti ambientalisti e contro il nucleare, dalle lotte contro la NATO e le basi di guerra, un filo molto lungo che arriva fino agli anni '90. Tutti questi cicli avevano dentro un po' di Autonomia Operaia.

Oggi abbiamo le lotte ambientaliste e quelle degli studenti che caratterizzano le nuove generazioni, cosa resta di quel portato storico di Autonomia Operaia?

Eh questa è una domanda difficile. Sicuramente restano alcune cose chiare, dei bisogni, come quello di organizzarsi in forma autogestita fuori dai percorsi gerarchici, l'idea di collettività, della comunità. Poi ci sono dei temi che hanno resistito al tempo, l'Autonomia ha sedimentato una serie di concetti che le organizzazioni marxiste – leniniste non hanno lasciato, soprattutto una declinazione delle lotte ambientali che è assolutamente viva. Sull'autorganizzazione basti pensare alle tantissime occupazioni ancora presenti e vive. Certo ci sono una serie di problemi irrisolti che restano. Ad esempio quella tendenza spontaneista che impedisce una vera organizzazione delle lotte, spesso si sfocia in una sorta di infantilismo da questo punto di vista. Invece l'organizzazione di chi vuole ribaltare il tavolo dello stato di cose presenti è un tema cruciale. Se questo libro può servire a qualcosa deve servire a ragionare su questo, sulla strutturazione. Faccio un esempio, nell'Autonomia Operaia napoletana ad un certo punto c'era un rete di comitati di quartiere straordinaria, estesissima, ecco lì ad esempio non si riuscì a creare un'organizzazione comune. Questo tema resta. Cosa resta nelle nuove generazioni francamente non lo so, a differenza dei cicli di lotta precedenti il rapporto con le vecchie generazioni è profondamente sfibrato e labile. Però c'è ancora e soprattutto i temi sociali affrontati da quell'esperienza storica dell'Autonomia Operaia sono ancora tutti sul tavolo.

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