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Lavoro nero nell’azienda di famiglia, Di Maio: “Oggi metterò la società in liquidazione”

“L’attività imprenditoriale della Srl è cessata da oltre un anno e domani la stessa verrà posta in liquidazione. Poiché ho già dichiarato di non essermi mai occupato di fatti di gestione, non potendomi ora occupare del controllo di legalità e della revisione contabile postumi delle aziende di famiglia, io direi di finirla qui perché devo occuparmi dei problemi del Paese”, ha spiegato il vicepremier Di Maio al Fatto Quotidiano.
A cura di Charlotte Matteini
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Il vicepremier Luigi Di Maio ha deciso di mettere in liquidazione la Ardima, l'impresa edile di famiglia finita al centro delle polemiche a causa di alcuni casi di lavoro nero fatti emergere da Filippo Roma de Le Iene. Nella giornata odierna, il ministro Di Maio ha annunciato al Fatto Quotidiano l'intenzione di mettere in liquidazione l'azienda di famiglia, di cui è proprietario al 50% insieme alla sorella Rosalba.

"L’attività imprenditoriale della Srl è cessata da oltre un anno e domani la stessa verrà posta in liquidazione. Poiché ho già dichiarato di non essermi mai occupato di fatti di gestione, di essere stato operaio della ditta di mia madre per soli 4 mesi, e di aver aperto il cancello del deposito di mio pare qualche volta e niente più, non potendomi ora occupare del controllo di legalità e della revisione contabile postumi delle aziende di famiglia, io direi di finirla qui perché devo occuparmi dei problemi del Paese", ha spiegato il vicepremier al Fatto Quotidiano.

Per quanto riguarda la vicenda delle 33 cartelle esattoriali notificata tra il 2001 e il 2011 e ascrivibili al padre e la possibilità di ricorrere alla rottamazione per sanare il debito, il vicepremier Di Maio ha risposto: "Non so se alcune cartelle si estingueranno, ma resta il fatto che su un debito di circa 180mila euro questo non migliorerebbe in maniera significativa la situazione di mio padre". Il padre del vicepremier ha accumulato cartelle per debiti previdenziali, contributivi e tasse non pagate per una cifra pari a 134mila euro, divenuti 176mila euro con l'aggiunta delle relative sanzioni e interessi di mora.

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