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Elezioni comunali 2019

La “truffa legale” dei candidati alle Elezioni Comunali che ottengono 0 voti

Vi siete mai chiesti il motivo per il quale in moltissimi Comuni italiani ci siano candidati che ottengono zero preferenze alle elezioni? Sono davvero candidati tanto scarsi da non riuscire a raccogliere neanche il voto dei parenti più stretti o il loro stesso? Ecco, in realtà ci sono due spiegazioni dietro i candidati da zero preferenze: e nessuna delle due vi piacerà.
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Il 26 maggio, assieme alle Elezioni Europee si voterà anche in 3857 Comuni, di cui trenta capoluoghi di provincia e sei capoluoghi di Regione. La campagna elettorale vedrà dunque decine di migliaia di candidati correre per un posto in consiglio comunale, impegnati in una vera battaglia a colpi di preferenze. Il sistema elettorale per le Comunali, infatti, prevede che siano direttamente i cittadini a scegliere i loro rappresentanti, dal momento che non esistono i cosiddetti listini bloccati e ogni candidati che aspiri a essere eletto deve sudarsi sul campo le preferenze necessarie e dunque l’elezione in Consiglio Comunale.

Ehm, in teoria.

Elezione dopo elezione, infatti, aumenta il numero dei candidati che, al termine dello spoglio, totalizzano 0 preferenze. Una consuetudine soprattutto per i piccoli e piccolissimi Comuni, che viene portata all’attenzione dell’opinione pubblica solo raramente, peraltro con interpretazioni errate, che impediscono di cogliere il punto essenziale. Ovvero che, in moltissimi casi, siamo in presenza di comportamenti truffaldini, che nulla hanno a che vedere con la libera partecipazione al processo democratico.

Ci sono alcune ragioni dietro i candidati da zero preferenze, ma va fatta una doverosa premessa. Tra chi prende zero voti rientrano anche coloro i quali acconsentono a essere inseriti all’interno di una lista al solo scopo di raggiungere il numero minimo di candidature per la presentazione. Si tratta di scelte del tutto legittime, soprattutto perché permettono compiutamente l’esercizio democratico, garantendo rappresentanza anche "oltre" le dimensioni del partito o del gruppo cui fanno riferimento.

Più discutibili, per usare un eufemismo, altre prassi consolidate. Una è frequente nei piccolissimi comuni e ha la propria matrice nel sistema elettorale attualmente in vigore. Capita molto spesso che vi siano Comuni in cui c'è un solo candidato alla carica di Sindaco, senza che venga presentata una lista alternativa. In tali casi, però, la legge prevede che, affinché l’elezione a Sindaco possa essere valida, alle urne debbano recarsi la metà degli aventi diritto + uno, pena l'annullamento delle elezioni e l’arrivo di un commissario prefettizio. Come testimoniano i dati dell’ultima consultazione, raggiungere il quorum non è sempre semplicissimo (prima dell’aggiornamento delle liste elettorali ciò era ancora più frequente nei comuni interessati da forte emigrazione), dunque si ricorre al “trucchetto” della seconda lista. Una lista – fantoccio, con candidati che prestano la loro immagine semplicemente per “blindare” l’elezione a Sindaco del candidato dell’altra lista. Lo "zero" nella casella preferenze dei singoli candidati è automatico o quasi. E a volte con zero voti si è anche eletti.

La seconda motivazione delle liste da zero preferenze può essere collegata alla prima, ma ha una matrice profondamente diversa. E, diciamolo senza troppi giri di parole, rimanda a una "truffa perfettamente legale", comportamenti censurabili sotto il profilo etico ma del tutto legittimi in virtù del quadro normativo attuale. Per capire di cosa stiamo parlando dobbiamo avere presente la legge numero 121 del primo aprile del 1981. In particolare, è bene far riferimento all’articolo 81, che disciplina il comportamento politico degli appartenenti alle forze di polizia. Nello specifico:

Gli appartenenti alle forze di polizia candidati ad elezioni politiche o amministrative sono posti in aspettativa speciale con assegni dal momento della accettazione della candidatura per la durata della campagna elettorale e possono svolgere attività politica e di propaganda, al di fuori dell'ambito dei rispettivi uffici e in abito civile.

L’aspettativa è interamente retribuita  (“con esclusione delle indennità e dei compensi legati all'effettivo svolgimento dell'attività lavorativa”) e ha la durata dell’intera campagna elettorale, cessando appunto due giorni prima della consultazione. Ma non solo, perché non appena il dipendente comunica al capo ufficio di aver accettato formalmente la candidatura, viene “dispensato dall'esercizio di qualsivoglia attività, in attesa del collocamento formale in aspettativa, in ossequio al principio secondo il quale chi è candidato non può svolgere servizio”. Anche altre categorie di dipendenti pubblici (se a tempo indeterminato) hanno diritto a periodi di aspettativa nel caso di candidatura alle elezioni (se previsto dal CCNL), ma "senza retribuzione", discrimine evidentemente piuttosto importante.

In sostanza, se un appartenente alle forze di polizia, corpi sia a ordinamento civile che militare, decide di candidarsi alle elezioni, ha diritto a oltre un mese di aspettativa retribuita e di un altro periodo di esenzione da ogni attività di servizio, sempre retribuito. Ora, l’accesso all’elettorato passivo, ovvero la possibilità di farsi eleggere quali rappresentanti dei cittadini è un sacrosanto diritto. E vale anche per gli appartenenti alle forze di polizia, non c’è dubbio alcuno.

I furbetti, però, sono ovunque.

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Nel caso specifico, riferito alle Comunali di cinque anni fa di un piccolo paesino campano, la lista numero due era composta quasi interamente da appartenenti alle forze dell'ordine, nessuno dei quali residente nel comune oggetto della contesa elettorale. Zero preferenze per 8 di loro e un voto di qualche buontempone testimoniano la completa assurdità logica e concettuale della partecipazione di una lista siffatta, che è servita solo a garantire ai "candidati" una quarantina di giorni di vacanza a spese dei contribuenti italiani. Ma di casi simili se ne registrano a decine, basta spulciare i risultati nei piccoli comuni.

Come detto in precedenza, a volte le due "esigenze" (evitare il quorum e regalarsi un mese e mezzo di vacanza) finiscono per coincidere e garantiscono un agile superamento degli ostacoli burocratici che ci sono per la presentazione delle liste. Come fa un gruppo di perfetti sconosciuti a presentare una lista in un Comune in cui nessuno ha la residenza e che non può ricadere nella "giurisdizione" in cui si presta servizio? Ecco, a tal fine è necessario il supporto dei cittadini del posto. La legge prevede infatti che una lista possa essere presentata solo se le candidature sono sottoscritte da un numero minimo di firme. Per i Comuni con popolazione inferiore ai 2.000 abitanti servono almeno 25 firme, che diventano 30 in quelli da 2001 a 5.000 abitanti, 60 fino a 10.000 abitanti, poi 100 fino a 20.000. Per quelli sotto i mille abitanti, infine, non c'è neanche bisogno di raccogliere firme aggiuntive: i sottoscrittori sono gli stessi candidati.

La legge, del resto, difficilmente potrà essere modificata, e del resto non sarebbe possibile (né auspicabile) indviduare un modo per impedire a chiunque voglia candidarsi di farlo dove lo ritiene più opportuno. In ogni caso, come si possa firmare a sostegno di una lista composta da sconosciuti che approfittano di una fallacia della legge per scroccare una quarantina di giorni di vacanza, resta uno dei tanti misteri di questo Paese.

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A Fanpage.it fin dagli inizi, sono condirettore e caporedattore dell'area politica. Attualmente nella redazione napoletana del giornale. Racconto storie, discuto di cose noiose e scrivo di politica e comunicazione. Senza pregiudizi.
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