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Italia in vendita: dalla Cina offerta per Ansaldo

Ieri Krizia e una quota di Versace, oggi a prendere la strada dell’estero (verso la Cina) potrebbero essere Ansaldo Sts e Ansaldo Breda. Ancora una volta eccellenze produttive troppo piccole in settori maturi dominati da colossi mondiali…
A cura di Luca Spoldi
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Al temine di una seduta sonnecchiosa in borsa il titolo Finmeccanica ha messo il turbo chiudendo con oltre il 2% di guadagno (può sembrar poco ma per guadagnare la stessa percentuale un investitore dovrebbe reinvestire in Bot annuali per quattro anni di seguito ai tassi attuali). Che è successo? Che dopo Krizia e Versace, di chi vi ho parlato ieri, un altro pezzo (anzi altri due) del “Made in Italy” di qualità potrebbe prendere la strada dell’estero. I gruppi cinesi China Cnr Corporation e Insigma Group Company hanno infatti manifestato ufficialmente interesse per Ansaldo Sts e Ansaldo Breda, due società controllate da Finmeccanica (Ansaldo Sts, quotata in borsa, ha a sua volta chiuso la giornata a +2,4% e nel dopoborsa è in rialzo di un altro mezzo punto).

I due gruppi cinesi, attivi nel settore ferroviario (la prima fattura con circa 90.000 dipendenti intorno ai 10 miliardi di euro l’anno, è detenuta per la maggior parte dallo Stato ed è specializzata nella costruzione di locomotori mentre la seconda, attraverso la controllata quotata sul listino cinese di Shenzhen, è attiva nei sistemi di trasporto ferroviario) hanno anche precisato che la proposta “oltre a non escludere la trattativa con un partner italiano, prevede sia il mantenimento del livello occupazionale sia la conservazione delle fabbriche sul territorio”. Quanto alle due aziende italiane, Ansaldo Sts è tra i gruppi leader a livello mondiale nel segnalamento ferroviario, mentre Ansaldo Breda realizza materiale rotabile ferroviario (vagoni e locomotori).

Perché Finmeccanica vuole vendere? Anzitutto perché l’azienda ha più volte dichiarato di puntare a ridurre l’indebitamento netto, salito dai 3,373 miliardi di fine 2012 ai 5,153 miliardi del 30 settembre scorso, nuovamente entro la soglia dei 3,3 miliardi a fine 2013 e servono dunque quasi 2 miliardi di mezzi freschi per accumulare i quali non basterà il risultato d’esercizio (il 2013 avrebbe dovuto segnare il ritorno all’utile, ma i primi nove mesi dell’anno si sono chiusi con una perdita netta di 136 milioni di euro), poi perché il gruppo intende concentrarsi sulle attività “strategiche” della difesa e aerospazio, infine perché nonostante si tratti in entrambi i casi di eccellenze produttive, stiamo parlando di due imprese piccole che operano in settori maturi dove i concorrenti sono sempre più grandi e le economie di scala sempre più importanti.

Per esser chiari: se Ansaldo Sts ha chiuso il 2013 con ricavi (1.256,4 milioni contro i 1.247,8 milioni del 2012) e ordini (1.483,6 milioni contro i 1.492,3 milioni dell’anno precedente) stabili, Ansaldo Breda (produttore dei "Frecciarossa"), non va oltre i 450 milioni di fatturato annuo e per di più continua a generare perdite elevate (si parla di 500 milioni di rosso a fronte di attese di mercato attorno ai 300-350 milioni). Inezie confronti ai numeri che possono mostrare i concorrenti: la tedesca Siemens (che ha dato il via alla concentrazione del settore comprando Invensys) ha chiuso l’esercizio fiscale 2013 (a fine settembre) con 4,4 miliardi di utile (+3% sull’anno prima) a fronte di 75,88 miliardi di ricavi (-1%) e 75,94 miliardi di ordini (+1%), mentre la francese Alstom viaggia sui 20,3 miliardi di fatturato (di cui oltre un miliardo realizzati dalla sola Alstom Italia, impegnata a investire in un nuovo impianto produttivo a Sesto San Giovanni, alle porte di Milano).

Dal canto suo la canadese Bombardier ha chiuso il 2013 con un fatturato in crescita del 10,6% a 18,2 miliardi di dollari e un utile netto di 572 milioni (+21,7%), mentre l’americana General Electric (che tra tutti i nomi sopra ricordati, puntualmente apparsi tra i potenziali compratori, era sembrata l’unica disponibile ad acquistare entrambe le società e non solo Ansaldo Sts) ha le spalle ancora più robuste con un fatturato, stabile, di 146 miliardi di dollari (solo gli ultimi tre mesi dell’anno passato il gruppo ha fatturato 40,4 miliardi), generando cassa per 17,4 miliardi e segnando un utile netto di 14,1 miliardi. La musica, insomma, non cambia: che sia moda o che siano treni, le eccellenze del Made in Italy soffrono quasi sempre di una serie di svantaggi competitivi che nel corso degli anni hanno impedito loro di crescere quanto i concorrenti.

I nodi stanno ora venendo al pettine e la sola scelta che resta da fare è decidere se si voglia dare un’occasione di crescita alle aziende e marchi che si cederanno o si conferiranno in nuove partnership strategiche (fatti salvi quei casi in cui un gruppo italiano si è dimostrato capace di andare a rilevare concorrenti internazionali), o se si punti solo a massimizzare l’incasso per il venditore. Rinviare continuamente ogni decisione, come accaduto con Alitalia, rischia in molti casi di far solo perdere valore all'impresa senza beneficio alcuno nè per gli azionisti (pubblici o privati che siano) nè per i dipendenti e altri stakeholder. E’ in fondo la prova provata che l’Italia non rischia il fallimento, è già fallita da un pezzo ma nessuno ha avuto il coraggio di dirlo o di rendersene conto da solo. Se si vuole ripartire è da qui che dobbiamo iniziare a confrontarci nuovamente con la realtà.

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Luca Spoldi nasce ad Alessandria nel 1967. Dopo la laurea in Bocconi è stato analista finanziario (è socio Aiaf dal 1998) e gestore di fondi comuni e gestioni patrimoniali a Milano e Napoli. Nel 2002 ha vinto il Premio Marrama per i risultati ottenuti dalla sua società, 6 In Rete Consulting. Autore di articoli e pubblicazioni economiche, è stato docente di Economia e Organizzazione al Politecnico di Napoli dal 2002 al 2009. Appassionato del web2.0 ha fondato e dirige il sito www.mondivirtuali.it.
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