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Opinioni

Pensioni all’estero esentasse? Ecco come stanno davvero le cose

Tito Boeri, presidente dell’Inps, attacca: molti pensionati italiani fuggono all’estero e ottengono la pensione, esentasse, senza avere i requisiti minimi attualmente richiesti (20 anni di contributi “congrui”). Proviamo a capire come stanno le cose e che soluzioni si prospettino…
A cura di Luca Spoldi
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Tito Boeri, economista e presidente dell’Inps, non ha peli sulla lingua: dopo aver ricordato come, contrariamente alla vulgata che vorrebbe gli stranieri colpevoli di “rubare il lavoro” agli italiani (cosa che è vera, al limite, per le sole mansioni sotto qualificate a cui solitamente sono adibiti questi lavoratori, persino in un paese che continua a non investire in produzioni qualificate abbastanza da trattenere i suoi migliori laureati, che da anni scappano all’estero appena possono) sono proprio i loro contributi “a fondo perduto” a fornire ogni anno all’Inps circa 300 milioni di euro di risorse che non si tradurranno mai in pensioni e dunque servono a pagare le pensioni ai lavoratori italiani, Boeri ha rincarato la dose.

Un miliardo di euro l’anno a chi non ha quasi versato contributi

Per pagare oltre 355 mila pensioni ad oltre 373 mila cittadini italiani nel frattempo stabilitisi in 160 differenti paesi all’estero l’Inps spende ogni anno oltre un miliardo di euro. Peccato che più di un terzo di queste pensioni, ha sottolineato Boeri, hanno versato contributi in Italia per meno di 3 anni, mentre il 70% circa ha versato per meno di 6 anni (e in ogni caso l’83% ha versato per meno di 10 anni). Ma se doveste andare voi in pensione ora quali sarebbero i requisiti?

Quali sono i requisiti per andare oggi in pensione

Dal primo gennaio di quest’anno la situazione è la seguente (per la pensione di vecchiaia): 66 anni e 7 mesi per lavoratori dipendenti del settore privato, per i lavoratori autonomi e per le lavoratrici del pubblico impiego, 66 anni e 1 mese per le lavoratrici autonome, 65 anni e 7 mesi per le lavoratrici del settore privato. In tutti i casi dovete avere almeno 20 anni di contributi versati e un assegno pari ad almeno 1,5 volte il minimo. Se invece voleste andare in pensione anticipata, dovreste comunque avere 42 anni e 10 mesi di contributi (gli uomini) ovvero 41 anni e 10 mesi (le donne), ossia oltre 4 volte i contributi versati dalla quasi totalità di chi attualmente percepisce una pensione vivendo all’estero.

Nella migliore delle ipotesi servono almeno 20 anni di contributi

C’è per la verità anche il caso della pensione contributiva, sia di vecchiaia sia anticipata: nel primo caso, se avete raggiunto l’età pensionabile ma non avete 20 anni di contributi versati e/o l’assegno minimo, potete comunque andare in pensione se avete almeno 70 anni e 7 mesi. Se invece avete almeno 20 anni di contributi e, beati voi, un assegno pari ad almeno 2,8 volte il minimo per andare in pensione vi bastano 63 anni e 7 mesi. Tutto chiaro? Anche nell’ipotesi migliore per andare ora in pensione dovete aver versato almeno 20 anni, avere contributi “congrui” o, in alternativa godere di buona salute e poter continuare a lavorare fino ad oltre 70 anni.

È davvero difficile parlare di equità sociale

Vi sembra equo? E vi sembra equo che i nostri figli, che entrano nel mercato del lavoro sempre più tardi, con prospettive di reddito inferiori in molti casi a quelle dei loro genitori e con la prospettiva, concreta, di avere varie “interruzioni” nel corso della loro vita professionale in cui non potranno accumulare contributi, debbano avere requisiti che, verosimilmente, saranno ancora più alti senza che ai loro “nonni” nessuno chieda nulla, anzi a cui lo stato continua a dare di più visto che in massima parte i soldi di cui parla Boeri, per sua stessa ammissione, finiscono “in paesi in cui esistono redditi minimi garantiti”, erogando allo stesso tempo, oltre a tredicesime e quattordicesime, prestazioni assistenziali (che di solito avvengono in base al paese di residenza) a persone che risiedono all’estero?

Perché potrebbe rivelarsi tutta una bolla di sapone

C’è da dire che la polemica rischia di risolversi in una bolla di sapone: se dividiamo un miliardo per 355 mila assegni si scopre che l’assegno versato dall’Inps ai pensionati “esterofili” è pari in media a 2.800-2.900 euro all’anno, ossia meno di 240 euro al mese. La “fuga” dei pensionati italiani all’estero è inoltre spiegabile col fatto che tali redditi non vengono assoggettati a tassazione in Italia né diretta né indiretta, a differenza degli assegni pensionistici percepiti in Italia su cui grava mediamente una tassazione del 21%, tra le più alte d’Europa (dove la media è del 14%) e dove dal 2012 si è arrivati al blocco delle rivalutazioni.

Il segreto di Pulcinella: la previdenza pubblica era frutto di un voto di scambio

Insomma: i lavoratori attuali, stranieri compresi, pagano le pensioni agli ex lavoratori, molti dei quali non hanno versato contributi sufficienti a renderli “eligibili” ad una pensione in base alle norme attuali. Lo stato, resosi conto che la situazione non era più a lungo sostenibile, ha via via alzato l’asticella dei requisiti minimi e la tassazione sui redditi da pensione e chi può ha trovato una via di fuga nel trasferirsi all’estero (Portogallo, Baleari ed Est Europa le mete più gettonate). Nel frattempo i media “mainstream” sparano cifre e titoli a cinque colonne ma si badano bene dal rivelare il segreto di Pulcinella, ossia che la previdenza pubblica italiana è stata per decenni frutto di un voto di scambio: io ti garantisco assegni superiori a quelli a cui avresti diritto, tu mi voti.

Intanto lo stato tartassa anche la previdenza privata

Cosa servirebbe? Una riforma che incentivasse la previdenza privata, visto che la speranza di veder tornare la previdenza pubblica ai livelli che furono è pressoché pari a zero, come pure sembra averne l'ipotesi di un contributo di solidarietà o limitazioni all'erogazione di pensioni a chi non ha accumulato requisiti pari a quelli correnti. Peccato che gli ultimi governi abbiano alzato ulteriormente la tassazione anche sui fondi pensione (portandola dall'11,5% al 20%) oltre che sul risparmio in generale, col che contribuendo, ceteris paribus, a ridurre la consistenza delle future pensioni nostre e dei nostri figli. Ma davvero ci stupiamo che chi può cerca di lasciare la nave che affonda? Semmai dovremmo stupirci che non si introduca un regime fiscale sulla previdenza pubblica e privata, in Italia, più attraente per gli italiani ed eventualmente per i cittadini del Nord Europa, i soli più tartassati di noi. Certo, servirebbe prima trovare le risorse, ossia tagliare la spesa (o introdurre nuove tasse con cui compensare il minor gettito sulle pensioni), purtroppo questo sembra non essere nell’agenda di alcuna forza politica italiana.

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Luca Spoldi nasce ad Alessandria nel 1967. Dopo la laurea in Bocconi è stato analista finanziario (è socio Aiaf dal 1998) e gestore di fondi comuni e gestioni patrimoniali a Milano e Napoli. Nel 2002 ha vinto il Premio Marrama per i risultati ottenuti dalla sua società, 6 In Rete Consulting. Autore di articoli e pubblicazioni economiche, è stato docente di Economia e Organizzazione al Politecnico di Napoli dal 2002 al 2009. Appassionato del web2.0 ha fondato e dirige il sito www.mondivirtuali.it.
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