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Opinioni

Il primo maggio dei giovani, laureati e senza lavoro. A cui il governo racconta solo balle

L’emergenza lavoro, oggi, è la disoccupazione giovanile. Per questo il 1 maggio 2015 è la festa dei giovani. Che sopravvivono. mentre il governo racconta loro una verità che non esiste.
A cura di Michele Azzu
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Il primo maggio è la festa del lavoro. La festa dei diritti ottenuti con le battaglie sindacali. I concerti e le celebrazioni del primo maggio sono concerti e celebrazioni dedicati al lavoro. Chi a questi partecipa, generalmente, oltre che per svagarsi, lo fa perché tiene ai diritti del lavoro e a quelle battaglie.

È una maniera, certo didascalica, per spiegare cosa è il primo maggio in un momento molto confuso del nostro paese. Didascalico, ma chiaro e semplice. E di chiarezza e semplicità, di verità, il lavoro ha bisogno oggi più che mai. Perché da mesi assistiamo a un bombardamento di dati, annunci e mezze verità sulla disoccupazione giovanile – da parte del governo e sui media mainstream – che tutto fanno meno che gettare luce sulla reale situazione dei giovani.

Allora, proviamo a fare ordine. Il 1 maggio è la festa del lavoro. Il 1 maggio, quindi, è oggi soprattutto la festa dei giovani. E non perché ai concertoni di Roma e di Taranto sono loro a farla da padroni. Il 1 maggio è una celebrazione dei giovani perché il primo problema politico, oggi, è il lavoro. E il primo problema del lavoro, nel 2015, in Italia, è la disoccupazione giovanile.

Certo, le fabbriche hanno chiuso, continuano a chiudere. Certo, la crescita delle ore di cassa integrazione non conosce fine. E questi due fatti riguardano soprattutto gli over 50. D’altra parte, un giovane su due non ha un lavoro, e a questo chiaro e semplice fatto va associato quello per cui l’altra metà dei giovani lavora in condizioni di precariato oppure non lavora, non studia e non cerca lavoro, come succede ai cosiddetti “neet” (not in education, employment or education).

Anche l’Istat ci aiuta a fare chiarezza in queste ultime ore, proprio a ridosso del primo maggio. Secondo i dati dell’istituto statistico la disoccupazione generale sale al 13%. Quella giovanile, calata di poco nei mesi scorsi, sale al 43.1% Eppure il governo, i giornali, perfino Bankitalia parlano di 92.000 nuovi posti di lavoro conquistati, di una crescita dei nuovi contratti indeterminati a tutele crescenti (quelli senza più articolo 18). Già, perché in questo paese ognuno usa i dati che preferisce, il governo ha i suoi e spesso evita di specificare le fonti.

Allora, torniamo ai dati dell’Istat. Questi nuovi posti di lavoro in realtà sono “avviamenti lavorativi”. E ogni persona può avere durante l’anno innumerevoli avviamenti lavorativi, perché l’80 per cento di questi è con contratto a tempo (determinato) e dura pochi mesi. Un terzo di questi avviamenti dura appena un mese. Facile spiegare anche la – timida – crescita di contratti indeterminati a tutele crescenti: con l’effetto iniziale della riforma. Le aziende che dovevano regolarizzare a tempo indeterminato dei lavoratori hanno preferito aspettare le nuove norme col contratto a tutele crescenti, rinviando a marzo 2014 le regolarizzazioni. Da qui la crescita dei contratti, che nel resto dell’anno, però, subiranno inevitabilmente una battuta d’arresto.

Il primo maggio è la festa del lavoro, ma è anche un anno esatto dai primi provvedimenti del governo Renzi per combattere la disoccupazione giovanile. Nel 1 maggio 2014, infatti, partiva il programma dell’Unione Europea “Garanzia Giovani” che puntava a dare ai giovani fino ai 29 anni, entro pochi mesi dal colloquio, un lavoro o un tirocinio. 1 miliardo e mezzo la dote finanziaria. Un anno dopo, a leggere i dati del monitoraggio del Ministero del Lavoro, non ci è dato sapere quanti giovani abbiano finalmente trovato un’occupazione. Il rapporto spiega solo che circa 560.000 giovani hanno aderito al programma, e che il 49% per cento di questi è stato “preso a carico”, cioè registrato. La European Court of Auditors (la Corte dei Conti europea) poche settimane fa, dopo aver effettuato un monitoraggio dei programmi nei vari paesi ha affermato: “Dobbiamo ancora vedere un singolo giovane che abbia trovato lavoro col programma”.

Il 15 maggio 2014 invece diventava legge il decreto lavoro, il primo passo del Jobs Act di Renzi. Col decreto si liberalizzavano i contratti a tempo portandoli a 3 anni con 5 rinnovi, si semplificava il troppo rigido contratto di apprendistato, e si estendeva l’uso del voucher a più settori. Insomma, il governo un anno fa ha deciso di spingere sui contratti a tempo ed altre forme precarie per ottenere qualche posto di lavoro in più: dopotutto la maggior parte dei lavori oggi si fanno coi contratti a tempo. Un anno dopo, nonostante questi provvedimenti, la disoccupazione giovanile è ancora al 43.1%.

È del dicembre 2014, invece, l’incentivo alle assunzioni inserito nella Legge di Stabilità. Incentivo, in forma di sgravi fiscali per le aziende, che a detta del governo ha creato “79mila contratti stabili in più”. In realtà è l’Inps a spiegarci che, rispetto ai numeri del 2014 nei primi due mesi dell’anno i posti di lavoro in più sono tredici in tutto. 968.883 nel 2015 rispetto ai 968.870 dei primi due mesi del 2014.

E arriviamo a gennaio 2015, e ai decreti attuativi del Jobs Act. “200mila co.co.pro passeranno a tempo indeterminato”, aveva annunciato Matteo Renzi, cancellando dal 2016 questa forma di lavoro precaria. Assieme al “Job Sharing”, con cui due persone potevano dividersi un lavoro, e all’associazione in partecipazione, tipico dei venditori porta a porta. Ecco, tutte queste forme precarie interessano non più di 400mila persone in tutta Italia. Numeri ben lontani dagli annunci di governo che parlano di fine della precarietà.

I numeri reali sono preoccupanti. I dati che il governo Renzi usa a scopi di propaganda sono errati o non attendibili. E i provvedimenti economici e legislativi attuati dal governo da un anno esatto ad oggi, proprio a partire dal 1 maggio, non hanno ancora prodotto alcun risultato concreto. E allora, come vivono i giovani del primo maggio 2015?

La metà di loro non ha un lavoro. Se si è donna la percentuale cresce, se si vive al sud ancora peggio. Circa due milioni di giovani rientrano ancora nella categoria “neet”: non studiano, non lavorano e non cercano un lavoro. E un anno di Garanzia Giovani non ha cambiato nulla. Per chi lavora l’80 per cento dei nuovi avviamenti è con contratto a tempo, in un terzo dei casi questi contratti durano appena un mese. Sempre meglio delle partite Iva, dei contratti a chiamata, o di chi lavora a voucher.

Un articolo della rivista Fortune spiega come i giovani d’oggi che vivono la crisi siano per molti aspetti la generazione più simile a quella della Grande Depressione. Ma il primo maggio è un giorno di festa, e si celebra il lavoro, i diritti, e la lotta. Il primo maggio 2015, in particolare, è la festa dei giovani, perché il problema lavoro è oggi anzitutto la disoccupazione giovanile. Assieme ai neet, ai contratti precari, ai contratti a tempo. Non è facile sopravvivere, ma tiriamo avanti. Solo, smettetela di raccontarci tutte queste palle. Almeno il primo maggio.

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Michele Azzu è un giornalista freelance che si occupa principalmente di lavoro, società e cultura. Scrive per L'Espresso e Fanpage.it. Ha collaborato per il Guardian. Nel 2010 ha fondato, assieme a Marco Nurra, il sito L'isola dei cassintegrati di cui è direttore. Nel 2011 ha vinto il premio di Google "Eretici Digitali" al Festival Internazionale del Giornalismo, nel 2012 il "Premio dello Zuccherificio" per il giornalismo d'inchiesta. Ha pubblicato Asinara Revolution (Bompiani, 2011), scritto insieme a Marco Nurra.
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