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Terremoto in Albania, criminalità e abusi edilizi dietro la tragedia

In Albania non c’è un solo ricco, un solo delinquente, che non abbia costruito o fatto costruire almeno un alberghetto, chi attraverso dei prestanome, chi con l’aiuto di società di facciata. È prassi. Anzi, di più: è status symbol. Un’edilizia impermeabile alle regole antisismiche e idrogeologiche.
A cura di Redazione
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Non si contano gli edifici crollati, pericolanti, inagibili in Albania, oggi colpita da un terremoto il cui numero delle cui vittime è destinato ad aumentare con il trascorrere delle ore, complice il buio della sera. In molti quartieri è saltata via la luce, ma questo accade spesso, anche senza terremoto, soprattutto nelle periferie. Una situazione drammatica, acuita dai danni già subiti lo scorso 21 settembre, quando un terremoto di magnitudo 5.8 aveva squassato il Paese, sempre nella costa settentrionale, nei dintorni della città di Durazzo.

Il terremoto più violento degli ultimi 30 anni senza morti, un miracolo, si era detto. Invece la terra trema ancora, stavolta più forte. L’edilizia comunista, che dei suoi palazzi popolari alti almeno cinque piani, calcestruzzo in bellavista, aveva eretto a simbolo dell’austerità del popolo albanese, mostra le sue fragilità, il suo anacronismo. Ma è un’altra edilizia a scoprire il suo profilo peggiore, quella illegale. L’edilizia dei profittatori stranieri e dei mafiosi locali, che all’indomani del crollo del comunismo hanno puntellato una terra meravigliosa per natura con palazzi, ville, ristoranti, bar. Migliaia di costruzioni messe in piedi nella più totale anarchia, approfittando della restituzione dei terreni che erano stati sequestrati durante il comunismo e della corruzione delle amministrazioni e dei governi.

Fino al 2018, stando ai dati di Transparency International, l’organo che dal 1995 incrocia i dati ufficiali e pubblica annualmente gli indici di percezione della corruzione di ciascun Paese, l’Albania era il Paese più corrotto dell’intera regione dei Balcani. Cemento, cemento ovunque. Un’edilizia impermeabile alle regole antisismiche e idrogeologiche che in piena febbre neoliberista, con il placet della politica ora di destra ora di sinistra, ha costruito resort sontuosi a picco sul mare, ecomostri con all’interno suites imperiali allestite con i soldi riciclati dai traffici di droga, armi, prostituzione. Come il Santa Quaranta Premium Resort, una struttura faraonica sul lungo mare di Saranda, a firma del trafficante di droga latitante per due anni Kemet Balili. L’«Escobar dei Balcani», così lo chiamavano, è solo uno dei nomi che tutti conoscono ma pochi denunciano. Il motivo per cui l’abusivismo edilizio è un fenomeno di cui non si hanno cifre e nemmeno stime sta proprio nella convivenza tra politica e malavita che ha caratterizzato i primi vent’anni di democrazia. Oggi il capo dell’opposizione e nemico giurato del premier socialista Edi Rama è Lulzim Basha, del centrodestra. Edi Rama nel 2013 ha fatto demolire il complesso costruito dal suocero di Basha. Ci sono voluti circa 300 chilogrammi di esplosivo C-4 inseriti in più di duemila fori per abbattere «Jon», l’ecomostro a ridosso sul mare, vicino a Valona. "Un attacco politico", aveva lamentato Basha, all’epoca Sindaco di Tirana, la legge è uguale per tutti e «ogni cosa abusiva deve essere abbattuta», gli aveva risposto Edi Rama. Alla fine il suocero di Lulzim Basha ottenne 11 milioni di euro come risarcimento.

Oggi ad aizzare le manifestazioni contro il Governo, che per debellare la corruzione ha messo in campo una riforma della giustizia lungamente osteggiata, c’è lui, Lulzim Basha. E Sali Berisha, la cui famiglia, tra le più potenti dei Balcani, è molto attiva nei settori delle infrastrutture e dell’edilizia. In Albania non c’è un solo ricco, un solo delinquente, che non abbia costruito o fatto costruire almeno un alberghetto, chi attraverso dei prestanome, chi con l’aiuto di società di facciata. È prassi. Anzi, di più: è status symbol. Sembra ieri che l’Europa rinviava per l’ennesima volta i negoziati per l’ammissione dell’Albania nell’Unione, e in effetti era giusto un mese fa, ottobre scorso.

A opporsi per timore di "agevolare tanto l’infiltrazione mafiosa di questi gruppi nel contesto europeo quanto i loro affari, come il traffico di marijuana" erano state Francia e – vedi caso – Olanda. Oggi però l’Europa si è ricordata dei principi di solidarietà e cooperazione da cui è nata e sta organizzando proprio in queste ore un piano di soccorso condiviso. Intanto, già in mattinata Italia, Montenegro, Serbia, Croazia, Grecia, Romania e Turchia hanno inviato squadre speciali e aiuti di vario genere. Il primo ad accorrere in aiuto dell’Albania è stato il Paese più giovane e piccolo di tutti, il Kosovo, proclamatosi Repubblica indipendente soltanto 11 anni fa, dopo una guerra devastante che costrinse circa un milione di rifugiati kosovari a cercare accoglienza in Albania. La trovarono. Tratti duri, di una bellezza non canonica, inquieta.

L’Albania è la magrolina sempre un passo indietro rispetto alle bionde sorelle burrose nelle foto. È la sorella inquieta, gracile di costituzione, di una bellezza non canonica e però ammaliante, che suo malgrado si ritrova a dovere gestire situazioni più grandi di lei. Una figura ricorrente nei racconti di famiglia, compresa l’Europa. Una magrolina che ora è giusto prendere in braccio.

Articolo a cura di Stela Xhunga

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