Daniele, emigrato a Londra e diventato manager: “Vi racconto come qui vivono l’incoronazione di Carlo”
Daniele Di Biase ha 36 anni e lavora a Soho House, uno dei club più esclusivi al mondo. Cresciuto in un paesino della provincia di Benevento, a Londra ci è arrivato nel 2009 senza conoscere una parola di inglese, ma con due valigie cariche di sogni e di speranze.
Da semplice lavapiatti è diventato manager di una delle ‘Case' del vasto network di sedi e di membri che avvolge tutto il mondo (nel 2021 ha aperto anche a Roma), frequentata dai nomi più importanti dell'universo dello spettacolo (e non solo).
Non è stato semplice, come ha raccontato a Fanpage.it nei giorni in cui il Regno Unito è in fermento per l'incoronazione di Re Carlo in programma sabato 6 maggio.
Com'è iniziata la tua esperienza a Londra?
La mia esperienza londinese è partita nel 2009 quando vivevo a Sanremo. Dopo diversi anni nell'ambito della ristorazione, mi sono reso conto che praticamente tutti i turisti lì parlavano l'inglese. Tranne me. È stato così che ho capito che imparare quella lingua era fondamentale in quel settore.
Nel giro di qualche settimana, mi sono trasferito a Londra.
All'epoca avevo 22 anni, ero un ragazzino ma nonostante l'età avevo già diverse esperienze al di fuori del mio contesto di paese, ho vissuto a Fondi, ho fatto stagioni all'Isola dell'Elba, sono stato a Bologna, ad Aviano. Ecco, ero già predisposto al cambiamento, ma il trasferimento a Londra è stato sicuramente qualcosa che andava ben oltre tutte le mie precedenti esperienze. I primi mesi sono stati sicuramente difficili, ma ho avuto la fortuna di trovare lavoro praticamente dopo poche ore dal mio arrivo nella City.
Raccontaci un po' i tuoi primi tempi in città
Il primo giorno a Londra me lo ricordo bene: sono arrivato di sera a Camden Town. Con me avevo due valigie, ma non sapevo neanche dove andare a dormire. Mi sono guardato attorno e mi sono detto: ‘Ora che faccio?' Allora ho capito davvero che stavo affrontando qualcosa di molto più grande di me. Non avendo prenotato alberghi, mi sono ritrovato a girare per Londra, senza conoscere una parola di inglese. Fortunatamente ho trovato un ostello.
Il giorno dopo ho iniziato a cercare un lavoro. Ho puntato ai ristoranti italiani, quelli cioè dove potevo comunicare.
Ne trovo uno dove faccio un elenco delle mie esperienze da cameriere, bartender, barista. Gli faccio presente che non conosco una parola d'inglese, ma loro mi dicono di non preoccuparmi: ‘Stiamo cercando un lavapiatti…', e io: ‘Perfetto, quando posso cominciare, domani o nei prossimi giorni?'. E loro mi fanno: ‘No, no: ci servi adesso!'. Così sono tornato in ostello, mi sono cambiato e ho iniziato a lavorare.
Praticamente ho iniziato a lavorare dal giorno 1.
E poi? Cosa è cambiato in quel periodo?
Quelli sono stati tre mesi intensi. Quel ristorante era davvero incasinato, non facevi in tempo a pulire un piatto che te ne arrivavano altri con tutte le pentole. E poi c'era la questione della lingua; okay, era un ristorante italiano: ma io non capivo l'80 per cento di quello che succedeva attorno a me. Così la sera, quando tornavo a casa, leggevo qualche libro, facevo degli esercizi.
Dopo circa 4/5 mesi ho iniziato a masticare un po' l'inglese.
Mi ricordo un aneddoto bellissimo di quando passai in sala: lavoravo in un altro ristorante italiano, ma il mio livello di inglese era ancora molto basso. Ma un po' per la mia personalità, un po' per il mio modo di essere riuscivo comunque a comunicare coi clienti. E c'erano i miei colleghi che mi chiedevano: ‘Ma come fai? Noi siamo qui da due anni, parliamo in inglese e non riusciamo a rapportarci ai clienti come te?' Fu allora che capii che la mia voglia di fare, la mia voglia di imparare poteva farmi andare avanti.
Oggi di cosa ti occupi?
Da allora ho cambiato diversi lavori. In quegli anni ho fatto il barista, ho fatto il cameriere, ho lavorato alla reception.
Oggi lavoro a Soho House dove mi occupo della gestione del personale e di quella degli eventi che organizziamo. Parlo di anteprime, première tv o cinematografiche, rappresentazioni, party come il London Film Festival o British Awards. Soprattutto in queste occasioni ospitiamo un po' tutti i nomi della scena mediatica britannica e internazionale.
Da noi si sono incontrati anche Meghan e Harry durante i primi tempi della loro frequentazione. Mi ricordo che durante quei giorni c'erano paparazzi che si appostavano continuamente fuori la nostra sede ed ero costretto ad allontanarli. Soho House ha semplicemente offerto al Duca di Sussex e a Meghan Markle la privacy necessaria per rilassarsi e cenare insieme.
Il 6 maggio ci sarà l'incoronazione di Re Carlo, come state vivendo questo periodo?
In questi giorni gli inglesi si sono dimostrati molto ironici e divertenti: anche se non si direbbe hanno un bel senso dell'umorismo. Negli ultimi tempi abbiamo visto numerosi meme e reels sui social che hanno preso di mira Carlo, come quello in cui si arrabbia mentre sta firmando. Quello che sto notando è che con la morte della Regina Elisabetta la Royal Family ha perso in termini di credibilità e tutti quelli che erano davvero fedeli alla Regina oggi sembrano non crederci più. Quindi, okay se ne parla, ma con meno interesse.
La situazione è peggiorata dopo che Meghan e Harry hanno iniziato a screditare la Corona. Anche se la loro è stata una tattica mediatica: sono andati contro Carlo e tutta la Famiglia Reale con l'obiettivo di guadagnare a livello di notorietà, ma anche a livello economico. Tutto ciò ha messo in qualche modo in cattiva luce la figura di Carlo nell'ultimo periodo.
Un po' come successe all'epoca con Lady Diana?
Diciamo di sì, anche se stiamo parlando di epoche diverse. Allora non si conoscevano i fatti, c'erano dicerie e supposizioni, si cercava di costruire l'accaduto, il passato; e anche dopo, con la morte di Lady D. Ora la situazione è diversa. Meghan e Harry si sono esposti direttamente in prima persona, sono loro che parlano di quello che è successo, di fatti familiari e di vicende che non dovrebbero uscire dall'ambito privato.
Ma c'è una differenza con quel periodo: se magari prima con la Regina Elisabetta non se ne parlava, né bene e né male, perché c'era rispetto per quella donna, per Carlo invece tra meme e video ironici c'è proprio una perdita di credibilità. I fedeli ci saranno sempre perché gli inglesi sono abituati e credono alla Monarchia, ma per molti altri non è più così.
Cambiamo argomento. Cosa ti senti di dire ad un ragazzo italiano che oggi emigra a Londra?
Rispetto al periodo in cui l'ho fatto io, non è più semplice arrivare in Regno Unito. Se oggi vuoi venire a Londra devi già sapere la lingua, devi avere già un contratto di lavoro e sapere dove andare a vivere. Quello che mi viene dare dire ad un giovane che si trasferisce in Inghilterra è: ‘sii coerente e credi in quello che fai'. Londra è la città dei balocchi, ma è anche la città delle mille opportunità. Qui davvero chiunque può farcela e io ne sono la prova vivente: se ce l'ho fatta io, chiunque può farcela!
Qui c'è un margine di crescita in tutti i settori. Il Regno Unito è un Paese che riconosce i talenti e li fa sbocciare. Non come in Italia…
Una cosa che hai perso e una cosa che hai guadagnato con il tuo trasferimento?
Non voglio dare la classica risposta: ‘il cibo'. Forse posso dire di aver perso un po' di vista i valori italiani e quelli che ti trasmette la famiglia, il fatto di stare quotidianamente coi miei cari. Anche se questi valori sono comunque riuscito a portarli con me sin dall'inizio della mia esperienza all'estero e mi hanno e aiutato a diventare la persona che sono oggi.
Cosa ho guadagnato? La libertà. La libertà di pensiero, la libertà di essere me stesso. Questo Paese mi ha dato la possibilità di tirare fuori quello che avevo dentro, che avevo represso.
Pensi mai di tornare in Italia?
In molti me lo chiedono e la risposta è un grande ‘No'. Perché oggi come oggi se mi chiedi: ‘dov'è casa?', io ti rispondo: ‘Londra'. Qui ho tutto: i miei amori, il lavoro, la mia carriera. Qui ho costruito un futuro lontano dalle mie radici, che voglio sottolineare: non rinnego.