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Domanda processuale non presente nelle conclusioni

Cassazione 19.12.2019 n 33767 Secondo il consolidato insegnamento affinché una domanda possa ritenersi abbandonata, non è sufficiente che essa non venga riproposta in sede di precisazione delle conclusioni ex art. 189 cpc dovendosi avere riguardo alla condotta processuale complessiva della parte antecedente a tale momento, senza che assuma invece rilevanza il contenuto delle comparse conclusionali.
A cura di Paolo Giuliano
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Precisazioni delle conclusioni

L'art. 189 cpc prevede che il giudice deve invitare le parti  a precisare davanti a lui le conclusioni che intendono sottoporre al collegio stesso.

Può capitare che nelle conclusioni non sia riporta una delle domande (o delle eccezioni) originariamente inseirte negli atti di parte )atto di citazione o comparsa di costituzione e risposta) all'inizio del processo. In questa situazione occorre chiedersi quale è la sorte della domanda (o dell'eccezione) non presente nelle conclusioni.

Domanda o eccezione non riportata nelle precisazioni delle conclusioni

Quando una domanda non viene riportata nelle conclusioni, ci si chiede quale sorte ha la domanda non riportata nelle conclusioni e possono essere offerte tre risposte

  • la mera mancata presenza di una domanda nelle conclusioni comporta l'automatica rinunzia alla stessa
  •  la mera mancata presenza di una domanda nelle conclusioni comporta l'automatica rinunzia alla stessa solo se sussiste una volontà (espressa o implicita) di rinunziare alla domanda
  • la mera mancata presenza di una domanda nelle conclusioni non comporta l'automatica rinunzia alla stessa

La questione relativa alla sorte delle domande non riproposte nelle conclusioni è dovuta a due elementi, da un lato, la scelta se applicare il principio in base al quale le domande non riproposte si presumono rinunciate, dall'altro, alla necessità di dovere coordinare la presunzione della rinunzia con il principio in base al quale la rinunzia agli atti del giudizio deve avere una forma espressa 306 cpc.

Domande non riportate nelle conclusioni e volontà della parte

Si tende ad escludere che la mera non riproposizione della domanda nelle conclusioni possa essere considerata come un abbandono della stessa. per valutare il significato dell'omessa riproposizione della domanda nelle conclusioni occorre valutare anche la volontà della parte.

Secondo il più recente, consolidato insegnamento della giurisprudenza , tanto nel vigore del previgente testo, quanto in quello dell'attuale art. 189 c.p.c. (come modificato dalla I. n. 353 del 1990), affinché una domanda possa ritenersi abbandonata, non è sufficiente che essa non venga riproposta in sede di precisazione delle conclusioni, dovendosi avere riguardo alla condotta processuale complessiva della parte antecedente a tale momento, senza che assuma invece rilevanza il contenuto delle comparse conclusionali .

In particolare, al fine di ritenere il ricorso di un effettivo abbandono della domanda, non è sufficiente che la stessa non venga riproposta nella precisazione delle conclusioni, costituendo tale omissione una mera presunzione di abbandono, dovendosi, invece, necessariamente accertare se, dalla valutazione complessiva della condotta processuale della parte, o dalla stretta connessione della domanda non riproposta con quelle esplicitamente reiterate, emerga una volontà inequivoca di insistere sulla domanda pretermessa .

Tale tradizionale lettura del sistema processuale vigente (- a dispetto delle isolate e non condivise pronunce di segno contrario cfr. Sez. 5, Sentenza n. 16840 del 05/07/2013, Rv. 627060 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 2093 del 29/01/2013, Rv. 624999 – 01, informate a un rigore sin troppo irriducibile -) appare condivisibile e meritevole di conferma (al fine di assicurarne continuità), pur dovendo raccomandarsi all'interprete l'accortezza di procedere alla ricostruzione della volontà processuale delle parti tenendo ferma la concorrente esigenza di salvaguardare la tutela del ragionevole affidamento riposto dall'una parte sul valore convenientemente significativo del contegno processuale dell'altra, con la conseguente intuitiva esigenza, che, nel procedere alla ridetta interpretazione, un particolare e determinante valore euristico sia attribuito agli atti processuali tipicamente destinati a raccogliere i contenuti di detta volontà della parte (quali l'atto di citazione, il ricorso, la comparsa di risposta, le memorie ex art. 183 c.p.c., etc.), fatta sempre salva la rinuncia o la revoca, espressamente dichiarate, delle domande già proposte.

Cass., civ. sez. III, del 19 dicembre 2019, n. 33767

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Avvocato, Foro di Napoli, specializzazione Sspl conseguita presso l'Università “Federico II”; Mediatore professionista; Autore di numerose pubblicazioni in materia di diritti reali, obbligazioni, contratti, successioni. E' possibile contattarlo scrivendo a diritto@fanpage.it.
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