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Delitto di via Poma: dopo 30 anni l’assassino di Simonetta Cesaroni è ancora un fantasma

Simonetta Cesaroni è stata trovata morta il 7 agosto del 1990 al civico 2 di via Poma, a Roma, nello studio in cui lavorava diciannovenne, per una sostituzione estiva. Nel mirino finisce il fidanzato Raniero Busco, sospettato di averla brutalmente uccisa a coltellate dopo un tentativo di approccio sessuale, ma viene definitivamente scagionato in tribunale. L’inquietante assassinio della segretaria di via Poma, resta uno dei più famosi cold case italiani.
A cura di Angela Marino
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Estate 1990, la prima settimana di agosto a Roma sono rimaste poche anime. Tra quelli che non hanno lasciato la città rovente, c'è Simonetta Cesaroni, 19 enne del quartiere di Don Bosco che quell'estate ha deciso di lavorare come segretaria. È in procinto di partire per le vacanze senza il fidanzato Raniero, con il quale qualche giorno prima ha bisticciato, ma prima, Simonetta deve finire il suo lavoro negli uffici dell’A.i.a.g.. al civico 2 di via Poma, a pochi passi da piazza Mazzini. Quello al numero 2 è un grande complesso residenziale signorile, disegnato negli anni Trenta dall’architetto, Cesare Valle, rimasto poi inquilino del grande stabile composto da sei palazzine, sei alveari di lusso dove diversi portieri tra cui Pietro Vanacore, detto Pierino, responsabile della scala B ed egli stesso residente insieme alla moglie, Giuseppa De Luca, vigilano. Un palazzo rispettavile e tranquillo la cui unica macchia era la tragica morte di Renata Moscatelli, soffocata con un cuscino nella sua casa da una mano sconosciuta. Una storia oscura di quelle di cui non si parla volentieri nei condomini e di cui di certo di non ne sapeva nulla la segretaria Simonetta, quando, il pomeriggio del 7 agosto, attraversa l'atrio del palazzo per andare in ufficio.

Il delitto scoperto dalla sorella di Simonetta Cesaroni

Quel pomeriggio la ragazza non rispetta non gli orari convenuti per il ritorno, non risponde al telefono dell'ufficio, non contatta le amiche, insomma esce dal radar della famiglia alla quale era abituata a comunicare ogni passo. Per questo, spaventata più che mai, sua sorella Paola si mette in contatto con Salvatore Volpone, e insieme raggiungono l'appartamento al terzo piano di via Poma. Arrivano davanti all'appartamento al terzo con la targa Reli Sas e dell'A.I.A.G, intorno alle 20, Volpone apre con le chiavi, c'è una luce accesa, l'appartamento è silenzioso, si sente solo il ronzio delle lampadine. Percorre il corridoio, si affaccia in una selle stanze, poi indietreggia e respinge Paola indietro. Sul pavimento, con la testa rivolta alla porta in un lago di sangue, seminuda con il corpetto sollevato sul seno  scoperto e senza biancheria, ma con i calzini ancora ai piedi, c'è la povera Simonetta. Giace scomposta con le gambe divaricate. Sul suo corpo ci sono i segni di decine e decine di coltellate: agli occhi, nella vagina, sui seni.. Simonetta è stata uccisa in un ufficio con la porta chiusa, le sue chiavi sono sparite. È stata uccisa con rabbia, presenta ferite sul volto, sull’addome, sui seni, dove appare anche un vistoso morso su un capezzolo. È stata colpita con un’arma appuntita, verosimilmente, un tagliacarte che però non viene ritrovato.

L'autopsia sul corpo Simonetta Cesaroni

La dinamica, nonostante l'assassino si sia dato un gran da fare per ripulire la scena, lavando il sangue, appare chiara dall'autopsia. Simonetta ha lottato, poi è stata neutralizzata con un colpo alla testa, forse uno schiaffo, è caduta, è stata montata dall'assassino che l'ha sovrastata inginocchiandosi su di lei, presumibilmente per violentarla come testimoniano i lividi sulle anche. Mosso da una rabbia incontrollabile l'ha trapassata con l'arma, poi, prima di andare, le ha chiuso gli occhi, ha appoggiato sul seno il top che indossava. Appare evidente che chiunque fosse, sapeva come muoversi in quell'ambiente. Ha ripulito, portato via le chiavi di Simonetta, ma ha dimenticato tracce di sangue sul telefono e la maniglia della porta, dove la scientifica preleva i campioni per estrarre il DNA. Il risultato è sorprendente, ve ne sono du: quello del killer e di un “pulitore”.

Il portiere Pietro Vanacore sapeva?

Alcuni vestiti di Simonetta sono stati portati via, la borsetta invece, appare frugata e scomposta, ne sono state prelevate le chiavi e utilizzate per chiudere l’appartamento. In tal modo, l’omicida, avrebbe voluto suggerire di essere entrato dalla porta aperta da Simonetta e non con chiavi proprie. Particolari che orientano le indagini all’interno del prestigioso edificio: il mostro è lì. Ma per affinare la rosa dei sospetti occorre confrontare il Dna prelevato dal sangue sulla porta con quello di alcuni sospettati: 29 persone vengono scagionate. Tra queste il portiere Pietrino Vanacore, da subito sotto la lente degli inquirenti perché, nella finestra temporale in cui si colloca l’omicidio, dalle 17.30 alle 18.30, non era con gli altri portieri giù nel cortile. Dopo 26 giorni in carcere, Vanacore viene rilasciato per mancanza di prove.

Il rampollo Federico Valle

Nel calderone di ipotesi gettate sul piatto anche dalla stampa, più che mai interessata al giallo romano, spunta un’altra pista: quella del giovane Federico Valle, nipote dell’architetto Cesare, che per coincidenza abita qualche piano più in alto dell’appartamento dove è andato in scena il delitto. Contro di lui c’è una testimonianza inquietante: due anni dopo i fatti, mentre le indagini sono in pieno svolgimento, un austriaco di nome Roland Voller contatta gli investigatori dicendo di sapere chi ha ucciso Simonetta Cesaroni. Riferisce di essere entrato in contatto per caso con Giuliana Valle, ex moglie di Raniero Valle, figlio del vecchio architetto Cesare. Giuliana avrebbe rivelato a Voller che suo figlio Federico, il 7 agosto 1990, sarebbe tornato a casa sconvolto e sporco di sangue, presumibilmente, conclude Voller, dopo aver ucciso Simonetta, Il movente? La rabbia per la presunta relazione tra suo padre e la ragazza. L'ipotesi regge poco, pur ammettendo di conoscere l’austriaco, Giuliana Valle nega di avergli mai fatto tale confidenza e il testimone, sul quale pesa una fama di informatore poco attendibile della polizia di Roma, viene etichettato come non credibile. Una perizia successiva sul corpo di Federico Valle, escluderà anche la presenza di cicatrici procurate durante una ipotetica colluttazione con Simonetta.

Il suicidio di Pietro Vanacore

Il sospettato numero uno, tuttavia è Raniero Busco, il fidanzato di Simonetta. A carico del giovane vi è un alibi labile, fornito da sua madre, la presenza del DNA sul corpo di Simonetta, in particolare sul vistoso morso presente seno della ragazza e un movente, rappresentato dal rapporto conflittuale tra i due. Per Raniero Busco l'aula del tribunale si apre nel 2009 , ben 19 anni dopo i fatti, quando il pubblico ministero Ilaria Calò avanza l'accusa di omicidio volontario aggravato dalla crudeltà contro di lui. Ci vorrà un anno perché venga a chiamato a testimoniare Pietrino Vanacore, il portiere. Prima che possa salire sul banco dei testimoni, Vanacore viene trovato annegato in località Torre Ovo, vicino Torricella, dove viveva. “Vent’anni di sofferenze e di sospetti ti portano al suicidio”, lascia scritto in un biglietto. Raniero Busco, unico rinviato a giudizio, viene assolto  per non aver commesso il fatto.

Raniero Busco, Simonetta Cesaroni
Raniero Busco, Simonetta Cesaroni

Di Simonetta Cesaroni, la bella segretaria romana assalita nel suo ufficio, restano oggi solo diari e lettere. Pagine che parlano della sua ingenuità, dei sogni, delle speranze e di quell'amore che non incontrerà mai. Sarà lo stesso Raniero Busco a ripetere, più volte, in sede giudiziaria e alla stampa, che Simonetta, per lui, era solo una parentesi passeggera.

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