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Quel morso sul seno di Simonetta Cesaroni che avrebbe potuto portare a un’altra verità

Il morso sul seno di Simonetta Cesaroni, uccisa il 7 agosto 1990 nell’ufficio in cui lavorava in via Poma, 2, a Roma, è uno degli elementi chiave del processo. In una consulenza di parte che non fu discussa dagli scienziati in aula, viene documentata la corrispondenza di quell’impronta alla dentatura dell’allora fidanzato della ragazza.
A cura di Angela Marino
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Quel morso sul seno impresso con tanta forza da deformare il capezzolo è uno dei nodi cruciali delle indagini sul giallo di via Poma. È il 7 agosto 1990, Simonetta Cesaroni, segretaria 20enne dell'Aieg, viene trovata martoriata di coltellate nell'ufficio di via Poma, 2, a Roma. Sul corpo seminudo è straziato ci sono i segni di 29 coltellate e un segno sul seno, un morso secondo il medico legale, la cui identificazione segnerà il destino dell'unico indagato per quel caso. Sugli indumenti intimi della ragazza, in corrispondenza della lesione, infatti, vengono trovate tracce di Dna del suo fidanzato dell’epoca, Raniero Busco. E proprio sulla base di quella traccia biologica – l’unica trovata sul suo corpo della vittima – che ben 18 anni dopo, parte il processo per omicidio a carico del fidanzato.

Guerra di perizie nel processo per il delitto di via Poma

Sul morso si è combattuta una guerra a colpi di perizie tra la parte civile e la difesa. Il medico legale che all'epoca dei fatti effettuò l'autopsia la descrisse come una lesione che  denunciava "l'azione di un morso". Anche lo specialista della difesa di Raniero Busco la definì "un morso di origine umana inferto con violenza". In primo grado, dove Busco viene condannato a 24 anni di reclusione per l’omicidio di Simonetta, il morso viene attribuito a lui. In appello il quadro cambia: l’odolontologo forense e consulente di parte civile, Chantal Milani, stabilisce utilizzando i protocolli internazionali e tramite moderne metodologie di analisi che quell’impronta dentale sul capezzolo appartiene a Raniero Busco e realizza il morso sul seno sovrapponendo in modo preciso lesione e calco dei denti dell'imputato. In ultimo, in collaborazione con Fabio Boscolo, esperto di ricostruzione di scene del crimine, ricrea anche la posizione reciproca vittima-aggressore con un complesso sistema 3D.

La testimonianza della madre

A supportare l'identificazione del morso vengono presentati diversi elementi: la testimonianza della mamma di Simonetta, che dichiara di aver visto sua figlia nuda nella doccia alcune ore prima del delitto e di non aver notato alcun segno sul seno. Ciò escluderebbe che il morso potesse essere risalire a un rapporto sessuale precedente al delitto. In più, una ferita così profonda avrebbe prodotto macchie sui vestiti e certo Simonetta l’avrebbe disinfettata e medicata con bende e cerotti, operazione che in casa Cesaroni non poteva passare inosservata. Sull'igiene personale, inoltre,  Simonetta  prestava una cura quasi maniacale e gli indumenti indossati quel giorno erano sicuramente freschi di lavaggio.

Il DNA nel delitto di via Poma

Perché è così importante l'identificazione del morso? Secondo gli esperti quella lesione fa parte del quadro omicidiario e attribuirla significa trovare l'assassino. Nonostante la documentazione scientifica prodotta dai consulenti di parte civile, la questione viene dibattuta solo dagli avvocati e al lavoro dei consulenti, in merito al morso, non viene concessa la discussione in aula. Si chiude così il capitolo “morso”, accettando la tesi del perito medico legale che, nonostante non si sia avvalso di uno specialista in odontologia forense, ritiene che quello non sia un'impronta di morsicatura. Negare che quello possa essere un morso implicò che il DNA presente sugli indumenti intimi di Simonetta, proprio in corrispondenza di quella ferita, fosse meno significativo. Una traccia che, a quel punto, può esser fatta risalire a qualsiasi altro momento diverso dal giorno dell'omicidio e che non collocava più Busco sulla scena del crimine.

La sentenza sull'omicidio di Simonetta Cesaroni

Le motivazioni della sentenza che decretò l'assoluzione non tacquero "i punti oscuri" del caso, riferendosi proprio alla lettura delle prove. Sebbene il giudizio fosse stato accolto con entusiasmo da una Roma che si era schierata con l'ex fidanzato, il pm chiede l'annullamento del processo proprio in virtù delle numerose opacità. Tra queste anche l'alibi incerto dell'imputato. L'assassino di Simonetta non è stato più cercato.

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