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Le discoteche abbandonate di Max Pezzali: “Oggi non ha molto senso far uscire un album intero”

Max Pezzali ha pubblicato la canzone Discoteche abbandonate, ma a Fanpage.it parla delle difficoltà di pubblicare singoli nuovi e addirittura un album intero, oltre al rapporto con Mauro Repetto.
A cura di Francesco Raiola
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Le discoteche abbandonate che fanno da paesaggio all'ultimo, omonimo, singolo di Max Pezzali le immaginiamo fotografate da Luigi Ghirri, icona della fotografia italiana, in grado di catturare la provincia come pochi altri. E Pezzali, da solo e con gli 883 è un cantore continuo della provincia, appunto, con Pavia come punto di vista e uno sconfinato canzoniere in cui ha potuto declinarla nelle sue variegate possibilità. Le discoteche abbandonate rappresentano un po' la fine di quell'idea provinciale della fine degli anni '80, quando questi luoghi rappresentavano l'aggregazione, regalavano la possibilità ai giovani di aggregarsi, scoprire amicizie, gusti, ripercorrendo, con la nostalgia e malinconia che caratterizzano le canzoni della band, quei momenti. A Fanpage.it Pezzali ha spiegato cosa voleva dire, ma ha parlato anche del senso di pubblicare un album, oggi, dei live (prte il 9 giugno con il tour negli stadi) e del rapporto con Mauro Repetto.

"Loro vanno in discoteca solo per ballare" canti in Nella notte, "Due discoteche centosei farmacie" in Come un deca. Le discoteche ritornano, sono un racconto che ti seguono dall'inizio della tua storia artistica.

Questa storia comincia 30 anni fa e proprio questo mi ha fatto venir voglia di raccontarla. Mi sono reso conto che vedere le immagini online e una mostra di questo libro Disco Mute, fotografie di discoteche abbandonate, fu per me illuminante perché ho capito che quelle immagini di club leggendari, posti pazzeschi, che per me rappresentavano il sogno, l'evasione, erano ormai rappresentati in una cornice ormai vandalizzata e privati della loro magia, vestigie di una civiltà scomparsa. Mi sono detto che era incredibile come il mondo che ho raccontato nelle canzoni di quegli altri si sia estinto, diventando un'altra cosa: la dance è diventata IDM, è nata la club culture ma è diventata qualcosa di diverso rispetto all'andare a ballare in provincia negli 80 e 90.

Cosa voleva dire andare a ballare in provincia negli 80 e nei 90?

Era come entrare in un mondo nuovo. La musica che si suonava, salvo rarissimi casi, non era la house di Chicago o la techno di Detroit, era spesso un mischione. C'erano dj che non lo facevano come mestiere, di giorno lavoravano come impiegati, però davano tutto e spendevano metà del loro stipendio per andare nei negozi di dischi a Milano, scovare l'ultima novità e proporla al loro pubblico il venerdì e sabato sera. Era un mondo molto più pionieristico, perché c'era meno circolazione di informazione, non c'erano i social, non si sapeva cosa fosse di tendenza o no, non c'era Peggy Gou che gira il mondo con l'aereo privato, era un altro mondo, una realtà molto più di provincia, fatta da dj che si muovevano con le Volvo station wagon carichi di dischi, attraversando la E45 o la A1 per raggiungere le varie location. Era una realtà estremamente più ingenua e ruspante, infatti oggi le discoteche non è che non esistono, ma sono diventate un'altra cosa.

E qual è oggi, secondo te, il corrispettivo di quelle discoteche?

La musica da discoteca è diventato il club, che è estremamente settoriale per certi versi. Sono diventati meno popolari e più d'élite, l'idea della discoteca come erede della balera, che raccoglie un certo sentimento popolare di aggregazione, di numeri enormi, non è più un evento collettivo, di massa, ma più di nicchia. La discoteca di allora era un mischione di persone dalla provenienza, dagli ascolti e dal background più diverso. Poi, secondo me, un po' oggi il bisogno di quella aggregazione ce la siamo portata noi coi concerti: l'enorme successo degli eventi collettivi e dei concerti soddisfano quel bisogno di condivisione che forse in quel tipo di locale non c'è più.

Quindi dici che oggi non c'è più quel corrispettivo lì, tipo la sezione di partito che oggi non è riscontrabile in nulla?

Esattamente, è un parallelo che ci sta perché si è persa quella funzione di aggregazione di base, oggi che viviamo un'epoca in cui ognuno può aderire alla nicchia che preferisce, delle macro nicchie, tutti possiamo essere settoriali. All'epoca c'era il generalista, dovevi adeguarti il più possibile a un sentire comune, magari forzandoti un po', ma questo ti obbligava a non fare solo le cose che volevi fare, non ascoltare solo quello che dovevi ascoltare ed eri obbligato ad ascoltare altro. Oggi sei sempre più indirizzato da algoritmi che sanno chi sei e ti avvicinano a persone già vicine a te ma si è perso il gusto della scoperta dell'altro da te: che m'importa di fare cose e vedere persone che già mi piacciono? Già lo so che mi piacciono, mi piacerebbe a volte confrontarmi con gente che ritengo lontano da me ma mi regala qualcosa che non conosco.

Discoteche che furono fondamentali anche per la nascita degli 883, fu in una di queste che incontraste Linus, leggevo nel libro di Mauro Repetto.

Sì, perché Linus venne al Docking, uno dei due locali di Pavia, così come gli inizi pre 883, dell'hip hop, avvennero al Rolling Stone, che era un locale che oggi non esiste più e dove veniva girato "1, 2, 3 Jovanotti". Inoltre il fatto stesso che la nostra musica venisse proposta da Radio Deejay, per me era normale: nei primi tre album, almeno, ogni singolo aveva un remix di qualche dj famoso, ma non era un remix alla Steve Aoki, era comunque gente del nostro ambiente, quindi c'è sempre stata una sorta di continuità tra quello che abbiamo fatto e il mondo delle discoteche. Il primo tour, nel 93, fu proprio nelle discoteche, non potevamo farlo nei palazzetti, quindi mi sento sempre debitore nei confronti di quel mondo. L'evoluzione e l'estinzione di quel mondo corrisponde all'evoluzione nostra, perché le cose che hai vissuto rimangono ma il contesto è cambiato.

Il racconto che mi fai, mi fa venire in mente il mondo di Ghirri, che è il racconto fotografico di una certa provincia, così come, a modo suo, lo è il tuo. La provincia continua a rappresentare il motore del racconto?

Io credo che la provincia sia uno stato della mente prima ancora che una condizione oggettiva dovuta al luogo in cui vivi, è un'attitudine, l'idea di fare necessità virtù. Essere cresciuti in una piccola città, nell'era pre social media, significava non avere accesso alle stesse informazioni a cui avevi accesso se stavi nelle grandi città, per cui si era sempre fuori tempo. Chi viveva a Napoli aveva tutta la cultura musica della Compagnia di canto popolare, di Pino Daniele, il blues, il jazz e il fatto che grazie al porto e agli americani la modernità era arrivata prima e allo stesso modo chi è di Milano e Roma sa che i negozi di dischi di importazione erano un'altra cosa. Chi viveva in provincia, invece, doveva fare i compiti a casa, perché arrivava molta meno roba, spesso sotto forma di Melody Maker, NME, etc ma non ne arrivava tanta e dovevi unire tu i puntini. Quello ti rimane perché anche quando hai accesso a tutte le informazioni del mondo ti senti sempre un passo indietro, come se fossero arrivati prima gli altri, però ti rimane il bisogno di riempire gli spazi con la fantasia, il provinciale si sa arrangiare meglio quando gli mancano le informazioni di base.

Ho letto che Discoteche abbandonate la farai in tour e questa cosa mi fa venire in mente una cosa che mi ha detto Zampaglione, ovvero che forse non farà più album perché non può mettere altre canzoni nuove in scaletta. Ormai ha una serie di canzoni che il pubblico si aspetta e non può e vuole togliere. Tu che ne pensi?

Io sono assolutamente d'accordo con Federico perché vivendo nel 2024, in una realtà musicale e discografica in cui si parla ancora di discografia ma senza dischi c'è sempre il vecchio tema che alla fine il mezzo è il messaggio: la musica era in un certo modo quando c'erano i vinili, poi è arrivato il cd, oggi abbiamo le piattaforme, quindi è normale che ci sia più attenzione alla singola canzone. Ultimamente ascoltavo delle canzoni delle 883 con delle intro lunghissime, e mi chiedevo come si faceva a non fare niente per tutto quel tempo, era una visione diversa, sapevi che chi era interessato a quella cosa aveva il tempo per ascoltarla.

Quindi?

Quindi che senso ha fare canzoni nuove quando chi ti segue vuole sentire quelle che le hanno accompagnate? Ha senso solo se non calchi troppo la mano, se aggiungi una canzone e poi devi capire quando quello che stai facendo ha senso con quello che hai fatto in precedenza.

In che senso?

Non ha alcun senso che Max Pezzali, oggi, faccia una canzone sulla contemporaneità che può vivere un ragazzo di vent'anni, perché non ha vent'anni, non conosce questa generazione e sarebbe un modo per esserci. Ma se fai una canzone in cui racconti di un mondo di cui hai già parlato e l'evoluzione di quel mondo, il tuo punto di vista serve perché solo tu con la tua esperienza puoi avere quel punto di vista e non uno più giovane, allora si può fare. Il singolo deve essere inerente a quello che hai sempre fatto e alla tua esperienza personale, altrimenti non ti ascolterà nessuno. Poi io faccio un esempio: per te i live stanno andando bene, pensiamo ai Pinguini, vedi il concerto e ti diverti, non è una pippa mentale, è un evento collettivo a cui il pubblico partecipa, canta con loro, sono sullo stesso piano, non c'è adorazione. Se fai quella cosa il pubblico si diverte e torniamo al discorso del rituale collettivo che è venuto a mancare.

Non so se chiederti se questa canzone finirà in un album o no, a questo punto.

Rebus sic stantibus è complicato pensare all'idea di un album, secondo me hanno senso se sono raccolte di singoli o canzoni con la loro dignità autonoma, ma ritengo difficile che uno riesca a radunare tutto questo materiale prima di morire, però quando te ne viene una che ti sembra un'idea valida vale la pena pubblicarla.

Che ne pensi del racconto che ha fatto Repetto dei vostri anni assieme?

Sono contento che Mauro stia esorcizzando la perdita degli 883: io l'ho metabolizzata perché c'ero e con quella roba sono andato avanti, l'ho dovuto fare, per certi versi, mio malgrado, mentre lui non ha avuto mai il tempo di metabolizzarlo, perché è passato ad altro, poi è tornato su quella cosa e sta cercando di storicizzarla e vederla in prospettiva. Sta raccontando il suo percepito, la sua cosa.

A proposito degli Anni – canzone in parte scritta da lui, ma senza credit -, invece, che ne pensi?

Magari la memoria è diversa, ma Gli anni è la canzone che stavamo facendo quando se n'è andato. Parliamo della Pasqua del 1994, di fatto non la firmò perché non la finì, stavamo cominciando a imbastirla e lui stava sentendo già che quella direzione lì non lo rappresentava più. Lui un po' soffriva quella cosa del bar, che era la mia esperienza, gli amici erano i miei, lui si univa, era il mio piccolo mondo che si stava allargando, quindi credo che fosse naturale per lui cercare qualcosa di più ampio respiro; io non l'ho mai subita la provincia, lui sì. Mauro voleva arrivare al grande mondo, alla metropoli, io no, cioè a un certo punto anche io sognavo New York, ma per me era un mito irraggiungibile, qualcosa che rimaneva lì come ispirazione, ma sapevo che nel mio intimo appartenevo alla provincia.

Per correttezza ti dico che lui mi ha detto proprio questo, ovvero: "‘Stessa storia, stesso posto, stesso bar', mi rendo conto che la canzone è bellissima, ma io non voglio né la stessa storia, né lo stesso posto, né lo stesso bar".

Sì, infatti l'ho letta l'intervista e sono d'accordo con lui. Credo che lui stia facendo i conti con quella cosa, poi noi continuiamo a sentirci su Whatsapp anche solo per le cazzate, tipo su che fine hanno fatto certe persone, di quello che si è sposato etc e credo che si stia riappropriando di una cosa che a un certo momento per certi motivi ha un po' ripudiato perché era considerato il biondino che balla, alla fine si era ritagliato un ruolo in cui non si ritrovava più. Credo che adesso voglia raccontare la sua versione e fa bene a farlo perché non puoi rimanere col dubbio di non averla affrontata completamente. Credo che quando è salito sul palco con me a San Siro si sia reso conto di quello che avevamo fatto, del fatto che per tutta quella gente le nostre canzoni erano diventate fondamentali. Se te lo raccontano è una cosa, ma quando lo vedi capisci che è ora di affrontarlo.

Come saranno gli stadi?

Darò ancora più spazio alle canzoni dei primi due album che non eravamo riusciti a mettere prima o messi come medley, un'espansione delle cose 92/93. Studiamo anche un momento discoteca, ci sarà uno spazio in cui tutte le varie canzoni "dance" verranno fatte in un blocco che speriamo diventi una cosa tipo discoteca anni 90. Poi i personaggi delle canzoni, tipo il Deca di Con un deca, la Regina del Celebrità, il Due di picche, protagonista di tante canzoni anche se mai citato direttamente, insomma tutti quei personaggi diventeranno pupazzi e io interagirò con questi personaggi e sarà divertente, con un universo cartoon che mi permette di andare ancora di più nella direzione del mio passato che ho sempre amato e che a volte non fai per paura dell'età, poi, invece, fai il giro completo e pensi che sia figo e puoi permetterti di fare i cartoni.

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