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Prete ucciso a Trieste, Don Paolo Piccoli si difende: “Per i pm avrei ucciso per due bomboniere”

Don Paolo Piccoli si difende dopo la sentenza di primo grado della Corte d’Assise di Trieste che lo ha visto condannato a 21 anni e sei mesi di reclusione per aver ucciso monsignor Giuseppe Rocco. “Perché mai avrei dovuto buttare 43 anni di vita religiosa per una catenina e due bomboniere?” si chiede il prete che resta ibero in attesa del processo di appello.
A cura di Antonio Palma
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“C’è una domanda fondamentale che nessuno si è mai posto. Perché mai avrei dovuto buttare 43 anni di vita religiosa, di cui 26 anni di sacerdozio e 23 di monsignorato, per una catenina e due bomboniere?” così Don Paolo Piccoli si difende dopo la sentenza di primo grado della Corte d'Assise di Trieste che lo ha visto condannato a 21 anni e sei mesi di reclusione per aver ucciso monsignor Giuseppe Rocco, novantaduenne parroco della chiesa di Santa Teresa. Don Paolo Piccoli, che resta libero nell’attesa degli altri gradi di giudizio anche per i suoi gravi problemi di salute, ha sempre sostenuto la sua innocenza e con i suoi legali ribadisce che dietro l’omicidio mancherebbe un movente valido ad incastralo oltre che prove sufficienti.

I fatti risalgono al 25 aprile 2014 quando nella sua stanza da letto della Casa del Clero di via Besenghi, a Trieste, venne ritrovato il corpo senza vita di monsignor Giuseppe Rocco. In un primo momento il decesso fu tratta come un caso di morte naturale ma i successivi accertamenti portarono all’indagine per omicidio. Nella struttura per preti a riposo abitava in quel periodo anche Don Paolo Piccoli che ad un certo punto venne individuato come il sospetto principale dopo il ritrovamento di alcune gocce del suo sangue sul cadavere della vittima. “Non avevamo contatti, quella mattina mi riferirono della sua morte e così, in attesa del vicario del vescovo, andai ad impartirgli la benedizione. Sono state trovate delle macchioline del mio sangue sul suo corpo, è vero, ma sono collegate a quel momento e una delle patologie di cui soffro” ha sottolineato Don Paolo Piccoli al Corriere della Sera.

“Non ci sono prove. Il sangue del mio assistito sul letto del morto è solo la conseguenza di una xerosi cutanea, lui infatti era lì a dargli l’estrema unzione. Inoltre, la ricostruzione basata sull’ipotesi dello strangolamento non è veritiera in quanto non ci sono infiltrazioni emorragiche sull’osso ioide. Manca, infine, nella maniera più assoluta, il movente” ha sottolineato allo stesso giornale anche il suo legale, l’avvocato Vincenzo Calderoni. In realtà la perizia autoptica sulla vittima aveva invece rilevato la rottura dell’osso ioide e quindi segno che qualcuno gli aveva stretto con forza le mani intorno al collo. Il movente, per gli investigatori, è da ricercare in un furto di oggetti sacri tra cui un crocifisso e una catenina d'oro

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