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Opinioni
Cambiamenti climatici

Perché l’Italia è rimasta senz’acqua e come ne possiamo uscire

Di fronte alla peggiore siccità degli ultimi 70 anni non basta razionare l’acqua. Perché siamo il Paese che ne spreca di più in Europa. E perché anche questa crisi è figlia di un cambiamento climatico che dobbiamo prendere molto più sul serio.
A cura di Fabio Deotto
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Le occasionali piogge di aprile e maggio, come previsto, non sono bastate. Dopo il record di siccità del primo trimestre 2022 e un inverno di scarse nevicate, l’Italia è ancora stretta nella morsa di una crisi idrica senza precedenti. La situazione è particolarmente grave al Nord, dove la disponibilità di alcuni bacini è in esaurimento: per rendersene conto basta vedere quanto sia calato il livello del Po, del Lago d’Iseo, del Lago Maggiore e del Lago di Como.

Il periodo è talmente critico che in alcune zone si sta valutando di sospendere la fornitura idrica nelle ore notturne e non si esita a parlare della peggiore siccità degli ultimi 70 anni, ma sarebbe improprio definire questo come un evento eccezionale. Se l’Italia, così come altri paesi, si trova ad affrontare una simile scarsità idrica, infatti, è anche per colpa di una crisi climatica che sta entrando sempre di più nel suo vivo.

Cosa sta succedendo?

Fa troppo caldo, per essere a metà giugno, e il colpevole è facile da individuare: l'anticiclone Scipione ha investito l'Europa mediterranea portando a sfiorare la linea dei 40 gradi in Italia, e a superarla abbondantemente in alcune zone della Spagna. È la terza volta che un'ondata di caldo investe il nostro paese da maggio, e i prevedibili effetti vanno a combinarsi con una sostanziale assenza di precipitazioni, che di fatto si protrae con rare interruzioni da gennaio e che sembra destinata a durare ancora la prossima settimana. A questi fattori bisogna aggiungerne un terzo, non meno importante, e cioè che molte riserve nevose sono in esaurimento: questo inverno si è registrata quasi la metà delle nevicate attese, e in alcune zone, come in Lombardia, la neve è inferiore dell'82% rispetto alla media storica.

Chiariamoci, gli anticicloni, le ondate di caldo e i fenomeni siccitosi ci sono sempre stati, ma la crisi climatica li sta rendendo più frequenti e persistenti. In parte è colpa del rallentamento della corrente a getto, ossia quel flusso d'aria canalizzato che nel nostro emisfero soffia da ovest a est e la cui velocità dipende dalla differenza di temperatura tra l'Artico e l'Equatore. Poiché l'Artico si sta riscaldando a velocità doppia rispetto all'equatore, la velocità di questo flusso sta diminuendo, e sempre più spesso si presenta il rischio che una perturbazione o un'ondata di caldo rimanga più a lungo nella stessa zona, massimizzandone le ricadute.

Tutti questi aspetti stanno concorrendo a creare un deficit idrico del tutto anomalo per questo periodo dell'anno, in cui la disponibilità di acqua è già ridotta di 35 miliardi di metri cubi rispetto ai valori normali, una quantità paragonabile a quella di tutto il Lago Maggiore.

Con quali conseguenze?

Chi vive vicino alla foce del Fiume Po lo sa bene, la siccità diventa davvero preoccupante quando l'acqua del fiume diventa salata. È l'effetto del cosiddetto “cuneo salino”, ossia quell'intrusione di acqua marina che si verifica quando la portata di un fiume scende al di sotto di un certo livello. Per il Po quel livello è di 450 metri cubi al secondo, e in alcune zone, come a Pontelagoscuro, si registrano già minime da 300 metri cubi al secondo. Quello che succede, in sostanza, è che l'acqua salata, più densa, tende a essere richiamata dal mare negli acquiferi costieri, penetra nel sottosuolo e si sposta verso l'entroterra. In questo momento, il cuneo salino è già risalito di 15 chilometri, creando una serie di problemi sia ai terreni che attraversa, che rischiano di diventare inutilizzabili per l'agricoltura, sia alle acque del fiume che in alcuni punti non possono più essere sfruttate per l'irrigazione. Non solo, se la situazione non cambia, nella prossima settimana si rischia la contaminazione delle falde destinate all'uso potabile

I problemi non si riguardano naturalmente solo il Nord Italia, la situazione è grave un po' in tutte le regioni, dove fiumi e laghi registrano livelli bassissimi, ma in particolare in Toscana, in Abruzzo e nel Lazio. L'Osservatorio dell'ANBI, per dire, ha definito “catastrofica” la situazione dei Castelli Romani, dove si registra un deficit di 50 milioni di metri cubi.

Tra le varie conseguenze immediate di questa crisi idrica c'è anche un rallentamento significativo della produzione idroelettrica, considerando che alcune centrali sono costrette a operare a regime minimo, ma il problema riguarda anche la disponibilità di acqua per il raffreddamento delle centrali termoelettriche.

Ancora più preoccupanti sono invece le conseguenze sul medio e lungo termine, soprattutto per quanto riguarda lo stato della flora nelle aree più colpite: alcune piante fioriscono in anticipo, altre seccano in fretta (aumentando il rischio di incendi incontrollati), inoltre si calcola che di qui ai prossimi decenni molte specie arboree potrebbero scomparire del tutto.

Cosa si può fare?

Per capire quanto la situazione sia critica è sufficiente considerare che al Nord sono stati già mobilitati degli autobotti per l'approvvigionamento idrico in aree dove i serbatoi locali non sono più in grado di soddisfare il fabbisogno idrico. Fabbisogno che, peraltro, il caldo anomalo di questo periodo contribuisce ad aumentare. Non si tratta di interventi isolati: Utilitalia, la federazione che riunisce le aziende speciali operanti nei servizi pubblici dell’energia elettrica, dei rifiuti, del gas e dell’acqua, ha chiesto che in 100 comuni piemontesi e in 25 comuni lombardi si ricorra alla sospensione della fornitura idrica nelle ore notturne, e alcuni comuni hanno già firmato le relative ordinanze. L'obiettivo è consentire ai serbatoi di tornare a riempirsi, ma per raggiungerlo non è sufficiente ridurre il consumo idrico dei cittadini la notte, è necessario anche ridurre il consumo legato all'agricoltura: un problema particolarmente difficile da risolvere, considerando che in questo periodo i consumi agricoli tendono ad aumentare.

È chiaro però che un'emergenza simile non si risolve a colpi di ordinanze, così come è chiaro che già oggi sia necessario sviluppare misure di adattamento a una crisi climatica ormai entrata nel suo vivo. E come spesso accade quando si parla di crisi climatica, le soluzioni univoche non esistono: c'è bisogno di implementare diverse misure in parallelo. Perché se è vero che la gestione idrica in Italia lascia a desiderare, e che parte di questa crisi è dovuta alla mancanza di infrastrutture sufficienti a garantire resilienza in situazioni emergenziali , è anche vero che in alcune aree, come ad esempio quel Nord Italia oggi interessato dai razionamenti, il consumo idrico è il più elevato di tutta l'Unione Europea. Questo ha a che fare con gli enormi sprechi legati a una rete idrica colabrodo, ma anche al fatto che l'acqua in Italia è sempre costata molto poco (2 euro a metro cubo, contro i 5 di Francia e Germania): siamo abituati a disporre dell'acqua come fosse un bene inesauribile ed economico, presto dovremo imparare a sprecarne il meno possibile.

E allora questa crisi idrica è un'ulteriore dimostrazione di come sia necessario cambiare approccio nei confronti di risorse e condizioni che abbiamo sempre dato erroneamente per scontate, in questo caso un elemento che è fondamentale per tantissimi aspetti della nostra vita e che ormai è a tutti gli effetti un bene di scarsità.

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Fabio Deotto è scrittore e giornalista. Laureato in biotecnologie, scrive articoli e approfondimenti per riviste nazionali e internazionali, concentrandosi in particolare sull’intersezione tra scienza e cultura. Ha pubblicato i romanzi Condominio R39 (Einaudi, 2014), Un attimo prima (Einaudi, 2017) e il saggio-reportage sul cambiamento climatico “L’altro mondo” (Bompiani, 2021).  Insegna scrittura creativa alla Scuola Holden di Torino. Vive e lavora a Milano.
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