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Alla scoperta degli ecovillaggi, le comuni del 2020: “Qui niente Covid, nè lockdown”

Alla scoperta di ecovillaggi e comunità intenzionali, esperienze di coabitazione diffuse anche in Italia, ai tempi del Covid, con corsi di yoga e meditazione per gli esterni solo online e sempre più persone interessate. “Non siamo hippie, non c’è sesso, droga e rock’n’roll e non ci sono guru: siamo solo persone che studiano e portano avanti ricerche per stili di vita alternativi, con la gioia di vivere insieme”
A cura di Beppe Facchini
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Circondati dal verde, lontani dalla frenesia delle città e organizzati in modo che ognuno dia il proprio contributo, non solo a livello economico. Vivono così gli abitanti di ecovillaggi e comunità intenzionali, esperienze di coabitazione diffuse da sempre in tutto il mondo, Italia compresa, che anche dalla loro isola felice hanno dovuto fare i conti con la pandemia, trasformando solo in online buona parte dei propri corsi per gli esterni e ritrovandosi con un numero crescente di gente incuriosita da queste realtà. Lo conferma anche "Laya" Annalisa Di Salvo, dal 2011 residente a La Città della Luce, in provincia di Ancona. "La mia sensazione è che molte più persone si stiano rendendo conto delle limitazioni che vivere in città porta, quindi in tanti ci chiedono di venire qui per fare un'esperienza -spiega Annalisa, fino a dieci anni fa impiegata come ingegnera meccanica a Roma-. Durante il lockdown devo dire che siamo stati molto bene da un certo punto di vista: sicuramente è stato impegnativo riorganizzare tutto il nostro lavoro, ma sicuramente siamo stati molto fortunati. Nel momento in cui non puoi uscire, non puoi respirare aria pura, non puoi vedere la luce del sole, l'organismo ne risente".

Ma che cos'è un ecovillaggio? E chi ci vive? Lo abbiamo chiesto, oltre che agli abitanti de La Città della Luce, anche a quelli di Lumen, vicino Piacenza. Sono circa una sessantina, compresi diversi bambini che fanno home schooling, con esame, ogni fine anno, in una scuola della vicina Fiorenzuola. Fra i residenti in comunità c'è chi arriva dalla Campania, dalla Puglia o dalla Lombardia, come Milena Simeoni, fondatrice nel 1992 di un'associazione nata per sperimentare circondati dalla natura pratiche di vita rivolte al benessere e all'ecosostenibilità, ma diventata nel tempo una piccola città dove ognuno riveste il proprio ruolo, perseguendo un obiettivo comune. "Quando io e mio marito abbiamo mollato tutto per venire qui -racconta- non avevamo in mente di creare un ecovillaggio, ma è successo in modo naturale, dopo la proposta di alcune persone che frequentavano i nostri corsi". Col passare degli anni, Lumen si è poi consolidata come un'importante realtà per progetti che vanno dalla naturopatia alla cucina alla cucina naturale, dalla meditazione allo yoga. E molto altro ancora. Un po' come La Città della Luce, il cui progetto è partito nel 1996 a Genova, arrivando nel tempo non soltanto ad avere sedi in diverse regioni di Italia, ma anche ad allargare la propria idea iniziale, legata all'antica disciplina orientale Reiki, ad altri metodi filosofici. Sempre, però, "senza religiosità o guru", assicura "Akshara" Umberto Carmignani, fra i soci fondatori di una comunità che al momento conta circa venti abitanti, i quali, una volta ammessi dopo un periodo di prova, scelgono anche un nome spirituale in base al proprio percorso personale di crescita nel villaggio. "L'immaginario collettivo è pieno di strane informazioni -dice- dal concetto di essere una comune anni Sessanta, sesso, droga e rock'n'roll, piuttosto che una setta che fa dei riti. Ovviamente non è così. Siamo una comunità spirituale composta da gente che ha fatto degli studi, che si riunisce per portare avanti le proprie ricerche ma che ha anche la gioia e il piacere di vivere insieme".

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Nonostante alcune differenze, sono diversi i punti in comune fra i due ecovillaggi che hanno accolto le telecamere di Fanpage.it (circa una trentina quelle che ci sono complessivamente in Italia, in gran parte nelle regioni settentrionali): dall'autosufficienza economica totale a quella parziale per quanto riguarda la produzione di energia e di cibo, fino alla crescita di esperienze di coabitazione in simbiosi con attività legate al mondo del benessere, dell'olismo e dei progetti su stili di vita consapevoli. Proprio in queste attività, all'interno quanto all'esterno dei villaggi nei quali abitano, i membri delle comunità lavorano ogni giorno. Per intenderci: c'è chi si occupa della cucina (come Marco, tecnico audio-video che da Milano si è trasferito con sua moglie a Lumen dieci anni fa), chi tiene corsi, chi lavora in altre strutture (ad esempio Lumen gestisce un centro benessere alla terme di Tabiano), chi si occupa della manutenzione e chi dell'amministrazione. Ma l'elenco potrebbe ancora proseguire.

Di sicuro, la parola d'ordine più importante per tutte le esperienze di questo genere rimane condivisione. Di scelte, di spazi, di tempo e anche di finanze. Insomma, ecovillaggi e comunità intenzionali sono davvero come delle grandi famiglie, anche se non ancora riconosciute. E in tempi in cui non è affatto scontato chiarire chi siano i propri congiunti, contatti stretti o affini, la necessità di una legge ad hoc è ancora più alta. "Ci consideriamo una famiglia" sottolinea appunto "Nirvaan" Vincenzo Schiraldi, pugliese di nascita e oggi nell'ufficio comunicazione de La Città della Luce. Federico Palla, consigliere di Lumen, è invece uno dei membri del gruppo che ha lavorato ad una nuova proposta di legge (di cui si parla dal 2010 e che adesso pare pronta alla discussione nelle commissioni competenti) e conclude: "L'obiettivo della legge è il riconoscimento e avere delle agevolazioni, per esempio, per tutto quello che riguarda il recupero del patrimonio pubblico in disuso. Chi vuole creare una comunità intenzionale spesso si scontra con difficoltà burocratiche. Per dare un'idea: noi, per stare all'interno della legge italiana, abbiamo dovuto costituire un'associazione di promozione sociale che si occupa delle attività di volontariato e a scopo sociale, abbiamo una cooperativa che regola i rapporti di lavoro all'interno della comunità, una cooperativa di abitazione per la condivisione delle case e un'associazione non riconosciuta per tutto quello che è residuale, ad esempio la gestione condivisa delle auto private. Ci sono quindi una serie di organizzazioni che potrebbero effettivamente risolversi con una sola, che si chiama, appunto, comunità intenzionale".

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