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Opinioni

Articolo 18, un altro mondo (del lavoro) è possibile

Da qualche anno la cancellazione dell’articolo 18 sembra essere l’ossessione dei governi che si succedono alla guida del Paese: ma siamo davvero sicuri che sia l’unica soluzione per la crescita economica? E se anche fosse…
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Cancellazione articolo 18

Ci risiamo. E per di più stavolta sembra sul serio. Stiamo parlando ovviamente della volontà del Governo di "rivedere" il famigerato articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, sempre ovviamente "nell'ottica di una riforma complessiva del mercato del lavoro che tenga conto…" e via discorrendo fino ad arrivare in ogni caso sempre allo stesso concetto di fondo. L'assunto suona più o meno così: la crescita economica non può prescindere dall'emanazione di una normativa che renda il mercato del lavoro più flessibile sia in entrata che in uscita.

Questa volta, la linea dell'esecutivo guidato da Mario Monti e nello specifico del titolare del welfare Elsa Fornero è sostenuta dai vertici dell'Unuione Europea, o per meglio dire è modellata sulle richieste (o direttive, termine che rende meglio l'idea) cui la Banca Centrale Europea ha subordinato i sostanziali aiuti finanziari che hanno risollevato le casse dello Stato. Il progetto di riforma del mercato del lavoro, dunque, dovrebbe prevedere una serie di misure volte ad incentivare la crescita tra cui anche la "nascita" di nuovi contratti di ingresso che non prevedano la tutela dell'articolo 18 neanche per i lavoratori delle aziende con più di 15 dipendenti. Non dovrebbe esserci alcun intervento sui diritti acquisiti, mentre sarebbero allo studio delle misure per la revisione degli ammortizzatori sociali e in particolare della cassa integrazione. Ovviamente sulla questione le posizioni sono note ed estremamente polarizzate, con la Camusso che solo poche ore fa ha ribadito (rispondendo ad un editoriale di Scalfari) un concetto – limite:

"Il coro sull'importanza del rilancio della produttività trascura di cimentarsi con le cause del suo declino in Italia. O inventa cause di comodo: qualcuno arriva a teorizzare l'assurdità che sarebbe per colpa dell'articolo 18. Al contrario, la produttività nel nostro paese decresce al crescere della precarietà, che non ha neanche incrementato l'occupazione, producendo, invece, quel lavoro povero su cui sarebbe bene interrogarsi […] Senza nostalgie di nessun tipo pensiamo sia utile proporre un negoziato vero e non affidarsi a ricette preconfezionate il cui fallimento è nei numeri della precarietà e della disoccupazione, a partire dai settecentomila posti di lavoro persi dell'industria in cinque anni".

Un dato quest'ultimo, su cui sinceramente crediamo sia giusto soffermarsi, come fa anche Pietro Spataro su L'Unità:

Se fosse vero che l’articolo 18 impedisce di licenziare per quale motivo, di grazia, in cinque anni solo nell’industria abbiamo perso 700 mila posti di lavoro? Come li hanno cacciati tutti quei lavoratori? Insomma, raccontare la favola che, tolto di mezzo l’articolo 18, gli imprenditori si accalcherebbero ad assumere e tutti nostri giovani (in gran parte disoccupati cronici) troverebbero per magia un posto vendicandosi di padri egoisti. è ormai diventato un piccolo grande imbroglio.

E SE LA SOLUZIONE FOSSE SEMPLICE? – E il punto è proprio questo, capire di cosa stiamo parlando, cercando di evitare propaganda e strumentalizzazione. E non si tratta di porre steccati invalicabili o resistere ostinatamente su posizioni superate e dannose al sistema Paese. Bensì di immaginare un modello diverso, che non scarichi interamente sui lavoratori i rischi del "progetto di impresa" e che tenga insieme in modo armonico flessibilità e garanzie, crescita economica e "distribuzione" della ricchezza (non suoni antiquato, ma una semplice declinazione del concetto di benessere collettivo). A partire magari dall'idea che il mercato del lavoro sia regolato da diritti minimi e fondamentali per ogni lavoratore, indipendentemente da qualsivoglia contratto di lavoro (per citare un vecchio approfondimento di la Tito Boeri, la cui proposta programmatica potrebbe del resto essere in parte recepita dal ministro Fornero). "I diritti minimi dovrebbero riguardare la disciplina dei licenziamenti, la previdenza sociale e anche il salario minimo, che dovrebbe essere specificato per legge […] a partire da ciò le parti potrebbero poi stabilire qualsivoglia accordo e contratto a livello nazionale o aziendale, integrando ma non violando queste disposizioni". Che questo poi avvenga attraverso il contratto unico di inserimento con tutele progressive è un'opzione da tenere nella massima considerazione.

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A Fanpage.it fin dagli inizi, sono condirettore e caporedattore dell'area politica. Attualmente nella redazione napoletana del giornale. Racconto storie, discuto di cose noiose e scrivo di politica e comunicazione. Senza pregiudizi.
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